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Emanuele Mongiardo
In Europa contano i momenti
10 mag 2024
10 mag 2024
Come la Roma aveva trovato la via per rimontare contro il Bayer Leverkusen.
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Emanuele Mongiardo
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IMAGO / Sports Press Photo
(foto) IMAGO / Sports Press Photo
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L’azione che ha portato al calcio d’angolo del Bayer Leverkusen da cui è scaturito l’autogol di Mancini è una perfetta sintesi della partita di ieri sera e del perché, alla fine, la Roma non ce l’abbia fatta a completare la rimonta. De Rossi aveva appena inserito Smalling e Abraham al posto di Angelino e Pellegrini. Sembravano due cambi perfettamente sensati: Smalling avrebbe aggiunto centimetri e qualità difensiva necessari per difendere l’area dall’assalto tedesco, Abraham avrebbe dato una mano a Lukaku nel chiamare i lanci e contendere le seconde palle. Era questo lo scenario ipotizzato da De Rossi per il finale di partita. Il problema è che neanche due minuti più tardi è arrivato il gol dell’1-2. La Roma dopo il secondo gol di Paredes si era asserragliata negli ultimi trenta metri. Aveva continuato a rischiare, ma comunque meno di quanto avesse fatto nel primo tempo. Dopo le due sostituzioni, però, per la prima volta dal rigore dello 0-2 ha avuto l’occasione di distendersi per attaccare. Su un campanile Abraham ha vinto il duello aereo con Tah e ha spizzato per Lukaku alle sue spalle.

Hincapié è riuscito a intervenire ma il belga lo ha infastidito, e così sulla sua respinta corta si è avventato Bove, che ha servito Abraham in profondità.

L’inglese è entrato in area ma ha provato un improbabile scarico all’indietro dove c’erano solo giocatori avversari. La palla è finita tra i piedi di Palacios. Bove, nonostante non avesse copertura alle spalle e dietro di lui ci fosse Xhaka, si è alzato in riaggressione. Palacios ha verticalizzato per Xhaka e il Leverkusen ha costretto la Roma a correre all’indietro.

Xhaka ha trovato Frimpong sulla corsa con un filtrante di difficile esecuzione, l’olandese ha saltato Ndicka e sul suo cross, provvidenzialmente, El Shaarawy è riuscito a deviare in corner.

Per far ripartire il Leverkusen è bastato che la Roma attaccasse senza concludere l’azione: sarebbe stato meglio, cioè, che Abraham avesse calciato fuori o che avesse crossato in rimessa laterale, piuttosto che tentare una giocata ambiziosa come il cross a rimorchio; almeno si sarebbe prevenuta la transizione. Quando basta così poco per subire un’occasione da gol vuol dire che l'avversario era davvero di alto livello, e non è una notizia che il Bayer Leverkusen lo sia. Il rimpianto di essersi esposti in una situazione così casuale rimarrà, così come rimarrà la rabbia per l’arco narrativo della partita: il domino degli scontri in area causato da chi, come Smalling, era entrato per mettervi il lucchetto, a quell’area; l’errore di Svilar, il migliore in campo, senza il quale il discorso qualificazione sarebbe stato ampiamente chiuso già nel primo tempo; infine, il pallone che colpisce proprio il corpo di Gianluca Mancini, al secondo autogol decisivo dopo quella della finale col Siviglia. Mancini è un po’ il simbolo della Roma europea di questi anni, un centrale capace di sopperire ai propri limiti con l’applicazione e le malizie tipiche dei difensori, ma fustigato dallo spirito delle coppe europee, di solito piuttosto indulgente nei confronti di questi comportamenti. Lo scorso anno Mancini era entrato sottopelle ai giocatori del Leverkusen, ed è probabile che Frimpong si riferisse a lui, ai microfoni, quando ha detto che «è una grande sensazione aver battuto la Roma perché hanno parlato un sacco». Rimorso a parte, va detto che la situazione che ha portato al calcio d’angolo decisivo è stata una costante lungo tutti i 180’. La Roma magari arrivava timidamente nell’ultimo terzo di campo, il tentativo di innescare le punte generava seconde palle, ma la riaggressione non era mai efficace. Anche se è andata meglio rispetto all'andata, i giocatori giallorossi più vicini alla palla scattavano spesso verso l’avversario con un istante di ritardo.

