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L'inaspettata rinascita di Renato Sanches
02 dic 2020
02 dic 2020
Oggi gioca nel Lille e sembra finalmente felice.
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Foto di Marcio Machado/Eurasia Sport Images/Getty Images
(foto) Foto di Marcio Machado/Eurasia Sport Images/Getty Images
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Tra il primo e il secondo gol segnati da Renato Sanches con la nazionale portoghese, tra quello segnato alla Polonia nei quarti di finale degli Europei del 2016 e quello di tre settimane fa in un’amichevole vinta per 7-0 contro Andorra, c’è una distanza di oltre quattro anni. Prima ancora che in senso temporale, è una distanza significativa a livello simbolico, per il diverso peso specifico dei due gol e per la piega che ha preso la sua carriera. Quattro anni fa Renato Sanches era uno dei talenti più entusiasmanti in Europa. Il Bayern Monaco lo aveva pagato 35 milioni di euro e le aspettative erano così alte che erano previsti dei bonus se Sanches avesse raggiunto il podio del Pallone d’Oro o fosse rientrato nella squadra dell’anno della FIFA. In quel momento non sembrava poi così assurdo. Sanches aveva vinto da protagonista gli Europei, era stato premiato come miglior giovane del torneo e aveva anche conquistato il premio Golden Boy di Tuttosport, cioè il Pallone d’Oro per gli Under-21. Insomma, sembrava troppo forte per non avere un futuro all’altezza di quelle aspettative. E invece a 23 anni si ritrova già a dover ricostruire la carriera in un contesto forse più piccolo rispetto alle sue qualità, al Lille, dopo aver giocato pochissimo con il Bayern Monaco e aver passato una stagione disastrosa in prestito allo Swansea. Al Lille è arrivato lo scorso anno da giocatore più costoso nella storia del club (si dice sia stato pagato 25 milioni di euro), un altro fatto strano, viste le esperienze negative che si era lasciato alle spalle, in una carriera fin qui assurda e molto peculiare. A 23 anni Sanches conta solo due stagioni da titolare, se si esclude quella in corso, e nemmeno complete. La prima all’esordio con il Benfica nel 2015/16, quando entrò in prima squadra a stagione iniziata e contribuì alla vittoria del campionato e della coppa di Lega, la seconda è quella scorsa con il Lille conclusa a marzo per la pandemia di Covid-19, con dieci partite ancora da giocare in campionato. Riflettendo su cosa è andato male quando era al Bayern Monaco, Sanches ha ammesso di aver avuto problemi ad adattarsi al nuovo contesto: «Il primo anno non mi sono ambientato bene. Non ero pronto perché è stato un cambiamento troppo veloce per me. Ero professionista da 6 mesi con il Benfica e poi, all’improvviso, ero in uno dei migliori club al mondo. Quando sono arrivato lì, tutto era diverso». A quanto pare Sanches è una persona che soffre i cambiamenti. Gli era già successo, anche se ovviamente su una scala diversa, quando da bambino aveva dovuto lasciare la squadra del suo quartiere per trasferirsi al Benfica, come aveva raccontato qualche anno fa Dario Saltari. A rendere le cose ancora più difficili, Sanches era arrivato al Bayern in un momento di transizione, all’inizio della gestione di Ancelotti dopo la fine del triennio con Guardiola. Con Ancelotti, il Bayern ha iniziato a giocare un calcio più conservativo, che si rifletteva anche nella scelta dei giocatori. A centrocampo il tecnico emiliano preferiva giocatori più esperti e affidabili, come Vidal, Xabi Alonso e Thiago Alcántara. Sanches non riusciva ad ambientarsi, faticava a imparare il tedesco e la stagione successiva, dopo aver perso il posto anche nella nazionale portoghese, veniva ceduto in prestito allo Swansea, nel tentativo di fargli ritrovare fiducia e continuità nelle prestazioni. Una scelta strana in ogni caso, favorita dal fatto che ad allenare lo Swansea fosse Paul Clement, ex assistente di Ancelotti, che in teoria avrebbe dovuto avere un occhio di riguardo per Sanches. «Ho lavorato duro per averlo qui e significa che può venire con fiducia. Sta arrivando in club che lo ha voluto fortemente e da un allenatore che lo ha voluto fortemente», aveva detto Clement dopo l’accordo con il Bayern. E invece la stagione allo Swansea era andata anche peggio rispetto a quella precedente in Germania. Il momento simbolo, una delle giocate più ricordate di quella stagione, è un passaggio sbagliato difficile da spiegare, verso i cartelloni pubblicitari, in una situazione comoda con due compagni vicini, uno alla sua sinistra e uno alle spalle, e un altro, più difficile da raggiungere, più distante sulla linea laterale.

Almeno però è abbastanza preciso da colpire il logo rosso sui cartelloni pubblicitari. Forse lo aveva mirato di proposito.

