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Emanuele Atturo

Joselu: Lisan al Gaib

L'uomo del destino.

La scorsa estate il Real Madrid voleva comprare Mbappe, e invece ha comprato Joselu. E cosi Mbappé è uscito dalle semifinali di Champions League con l’espressione basita e le mani sui fianchi, e Joselu con la faccia sul prato, gli occhi rotti dalle lacrime, dopo aver segnato una doppietta decisiva per portare la Casablanca alla finale.

 

Mentre il talento di Mbappe è stato accartocciato dalla disciplina della difesa del Borussia Dortmund, Joselu ha segnato due gol in una decina di minuti giocati. Mbappé ci ha provato in tutti i modi, da lontano o da vicino, tirando di potenza o precisione, per chiudere azioni solitarie o collettive. Cercando di dare fondo al proprio incredibile repertorio tecnico. Il gol è sembrata una faccenda intricata, un mistero sigillato nelle notti di Champions. A Joselu è invece bastato ronzare un paio di volte intorno alla riga di porta per fare due gol semplici come l’aria e mandare a casa il Bayern Monaco. Una dimostrazione insuperabile di economia di talento ed energie.

 

Joselu ha fatto due gol con i primi due palloni toccati. Joselu non ha nemmeno dovuto fare lo sforzo di coordinarsi, i suoi quasi non sono neanche tiri. Ha piegato due volte il proprio corpo in modo che la palla gli sbattesse contro per entrare in rete. Si può dire che il miglior talento di Joselu sia stato quello di essere un corpo solido. Nel primo gol è stato l’unico, tra i 19 giocatori di movimento in campo, e tra tutti quelli che guardavano la partita allo stadio o da casa, a credere all’errore di Neuer. A credere, cioè, che uno dei migliori portieri della storia e il migliore in campo fino a quel momento, non avrebbe trattenuto un tiro ciancicato di Vinicius Jr. Joselu è andato su quel pallone con la sicurezza di chi, forse, ha gettato un incantesimo sul portiere per fargli scappare la palla tra le mani. Nel secondo gol si è ingobbito per colpire il cross di Rudiger con una parte indecifrabile tra il ginocchio e la gamba.

 

Il gol gli viene annullato e lui, dopo una breve frustrazione, forse realizza che sarebbe stato veramente troppo. Due gol in cinque minuti nella semifinale di Champions. Poi invece l’arbitro controlla e il gol gli viene assegnato. Joselu fatica a crederci, e francamente anche noi. Ficcato in questo scherzo in cui non sa quali piani del destino Dio – e cioè il Real Madrid – ha riservato per lui. Quando in tv gli hanno chiesto di parlare col cuore: «Se vi parlo col cuore mi esplode». Ha poi detto una cosa che suona vuota e retorica ma non lo è, se ci pensate bene: «Se la scorsa notte avessi sognato la partita di oggi, non sarei comunque riuscita a sognarla così».

 

Quando il Real Madrid ha capito di non poter comprare Mbappé ha deciso di prendere Joselu. Che è come dire che un miliardario che non può comprare una specifica villa negli Hamptons decidesse, per dispetto, di vivere in un seminterrato nella provincia di Brescia. È sembrata subito una mossa strana, provocatoria, persino passivo aggressiva. Visto che non posso comprare il miglior attaccante al mondo prendo il peggiore. Non il peggiore, dai, ma uno qualsiasi. Un tifoso che due anni fa era letteralmente in tribuna con la “camiseta” del Real Madrid a sostenere la squadra nella finale contro il Liverpool. Uno che poco più di dieci anni fa chiedeva un link buono per guardare la partita del Real. Prendo questo tifoso e gli do la maglia da centravanti della mia squadra.

 

Del resto non è solo una cosa del Real Madrid, questa di prendere centravanti all’apparenza fuori luogo. Ieri il Bayern Monaco ha provato a fare la sua mossa Joselu con Choupo-Moting (che comunque ha un curriculum migliore e delle doti diverse). I centravanti davvero forti sono pochi e costosissimi. E se non si possono prendere allora tanto vale prendere uno che fa quelle cose – stare in area, tirare, dare un paio di spallate, o anche solo minacciare tutto questo – a due lire. Martedì il PSG ha dimostrato quanto valutare troppo un centravanti dal talento ambiguo, cioè Gonçalo Ramos, sia uno spreco di energie. Per queste squadre il centravanti non può essere ridotto davvero alle sue doti tecniche. Almeno se quel centravanti non è Kane, Haaland o Lewandowski. È tutto un fatto di mantenere alta l’intensità mentale quando necessario. Un lavoro zen fatto più di sottrazione che di addizione.