Altre volte, invece, i centrocampisti non seguivano i giocatori più avanzati che si lanciavano in riaggressione.

Gli attaccanti della Roma, quindi, non avevano il passo per sostenere il gegenpressing, e i centrocampisti non riuscivano ad accompagnare. Contro una riaggressione tanto inefficiente, il Bayer aveva gioco facile nel trovare i mediani Xhaka e Palacios alle spalle dei romanisti e ripartire. E così quasi ogni tentativo di riaggressione da parte della Roma ha coinciso con un’occasione del Bayer. La fase di non possesso, in generale, è ciò che più di tutto ha determinato lo scarto tra le due squadre. Anche in fase di difesa posizionale, la Roma del primo tempo della Bay Arena è stata incredibilmente passiva. Un esempio ne è stata la prestazione di Angelino in fase di non possesso. De Rossi ha optato per il 3-5-2, inserendo un difensore in più per provare a controllare meglio lo spazio tra le linee attraverso le uscite aggressive dei centrali. Come terzo difensore ha scelto proprio lo spagnolo, in modo da aggiungere anche qualità alla fase di possesso. Il Bayer era schierato con un 3-4-2-1 e nella zona di Angelino gravitava la mezzapunta destra Hofmann. Il tedesco si abbassava e Angelino non aveva mai il coraggio di spezzare la linea per seguirlo. Così Hofmann poteva ricevere e girarsi senza problemi. I centrocampisti più vicini ad Angelino, Pellegrini e Paredes, non sembravano accorgersi delle sue difficoltà e non si preoccupavano né di coprire di la linea di passaggio verso Hofmann, né eventualmente di rientrare su di lui. La possibilità di trovare Hofmann tra le linee ha consentito agli uomini di Xabi Alonso di schiacciare sempre di più la Roma. I giallorossi, dietro, accettavano gli uno contro uno e il fatto di aver lasciato Zalewski ed El Shaarawy isolati con Grimaldo e Frimpong ha creato un mismatch pericoloso per la Roma. Da questo è nato per esempio il tiro a rientrare dell’olandese dopo aver saltato El Shaarawy verso l’interno; ma anche la doppia parata di Svilar su Adli e Hlozek nata da un taglio di Grimaldo alle spalle di Zalewski. Anche ieri sera, quindi, il Bayer si è dimostrato superiore. Eppure, ad un certo punto la Roma si è rimessa in carreggiata e ha dato la sensazione di poter passare il turno. Come è possibile? Quella di Xabi Alonso sarà anche una delle squadre migliori di questa stagione, ma la partita di ieri sera ci ha ricordato quanto nelle eliminatorie europee giocare meglio dell’avversario (nel senso di creare più occasioni e limitare i pericoli, non di un’idea vaga di giocare bene che in Italia è associata più all'estetica e allo spettacolo che all'efficacia), non sia più importante di dettagli come la capacità di resistere e di volgere a proprio favore i singoli momenti. Questi sono aspetti che ormai la Roma ha imparato a padroneggiare e sono anche il motivo per cui è riuscita a portare questo doppio confronto in bilico fino alla fine. Per il primo, i giallorossi si sono affidati a Svilar, principale argomento a cui aggrapparsi per rimanere in partita; per il secondo, è stato fondamentale l’apporto delle punte nei duelli coi difensori. Xabi Alonso ha un’infinità di meriti nell’aver costruito una squadra tanto forte. Il più grande, forse, è di aver reso inscalfibile una squadra senza nessuna eccellenza difensiva. Anzi, si può dire che molti dei difensori a disposizione del basco fossero inclini all’errore prima del suo arrivo. La Roma, ieri, ha saputo dissotterrare queste debolezze, evidenti nella difesa dei cross. Sono bastati dei traversoni dalla trequarti di Angelino, uniti