Neanche la scelta di un allenatore portoghese, Carlos Carvahal, dopo l’esonero di Clement aveva migliorato la situazione. Anzi, Carvahal aveva criticato apertamente Sanches: «Renato ha un grande talento ma ha smesso di imparare quando ha lasciato il Benfica». A fine gennaio Sanches aveva giocato l’ultima partita con lo Swansea, poi nell’estate del 2018 era tornato al Bayern, ancora una volta all’inizio di un nuovo ciclo, quello di Niko Kovac. Una svolta che però almeno all’inizio sembrava poter aiutare Sanches. Kovac lo aveva accolto dicendo che avrebbe provato a metterlo a suo agio: «Se ti senti bene è più facile giocare bene. Ha qualità che non si vedono tutti i giorni in Bundesliga, ed è per questo che il Bayern lo ha comprato». Per un paio di mesi, da settembre a novembre, Sanches aveva giocato con una certa continuità ed era finalmente riuscito a segnare il suo primo gol, in Champions League proprio contro il Benfica. Lo aveva fatto mostrando il lato migliore del suo talento, portando il pallone dalla sua area alla trequarti offensiva, andando dritto come un treno e resistendo per tre volte ai tentativi degli avversari di trattenerlo, di rallentarlo. Poi aveva scaricato alla sua destra a Lewandowski, si era inserito in area e sul cross di James Rodríguez si era trovato da solo a spingere comodamente la palla in rete. Dopo il gol i suoi vecchi tifosi lo avevano applaudito. https://youtu.be/6JTQAL3BBD8?t=35 Finalmente, Sanches sembrava trovarsi bene al Bayern. «La squadra mi ha aiutato molto e sono felice», aveva detto dopo un pareggio contro l’Augsburg, «Ho più fiducia, l’allenatore mi dà fiducia. Prima di iniziare la stagione mi ha detto di lavorare perché il mio momento sarebbe arrivato. Mi ha dato la fiducia per giocare in una grande squadra come il Bayern». C’è un parola chiave ripetuta più volte in queste poche frasi, ovvero “fiducia”, un concetto fondamentale anche per un vecchio allenatore di Sanches, Hélder Cristóvao, che lo aveva allenato nella squadra riserve del Benfica: «Renato ha bisogno di affetto, di sentirsi parte di qualcosa e di sapere che c’è qualcuno che lo sostiene, critico ma in modo costruttivo, che sa come parlargli». La parentesi di felicità al Bayern era però durata giusto un momento. Sanches era tornato presto ai margini della squadra, a vedere il campo solo ogni tanto e negli ultimi minuti come sostituto, e nell’estate del 2019, all’inizio della nuova stagione, aveva fatto capire di volersene andare per giocare con più continuità. Così è finito al Lille, un altro cambiamento vissuto però in modo più maturo: «Mi ci è voluto circa un mese per adattarmi alla nuova vita, ogni campionato ha le sue debolezze e i suoi punti di forza», ha detto lo scorso gennaio, «La Ligue 1 è molto fisica, molto competitiva, ci sono tanti giocatori di talento». Secondo Christophe Galtier, l’allenatore del Lille, Sanches è ancora un giocatore di livello superiore, «da Champions League». Di tutti i giocatori che ha allenato, ha detto Galtier in un’intervista a France Football, soltanto uno lo ha colpito allo stesso modo di Sanches, pur con le ovvie differenze tra le loro caratteristiche. Un altro centrocampista, ancora più intenso di Sanches, eccezionale dal punto di vista fisico anche se con qualità diverse, ma meno tecnico con la palla: Blaise Matuidi. Galtier ha anche rivelato un lato di Sanches un po’ in contrasto con il suo stile di gioco, pieno di energia, libero e a volte disordinato: «Renato legge molto bene il gioco, analizza molto le sue prestazioni e in più guarda molto calcio, e sa come mantenere una posizione più difensiva». Sanches è insomma più riflessivo di quanto lascia intravedere quando gioca, ma anche secondo Galtier non è sempre lucido nelle scelte: «Può scegliere meglio le zone in cui dribblare e quelle in cui giocare sicuro, anche se è importante non fargli perdere il suo coraggio. In alcune partite, quando è in difficoltà, tende a fare le cose da solo e perde un po’ di lucidità». Questi difetti non hanno comunque impedito a Galtier di mettere Sanches al centro della sua squadra, in senso letterale. Galtier gli ha dato fiducia, lo ha fatto giocare con continuità dandogli un ruolo delicato, da centrocampista che giocando davanti alla difesa si occupa di far arrivare il pallone sulla trequarti. Considerate le caratteristiche di Sanches, per Galtier si è comunque trattato di un compromesso: «Il sistema migliore per lui è il 4-3-3, ha più libertà per avanzare. Nel 4-4-2 ha però più spazio davanti, non è vicino alla linea difensiva avversaria, dove è più difficile prendere velocità». Nel Lille Sanches gioca quindi nel 4-4-2 con un centrocampista centrale vicino, di solito con caratteristiche più difensive. Quando la squadra attacca è però sempre lui a occuparsi di ricevere la palla dai difensori per trasmetterla in avanti. Di fatto gioca da unico centrocampista arretrato e ha spazi e libertà