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Gianluca Losito

Sarà fondamentale lavorare bene, intervista a Guido Angelozzi

Abbiamo parlato con il il direttore dell’area tecnica del Frosinone.

In questo primi mesi di Serie A c’è una squadra che più di ogni altra si è messa in luce per la brillantezza del gioco e l’inaspettata qualità degli interpreti: è il Frosinone allenato da Eusebio Di Francesco. Il tecnico abruzzese, dopo alcune esperienze negative, sta ritrovando in Ciociaria la giusta dimensione per esprimere il suo calcio, valorizzando diversi giovani di prospettiva, tra cui prospetti provenienti da società prestigiose (come Soulé, Barrenechea, Reinier e Arijon Ibrahimovic) ma anche altri con un percorso più umile (come Monterisi, Cheddira e Brescianini).

 

Se Di Francesco è l’architetto che ha dato una forma a questa squadra in campo, il demiurgo che ha plasmato la rosa e che da tre anni sta lavorando per far crescere il Frosinone è il direttore dell’area tecnica, Guido Angelozzi. Arrivato nel 2020, appena dopo la sconfitta nei play-off contro lo Spezia (di cui proprio era all’epoca DS), Angelozzi ha ricostruito l’identità del Frosinone trasformandola in una squadra giovane, offensiva e sostenibile dal punto di vista economico, abbassando sia età media che monte ingaggi.

 

Nato nel 1955, Angelozzi ha iniziato a fare il direttore sportivo all’alba degli anni Novanta, convinto da un amico che l’aveva portato a lavorare nel suo Leonzio (squadra dilettantistica con base nella provincia di Siracusa), per poi proseguire per sei anni nella Fidelis Andria, che disputò con Angelozzi cinque campionati di Serie B. Dopo alcune brevi esperienze nella prima metà degli Anni Zero, Angelozzi ha vissuto altri due lunghi cicli in Puglia, con il quadriennio a Lecce e quello a Bari, terminato con la celebre “meravigliosa stagione fallimentare” da cui è stato girato il docufilm omonimo.

 

È nell’ultimo decennio, però, che Angelozzi ha raggiunto i risultati più prestigiosi della sua carriera: tre anni a Sassuolo, con cui ha raggiunto l’Europa League per la prima e finora unica volta nella storia della società emiliana; un biennio allo Spezia, culminato con il raggiungimento della Serie A (anche in questo caso, prima volta nella storia dei bianconeri); e infine quest’ultimo periodo al Frosinone, che è una delle squadre rivelazione di questo campionato.

 

Nell’analisi di questo Frosinone vorrei partire dal manico. La scelta Di Francesco è stata una scommessa, considerata la storia recente del tecnico abruzzese. La conoscenza pregressa dovuta alle esperienze di Perugia e Sassuolo [dove Angelozzi ha avuto Di Francesco rispettivamente da calciatore e allenatore, nda] avrà aiutato, ma che corde ha toccato con lui per convincerlo ad unirsi al vostro progetto?

Non ho dovuto convincerlo molto, perché alla base c’è tra noi un rapporto di stima reciproca che ha radici profonde e che mi ha portato a sceglierlo per allenare questo Frosinone. Nel lavoro quotidiano c’è una netta separazione di ruoli, lui si occupa interamente del campo e io mi occupo della parte gestionale; per il resto, gli stiamo dando la possibilità di lavorare serenamente e con un gruppo giovane, accogliendolo nella famiglia del Frosinone.

 

 

Lei ha il raro pregio di saper proteggere i suoi tecnici, dandogli tempo quando sono in difficoltà. Che tasti tocca per far lavorare al meglio i suoi tecnici nei momenti difficili?

Seguo gli allenatori quotidianamente, se li scelgo è perché ho grande fiducia nei loro confronti. Giudico gli allenatori sulla base del loro lavoro; se ritengo che stiano lavorando bene, non vedo perché doverli esonerare. Ad esempio, con Italiano allo Spezia eravamo ultimi in classifica dopo sette giornate in Serie B, ma io ritenevo che lui si stesse comportando bene e l’ho fatto lavorare, alla fine siamo arrivati in Serie A. Oggi lo ritengo uno dei migliori allenatori italiani.

 

 

Com’è strutturata l’area tecnica del Frosinone? Da quanti professionisti è composta e come sono suddivisi i compiti? Vi fidate più del proverbiale “occhio” o osservate con maggior attenzione le statistiche? 