all’inserimento di un centrocampista da dietro, per generare il dubbio nel terzetto Tapsoba-Tah-Hincapié. Il primo a scricchiolare è stato Tah. Al 40’, su un cross dalla trequarti, Tah prima si è fatto spostare con le braccia da Azmoun, poi, nel tentativo di non perderselo, lo ha atterrato in area. Il rigore, trasformato da Paredes, non ha cambiato del tutto il copione della gara, ma ha dato maggior convinzione alla Roma. Ci sarebbe stato da soffrire, ma l’occasione per recuperare avrebbe potuto presentarsi in qualsiasi istante. I centrali di De Rossi, allora, hanno accettato con più coraggio l’uno contro uno e anche Angelino ha iniziato a seguire Hofmann lontano dalla difesa. Il Bayer non ha comunque perso palla, fornendo sempre un appoggio al giocatore che si ritrovava a ricevere con l’uomo addosso. Non sono mancate le occasioni in cui i giocatori offensivi di Xabi Alonso si sono fatti trovare liberi muovendosi alle spalle del proprio marcatore, magari dentro l’area. Rispetto al primo tempo, comunque, la Roma ha impedito più spesso a Hlozek, Adli e Hofmann di girarsi frontalmente. Questo ha permesso di prolungare la resistenza, in attesa che arrivasse il momento propizio per colpire. Quell’occasione si è presentata all’ora di gioco, quando la Roma è riuscita più volte a recapitare il pallone in area, fino a causare il tocco di mani di Hlozek. È partito tutto da un altro cross dalla trequarti di Angelino, fotocopia di quello del primo tempo. La palla è spiovuta su Lukaku, che si è imposto nel duello con Hincapié usando le braccia – parte del corpo che i difensori del Leverkusen, invece, non sembrano saper usare. Lukaku ha appoggiato a Pellegrini, il cui tiro è finito sulla schiena di Cristante. Il centrocampista, comunque, ha saputo prolungare la sfera su Zalewski, il cui cross è stato ribattuto in fallo laterale. Zalewski con la rimessa ha rispedito la palla in area e il Bayer ha deviato in angolo. La battuta di Pellegrini è finita sulla mano di Hlozek. La Roma, a quel punto, aveva portato la partita dove desiderava. Si è compattata nel suo 5-3-2 e ha difeso al meglio delle proprie possibilità. Non abbastanza per non concedere palle gol, vista la qualità del Bayer nel leggere gli spazi in cui muoversi anche contro blocchi bassi: ogni volta che un giocatore della Roma si alzava in marcatura sul riferimento, ce n’era uno del Bayer pronto a inserirsi alle sue spalle in quello spazio lasciato libero e dettare il passaggio. Nonostante questo, sopravvivere sembrava possibile. Poi, però, al primo tentativo di allungarsi per attaccare, seguito dalla scelta di Bove di riaggredire senza essere supportato dai compagni, è arrivato il calcio d’angolo dell’1-2. Era difficile chiedere di più alla Roma, a cui va dato il merito di aver incrinato le certezze di una squadra fortissima e completamente in fiducia. Questo ritorno, anzi, aumenta i rimpianti per com'è finita l'andata: non tanto per gli errori, quanto per il modo in cui si è lasciata prendere dallo sconforto all’Olimpico dopo l’errore di Karsdorp. Adesso all'orizzonte c'è la decisiva sfida con l'Atalanta per la qualificazione in Champions League e, ancora più lontano, forse anche un nuovo ciclo. Un nuovo direttore sportivo, chissà anche forse una rosa profondamente rinnovata. Arriverà il momento delle scelte, insomma, e tra le cose da preservare dovrà esserci lo spirito con cui i giallorossi hanno riaperto questa partita. Lo stesso spirito che li ha portati in fondo ad ogni stagione europea da quattro anni a questa parte.

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