per decidere come far continuare l’azione. Non fa solo ciò che gli riesce meglio, dribblare e avanzare palla al piede, ma alterna passaggi corti e lunghi, orizzontali e verticali, e si muove di continuo da un lato all’altro dal campo per farsi dare la palla e incidere sulla manovra. Se prima Sanches si esprimeva spezzando gli equilibri con la sua energia, con la sua elettricità, oggi invece tocca a lui essere il giocatore che dà ordine e controllo, che gestisce il ritmo e la direzione del possesso con una sensibilità che forse non gli era riconosciuta. Secondo i dati di Fbref relativi al campionato e all’Europa League, nel Lille Sanches è il giocatore che tenta più passaggi (79,4 per 90 minuti), il secondo in quelli riusciti (67,6 p90) dopo Soumaoro, difensore centrale di riserva che ha giocato solo 248 minuti. Sanches è molto più coinvolto nel gioco, tocca di più la palla, tenta una trentina di passaggi in più rispetto alla scorsa stagione e ne completa una ventina in più, e continua a essere tra i migliori per dribbling e conduzioni. Nel Lille è quarto per dribbling riusciti (2,05 ogni 90 minuti), superato solo dagli esterni offensivi Lihadji, Araújo e Bamba, ed è il migliore per metri percorsi in avanti in conduzione, dopo Lihadji, che però è un esterno di riserva e ha giocato poco più di 180 minuti. L’ultima grande prestazione di Sanches, prima di infortunarsi con la nazionale portoghese, è arrivata in Europa League, a San Siro contro il Milan. Yazici ha segnato una tripletta in quella partita, ma a dominare la scena in realtà è stato Sanches. https://twitter.com/kevjeffries/status/1324469997461266432 Va ovviamente considerato il contesto. Sanches si muoveva tra Brahim Díaz, che giocando da trequartista si occupava per primo di seguirlo o di impedirgli la ricezione, e Tonali, l’avversario che invece il portoghese aveva di fronte quando avanzava. Tra due avversari, cioè, che Sanches sovrastava a livello fisico. Díaz non era certo il miglior trequartista che aveva il Milan per pressare il portoghese, a cui quindi non bastava poco per smarcarsi e ricevere avendo tempo e spazio per la giocata. E Tonali davanti a lui non aveva il passo per stargli dietro quando Sanches avanzava palla al piede. Detto questo, non era nemmeno così scontato che il portoghese riuscisse a dominare a centrocampo con quella facilità, e non solo per i suoi dribbling, i tocchi di suola e i cambi di direzione improvvisi, o per come diventava imprendibile ogni volta che accelerava con la palla. Sanches ha gestito il possesso del Lille con intelligenza, alternando i momenti in cui giocava semplice con quelli in cui cambiava gioco senza sforzo, lanciando per decine di metri con la stessa tranquillità con cui si appoggiava in orizzontale al compagno più vicino. Certo, Sanches non è diventato all’improvviso un centrocampista razionale che dà ordine al gioco. Le sue scelte non sono sempre lucide e non è nemmeno raro che sbagli passaggi semplici. La sua tendenza ad avanzare palla al piede può essere rischiosa e causare squilibri, e poi non sembra nemmeno essere molto migliorato dal punto di vista difensivo. Sanches ha in teoria forza e intuito per dominare i duelli anche quando non ha palla, ma nel Lille è tra i peggiori per tackle vinti e ha dati bassi nelle pressioni portate. Oltretutto continua ad avere dei problemi nel posizionamento e si fa aggirare ancora con troppa facilità dai passaggi indirizzati alle sue spalle. Eppure, anche con questi difetti, Sanches brilla nel ruolo forse più cerebrale del gioco, il centrocampista davanti alla difesa, ed è il suo modo di interpretarlo, la distanza tra ciò che fa in campo, tra i suoi dribbling, le sue finte, la facilità con cui attraversa il campo palla al piede, e il gioco sobrio e razionale che idealmente è richiesto a chi gioca nella sua posizione, a renderlo così affascinante. Forse il suo passaggio al Bayern è stato troppo veloce, e non possiamo sapere oggi se in futuro Sanches riuscirà a imporsi a quei livelli. Magari non è nemmeno la sua ambizione, o l’obiettivo che lo ha spinto a fare un passo indietro accettando di firmare per il Lille. Non è infatti così scontato che in un calcio sempre più organizzato ci sia spazio per un centrocampista così strano, fuori dagli schemi, che ha bisogno di un margine di libertà che non molti allenatori, specie ai massimi livelli, sono disposti a concedergli. Forse nel Lille, Sanches ha cercato, e finora anche trovato, un posto in cui essere semplicemente sé stesso, dove giocare il suo calcio e mostrare di nuovo il lato migliore del suo talento. Un posto, insomma, dove essere felice: «Onestamente mi sento meglio adesso rispetto a quando ho firmato per il Bayern qualche anno fa. Più gioco più ho fiducia in me stesso, è questo a essere davvero cambiato da quel periodo», ha ricordato giusto qualche settimana fa.

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