 

Finora abbiamo scherzato con questo tono iperbolico, e abbiamo fatto passare Joselu per un miracolato. In parte, è chiaro, non è così. È un ottimo attaccante e in stagione ha anche segnato gol non banali, soprattutto di testa: quel tipo di gesto tecnico su cui gli attaccanti del Real Madrid non amano sporcarsi (del resto fa male e tra poco i colpi di testa verranno banditi). È un attaccante capace di andare in doppia cifra in Liga per quattro stagioni consecutive, e che ha segnato 70 gol nelle ultime 5 stagioni. Ma non è questo il punto, se Joselu gioca nel Real Madrid non è solo per le sue qualità tecniche o per il suo spessore calcistico.

 

Si può dire che Joselu sia anche la dimostrazione che una squadra di calcio ha bisogno di un sapiente equilibrio di qualità materiali e immateriali. I vari ego devono essere assemblati con i giusti contrappesi. È il Real Madrid dei brasiliani prodigiosi, degli architetti Kroos e Modric, del brillante Bellingham, dello stopper d’altri tempi Rudiger; ma è anche il Real Madrid dei gregari, dei feticci che sono lì per fare da collante simbolico della squadra e armonizzare lo spogliatoio. Il Real Madrid di Lucas Vazquez, Nacho, Carvajal, Ceballos. Giocatori che sono lì incorruttibili al tempo e alle stagioni, accomodanti verso tutti i campioni che passano. I vuoti che permettono i pieni. Buoni, ottimi giocatori la cui migliore qualità è però soprattutto non sfigurare, e poi giocare per gli altri. Quasi degli scudieri. Non volere né troppi riflettori né troppi palloni. Non volere né gloria né minuti.

 

Se tutti quei giocatori citati al Real Madrid ci stanno da tutta la vita, e la loro presenza è ormai mimetizzata con la carta da parati della Casablanca, Joselu ha fatto un giro lunghissimo, passando per l’Inghilterra e la Germania, per tornare al club in cui è cresciuto – troppo grande per le sue qualità tecniche, ma non troppo grande per quelle morali. Joselu sa comparire in area al posto giusto e al momento giusto, ed è comparso per il Real Madrid nel momento giusto: quando le soluzioni di mercato erano finite e serviva una soluzione provvisoria per aspettare Mbappé. Un fazzoletto sotto al tavolo che traballa prima di comprare un tavolo nuovo. Il tempismo è tutto: nella vita e in area di rigore.

 

Negli ultimi minuti delle partite di calcio, come sappiamo, il Real Madrid evoca ed abbraccia il caos. Le sue ormai leggendarie rimonte sono basate su questa idea che nell’assenza di logica, controllo e razionalità tattica, col talento e l’aura dei suoi giocatori il Madrid possa sempre uscire vincitore. Mancava, però, ancora un giocatore abituato a questa dimensione sporca del calcio, che campa di rimpalli e gol poco puliti. Joselu, sebbene non spicchi per doti tangibili, brilla per quelle intangibili. Si muove bene, sa usare il fisico, ha un certo istinto e in area di rigore è diventato l’arbitro supremo dei rimpalli. Contro l’Atlético Madrid Ancelotti l’ha buttato nella mischia e lui ha segnato un paio di gol zozzi marci che hanno permesso alla squadra di battere i rivali cittadini. Nel gol del 4-3 tira di testa per terra e la palla prende una traiettoria assurda e impossibile per Oblak.

 

Joselu, insomma, è l’incarnazione stessa del destino che il Real Madrid rappresenta in Europa. Un giocatore comprato perché era l’eletto, Lisan-Al-Gaib, colui che era venuto su questa terra per segnare due gol sbucciati in semifinale di Champions e trascinare il Real in finale. Il suo arco narrativo si è compiuto, e non ci meraviglieremmo se Joselu fosse evaporato nell’aria della notte.

 

Ieri è stato un duro colpo per gli illuministi che non credono alla storiella del DNA, che si innervosiscono a sentir parlare di mistica, diffidenti persino all’ingerenza del caso nel calcio. Tutte le loro obiezioni sono perfettamente sensate, anzi: direi sane. Eppure come si può spiegare questo? Joselu che segna una doppietta in cinque minuti nella semifinale di Champions League contro il Bayern Monaco.

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).