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Patrik Schick, da centrocampo con amore
15 giu 2021
15 giu 2021
Un giocatore sempre in bilico tra magia e inconsistenza, capace di produrre singoli momenti eccezionali.
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Quattro anni fa Patrik Schick chiudeva la sua prima stagione in Serie A con 11 gol segnati e un’indelebile sensazione di magia trasmessa allo spettatore: era un giocatore che andava al di là della dimensione dell’efficacia su un campo da calcio; più che le cose che faceva, era il modo in cui le faceva a renderlo unico. Contro il Crotone, per esempio, aveva segnato un gol con un controllo che non è esagerato definire

. La palla gli era arrivata sulla trequarti, aveva un solo difensore alle spalle, e lui lo ha superato facendogli passare la palla di lato con un tocco leggero, prima di segnare con un disinvolto piatto sinistro. Un gol che sembrava rivelare la profondità e l’originalità del suo genio. Era uno dei pochi giocatori per cui valeva la pena usare quel concetto astratto, che non si sa bene cosa significhi, che è la classe.

 

Ecco, se quattro anni fa ci avessero detto che all’esordio in un torneo internazionale Schick avrebbe segnato due gol, di cui uno con un tiro da centrocampo, beh, non ci saremmo stupiti più di tanto. Era un giocatore dotato di magia e la cosa più naturale che potesse fare era continuare a spargere quella magia. Invece ciò che è successo nel mezzo - le delusioni e il fallimento - rende la doppietta di ieri di Schick particolarmente paradossale, almeno dalla prospettiva di un appassionato di Serie A, che conosce bene quanto in basso il rendimento di Schick possa scendere: quanto può essere inutile, inconsistente, persino dannoso; quanto può essere difficile per lui il gioco del calcio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=a2nY3Ltijfc

 

Da quando è andato via dalla Sampdoria, Patrik Schick ha conosciuto il fallimento. In due stagioni e 46 partite giocate con la maglia della Roma ha segnato appena 5 gol. Giocando da attaccante. Ma anche nel male, il fallimento di Schick è andato oltre i numeri. Si è tinto di una serie di dettagli grotteschi o semplicemente tristi. A cominciare dalle misteriose visite mediche non superate con la Juventus; una formula di acquisto cervellotica della Roma, ma dilazionata in un tempo lungo in cui il club sperava di godersi il suo talento. Poi, appena arrivato alla Roma, ha rilasciato una lunga intervista a un giornale ceco raccontando i periodi iniziali alla Sampdoria, quando non giocava e, disperato, chiamava il suo agente in lacrime sdraiato sul letto. Aveva detto di essere “sollevato” di essere andato alla Roma, non felice: sollevato.

 

Ma aveva anche aggiunto che nel giro di qualche anno sperava di essere al Real Madrid o al Manchester United. Fra le cose incredibili dette, una colpiva più di altre. Parlando di una volta in cui aveva fatto da raccattapalle a Wayne Rooney, aveva detto: «Questo è quello che voglio, non dover mai avere un lavoro normale. Vivere come lui». Un’intervista che ha messo la sua esperienza a Roma subito sotto una luce sinistra. Ha scontato soprattutto la sua incollocabilità tattica in un modulo con un’unica punta, ma anche uno stile di gioco equivoco e difficile da capire. A cosa serve un centravanti in grado di giocate sopraffine ma totalmente a disagio spalle alla porta, negli smarcamenti e, più in generale, a contatto con i difensori? La Roma aveva bisogno di concretezza e Schick sembrava un dipinto di Renoir attaccato in una casa a cui mancavano le tubature per l’acqua.

 

Nel mezzo delle difficoltà, il suo preparatore personale ha costruito un quadro di problemi che fatichiamo a far coincidere con quelli di un atleta professionista: «Prima di tutto abbiamo lavorato sulla respirazione, uno dei grandi limiti di Patrik»; e oltre al lavoro su inspirazione ed espirazione, gli ha rafforzato le gambe, lo strumento principale di un calciatore: «Patrik è debole negli arti inferiori e nella capacità di sfruttare l’ossigeno»,

. Nonostante abbia vissuto buoni momenti - era pur sempre uno dei titolari del leggendario Roma-Barcellona - la sua esperienza ha finito per venire incorniciata attorno a un unico momento, quando all’ultimo minuto di Juventus-Roma ha avuto sul suo piede sinistro la palla del pareggio.

 

Tutto è diventato iconico, la corsa da struzzo, la preparazione del tiro, la scelta nefasta di tirare addosso a Szczesny, la caduta saponata, che ha confermato il senso di instabilità che Schick comunica sempre su un campo da calcio. Il grido acuto di dolore del telecronista-tifoso Carlo Zampa: «Schick, Schick, NOOOOOOOOO». Il suo fallimento è diventato un simbolo della Roma: la sua bellezza, le promesse di gloria, ma anche la sua incredibile fragilità. La sensazione che la realtà più solida possa andare in pezzi da un momento all’altro. Il fatalismo per cui una cosa bella può trasformarsi nel suo contrario in un istante. La sua efficacia simbolica è diventata talmente evidente che il gruppo di meme di riferimento dei tifosi della Roma si chiama, per l’appunto,

.