Siamo in quattro. I miei tre osservatori [Tommaso Boarini, Gabriele Lolli e Gianluca Longo, nda] si occupano di Nord, Centro e Sud Italia, ma c’è molto altro oltre questo, perché ci guardiamo intorno in tutto il mondo. Faccio un esempio: la scorsa settimana siamo stati ad un torneo Under 20 in Spagna, mentre questo weekend siamo in Albania per un altro torneo giovanile. Lo scorso anno siamo stati una sole delle due società di Serie B presenti al Mondiale Under 20 in Argentina [assieme al Parma, nda]. Adesso abbiamo un nostro calciatore che sta partecipando al Mondiale Under 17, l’attaccante venezuelano classe 2006 Alejandro Cichero, che abbiamo prelevato in estate e stiamo facendo crescere. Per quanto riguarda il metodo, ci fidiamo prevalentemente di quanto vediamo, le statistiche le mettiamo in secondo piano. Valutiamo il talento, su cui poi ci confrontiamo con l’allenatore per capire se il calciatore è compatibile con il suo modo di giocare.

 

 

Ci sono alcuni calciatori che, più di altri, rappresentano il “metodo Angelozzi”. Mi riferisco a ragazzi come Monterisi, Gelli e Oyono, arrivati da categorie minori e fatti crescere progressivamente. Che tipo di lavoro c’è sia nella fase di reclutamento che in quella del lavoro quotidiano?

Sono calciatori che abbiamo prelevato con un lavoro di scouting e fatto crescere con il tempo, anche facendoli sbagliare. Il caso di Oyono è perfetto: l’abbiamo prelevato dal Bologne, che era ultimo in terza serie francese, quando in molti non avrebbero creduto in lui. Noi abbiamo avuto il merito di dargli fiducia e farlo crescere. Ma è un discorso che vale in linea di massima: oggi abbiamo calciatori 2003 o 2004 su cui stiamo lavorando e che speriamo abbiano la possibilità di esprimersi fino al termine della stagione.

 

 

Nel salto dalla B alla A gli scetticismi più forti provenivano in relazione alla composizione della rosa: troppi prestiti, c’era chi pensava la struttura si sarebbe sfaldata. Ci è voluto poco a ricreare un’identità di squadra. Anche quest’anno, però, avete tanti calciatori in prestito. È un qualcosa che la preoccupa per il medio-lungo termine?

Abbiamo iniziato un nuovo progetto tecnico con Di Francesco cambiando tanto, anche quest’anno abbiamo cambiato quasi venti calciatori. Con l’arrivo in Serie A c’è bisogno di calciatori di maggior qualità, noi abbiamo cercato di portare quella qualità in più per competere a questo livello, che è molto difficile. È possibile avere alcuni calciatori solo con la formula del prestito, basta pensare a Soulé o Barrenechea dalla Juventus; le grandi società te li danno in prestito per valorizzarli, altrimenti sarebbe quasi impossibile averli. Avere tanti calciatori in prestito non mi preoccupa, perché io ragiono di anno in anno. Inoltre, abbiamo iniziato a creare quel blocco di 8-10 calciatori di proprietà su cui puntare per il futuro e sul quale vogliamo porre le basi.

 

 

Negli anni si sono viste tante neopromosse partite bene e poi calare alla distanza. Cosa teme maggiormente del girone di ritorno?

Penso che tutto il campionato sia difficile, la Serie A è un campionato difficilissimo. Noi dobbiamo solo continuare a comportarci bene come abbiamo fatto finora.

 

 

Soulé e Reinier sono tra i giovani più in vista di questa squadra, entrambi provenienti da società di spicco come Juventus e Real Madrid. Che percorso stanno facendo? Su Reinier, in particolare, pensa che una chiave della sua crescita possa essere quella di giocare al centro del campo?

Soulé è un calciatore di grande qualità, sul quale siamo “stati dietro” per oltre un mese. Nella testa mia e del mister è una sorta di corrispettivo di quello che era Mimmo Berardi a Sassuolo, ossia quel calciatore che parte da destra e si accentra sul piede forte mancino; lui ha grandi qualità tecniche. Per quanto riguarda Reinier, lo ritengo un calciatore versatile, che può giocare sia in posizione di mezzala, che di esterno o di sottopunta. Credo però che abbia le qualità per diventare un grande centrocampista centrale.

 

 

Di recente Angelozzi ha detto «la cosa che mi piace più di tutte è decidere». Che tipo di rapporto ha avuto con le proprietà nel corso della sua carriera?

Nelle mie esperienze più importanti ho sempre avuto modo di lavorare con autonomia, avendo un rapporto diretto con le varie proprietà per le quali ho lavorato: penso a Semeraro a Lecce, i Matarrese a Bari o Gabriele Volpi allo Spezia. Solo al Sassuolo ho trovato una struttura con più amministratori, occupandomi nello specifico dell’area tecnica.