 

https://www.youtube.com/watch?v=1xIHnOO961k

 

L’immagine del suo errore decisivo contro la Juventus, sarà tornato nella testa dei tifosi della Roma, quando ieri pomeriggio, intorno alle 16.10, Schick ha calciato di prima intenzione una palla che usciva dalla difesa. Era oltre il centrocampo di qualche metro, ha accorciato il passo e lasciato partire un tiro assurdo per la sua traiettoria e per la sua complessità fisica. Il tiro è passato sopra la testa del portiere ed è entrato.

 

I gol da centrocampo possiedono una precisa estetica, basata anche sul semplice fatto che non siamo preparati a quello che stiamo vedendo: non c’è una sintassi di gioco che ci prepari all’evento. È un gesto tecnico folle e improvviso, che però spesso coincide con una perfetta razionalità. Per esempio, Schlick ha dichiarato di aver notato, nel primo tempo, che la posizione del portiere scozzese era spesso lontana dai pali, quindi aveva pensato di provarci. Schick però non ha tirato un semplice pallonetto da centrocampo, ma un tiro colpito con l’interno che prima di rientrare verso la porta ha preso una strada lunghissima e incredibile, apprezzabile solo dai replay più angolati. C’è una foto, dalle spalle, che - complice la prospettiva - fa sembrare il pallone diversi metri a lato dalla porta; e un video dall’alto mostra la palla prendere un giro così estremo che pare animata da vita propria. Una di quelle traiettoria da fumetto giapponese.

 



 

Cosa ha pensato il portiere? Forse il fatto che doveva seguire con gli occhi una traiettoria così alta e arcuata gli ha fatto perdere l’orientamento. Nel momento in cui si gira verso la porta, è già per guardare il pallone entrare, eppure prova un goffo ultimo tentativo. Fa un balzo in avanti senza senso, poi si impiglia nella rete come una mosca. I fermo immagini sono crudeli, e quindi infinitamente memabili.

 

https://twitter.com/santiguillito4/status/1404519524829908995?s=20

 

C’è tutto Schick nel contrasto fra il ricordo di quel gol semplice sbagliato contro la Juve e questo tiro incredibile. Un giocatore sempre lontano dalla normalità, in bilico tra il glorioso e il grottesco, tra la totale inconsistenza e la magia. Chi conosce il suo gioco poteva aspettarsi, se non un gol a centrocampo, la possibilità che Schick potesse vivere un momento del genere a questi Europei.

 

E ora può, di riflesso, aspettarsi che non tocchi più una palla per tutto il torneo.

 

In un certo senso è stato più eccezionale il gol segnato da Schick nel primo tempo, bello ma solido come quello di un numero nove che non è mai stato. Uno stacco di testa in mezzo ai due difensori centrali della Scozia, colpito con l’angolo della testa e indirizzato sul secondo palo. Il tipo di gol che ci si aspetta che segni con costanza, e che lui sembra rifiutare. Il secondo, invece, è il gol segnato da più lontano nella storia degli Europei: 45 metri, incastonato in una partita che descrive bene la casualità del risultato, e il peso degli episodi (e dei giocatori) nei tornei per nazionali. La Scozia ha attaccato molto, e spesso con una qualità superiore a quella della Repubblica Ceca. Ha prodotto 2,26 xG, a fronte dei 0,56 degli avversari. Ma un paio di lampi di grandezza di Schick sono bastati per piegarla.

 

Dopo il fallimento alla Roma, Schick si è ricostruito una carriera di alto livello in Germania, prima al RB Lipsia e poi al Bayer Leverkusen. È restato lontano dai picchi che pareva promettere, ma ha giocato abbastanza bene da convincere il Leverkusen a investire 25 milioni su di lui. Quest’anno ha segnato 9 gol e non capisco se video come

, che la Bundesliga gli ha dedicato mettendolo a confronto con Haaland, siano ironici o meno.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ICGJkM9ze54

 

Il video è pazzesco, siamo ai limiti di quel genere parodico in cui si mettevano a confronto le azioni di Moscardelli e Mbappè. È difficile immaginare due esseri umani più diversi, tra l’estrema vitalità di Haaland, il prototipo più avanzato della nostra specie, e Schick, un modello di Prada che gioca a calcio. Ma ci sono almeno un paio di gol notevoli, di cui uno segnato al Bayern Monaco con un tiro di collo pieno elegante e violento.

 

I tornei internazionali si prestano in maniera particolare a esaltare i giocatori in grado di produrre singoli momenti eccezionali, e per quanto è strano dirlo, Schick è uno di loro.

 

Chi si stupirebbe, se questo diventasse, davvero, l’Europeo di Patrik Schick?

 

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