 

 

Quest’anno il Frosinone si è interfacciato con società di respiro internazionale [Juventus, Milan, Bayern Monaco, Real Madrid, nda] per completare la sua rosa. Come sono andati i colloqui con questi club? Che valore hanno riconosciuto nel Frosinone e in Angelozzi?

Personalmente faccio questo lavoro da tanti anni e mi sono creato una rete di conoscenze e di credibilità che le società riconoscono, soprattutto a livello italiano. Allo stesso modo, le società riconoscono il valore del Frosinone. A livello internazionale mi sono servito di alcuni contatti [per esempio Ariedo Braida per l’operazione Reinier, nda] per arrivare ai calciatori che abbiamo portato a Frosinone.

 

Proprio con i gol di Reinier e Soulé, il Frosinone ha battuto il Verona per 2-1.

 

 

Il progetto del Frosinone è tra i più sostenibili del calcio italiano, ma non è ancora riuscito a rimanere in Serie A per più di una stagione. Crede che nel futuro prossimo ci siano gli strumenti per stabilizzarsi nel massimo campionato?

Senza dubbio è possibile, sarà fondamentale lavorare bene. Questa stagione è fondamentale per stabilizzarsi in Serie A e iniziare un ciclo.

 

 

Oltre ai successi della prima squadra, il Frosinone ha disputato un’ottima stagione l’anno scorso in Primavera. Il settore giovanile è un altro fiore all’occhiello della società ciociara, costruito con una forte impronta del territorio. Che lavoro avete fatto in questi anni?

In questi anni abbiamo lavorato bene con Giorgio Gorgone [oggi allenatore della Lucchese, nda], che ha fatto un ottimo lavoro biennale, vincendo prima la Primavera 2 e poi facendo un altro splendido campionato in Primavera 1. Quest’anno abbiamo scelto Angelo Gregucci come allenatore, un allenatore esperto che io ho conosciuto alla Reggiana, a cui ho chiesto di darmi una mano ed unirsi al nostro progetto per rimettersi in gioco.

 

 

In trent’anni di carriera, quanto è come e cambiato il mestiere del direttore sportivo?

È cambiato in tanti aspetti: l’utilizzo delle statistiche e degli algoritmi, l’avvento dei social, il cambiamento dei metodi di allenamento. Io ho cercato e cerco di rimanere sempre aggiornato su tutto. Ciò che non è cambiato in tutti questi anni è il mio approccio con i calciatori: prima di acquistarli mi soffermo sempre a parlare con loro, cerco di capire che tipi di persone sono, che famiglia hanno alle spalle e che ambizioni covano.

 

Le intuizioni di cui va più fiero?

Anche qui, dopo tantissimi anni di lavoro non mi è semplice scegliere, avendo visto passare tanti calciatori. Senza dubbio le operazioni più belle sono quelle di calciatori che ho preso dai settori giovanili e sono arrivati ad alti livelli; penso a nomi come Politano o Frattesi, che sono alcuni tra i più importanti. Mi viene naturale soffermarmi sulle ultime operazioni, come quelle di Boloca, che abbiamo preso dall’Interregionale e portato al Sassuolo, o Gatti, prelevato dalla Pro Patria e ceduto alla Juventus.

 

 

A proposito di Gatti e Boloca, come si spiega la loro traiettoria di carriera? Pensa che il loro passaggio da categorie minori sia dovuto a situazioni particolari o c’è stata una negligenza nell’osservare quel talento?

Se dicessi che è il secondo caso farei una critica a qualcuno, e io non sono solito fare critiche a colleghi. Sicuramente c’è stato qualcosa che non è andato nei loro percorsi, qualche errore fatto che li ha portati a trovarsi lì. Quel che è importante però è che si siano ritrovati e siano tornati ad esprimere il loro talento al massimo delle loro possibilità.

 

 

C’è un’esperienza della sua carriera che porta particolarmente nel cuore?

Difficile scegliere, perché mi porto tante cose belle anche dalle esperienze più complicate, cerco sempre di prendere il bello da tutto quello che ho fatto. Sicuramente se penso a quanto fatto a La Spezia, dove abbiamo portato una squadra in Serie A per la prima volta in 120 anni di storia, è uno dei ricordi che conservo con più passione, così come quello che stiamo facendo a Frosinone adesso. Sono grato per tutto quello che ho potuto fare nel corso degli anni, lavorando nel calcio e con i giovani per tanti anni. Sono soddisfatto del mio percorso in questo mondo.

 

 

 

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Gianluca Losito è nato ad Andria nel 2001. Studente di economia e management, ha scritto di sport online e su carta. Conduce un podcast sul ciclismo, "Angliru: Ciclismo all'insù". Sogna un giorno di vedere tutti gli stadi d'Italia.