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Dario Saltari

La Roma di Mourinho è la nemesi dell’Atalanta

I giallorossi hanno vinto una partita confusa.

Il conflitto tra possesso e pressing è uno dei cardini che fa girare il calcio contemporaneo, ma in Italia la questione assume contorni paradossali. Le squadre che utilizzano il possesso come un’arma offensiva si contano sulle dita di una mano (l’Inter, e solo a tratti la Fiorentina e la Lazio), e c’è un rifiuto talmente radicato del pallone che la tradizione tattica italiana più riconoscibile al momento ha a che fare con le armi che cercano di negarlo, come le marcature a uomo a tutto campo e il pressing ultra-offensivo. Le due squadre che più hanno esasperato questi concetti, il Torino di Juric e il Verona di Tudor, sono figli del solco lasciato prima a Crotone e poi a Genova da Gasperini, che all’Atalanta ha portato il suo calcio all’apice della sua maturazione.

 

Di fronte alla Roma di Mourinho, però, il calcio di Gasperini ha trovato un punto di rottura concettuale: se la squadra avversaria si rifiuta per principio di gestire il possesso, che senso ha esasperare il pressing, che senso hanno le marcature a uomo? All’andata, a Bergamo, la Roma aveva trovato la vittoria più convincente di tutta la stagione e forse anche degli ultimi anni. La connessione tecnica tra Abraham e Zaniolo, “un’intesa che va oltre la posizione o persino il potenziale qualitativo dei giocatori coinvolti” come aveva scritto Dario Pergolizzi, aveva svelato il rischio di difendere in avanti uomo su uomo a tutto campo contro giocatori capaci di saltare in velocità quasi qualsiasi avversario, e alla fine l’Atalanta si era ritrovata a raccogliere il pallone della rete ben quattro volte.

 

Conscio delle difficoltà che aveva incontrato all’andata, Gasperini ha ribaltato il tavolo ed ha abdicato ad alcuni dei principi del suo gioco. Via la difesa a tre, via soprattutto le marcature a uomo a tutto campo, all’Olimpico l’Atalanta è scesa in campo con un 4-2-3-1 (modulo che Gasperini aveva adottato anche nel secondo tempo dell’andata) che voleva arginare i danni dell’intesa Zaniolo-Abraham con una difesa a zona che cercava di essere in costante superiorità numerica ancorando il terzino sinistro (prima Zappacosta, poi Pezzella) ai due centrali di difesa. Le scelte del Gasp, però, hanno portato i suoi giocatori in territori inesplorati che hanno peggiorato ulteriormente i problemi messi in mostra all’andata.

 

Innanzitutto la scelta di bloccare uno dei due terzini rendeva impossibile per l’Atalanta pressare efficacemente alto l’avversario, e questo è già una notizia. La Roma fa partire l’azione con i due esterni (ieri Zalewski e Karsdorp) particolarmente bassi, e per eludere il pressing nerazzurro le bastava far circolare il pallone orizzontalmente da sinistra a destra fino ad arrivare al terzino olandese, che senza la pressione di Pezzella aveva sempre il tempo e lo spazio per avanzare e cercare la giocata. L’Atalanta, insomma, scalava nella zona del pallone sempre con un attimo di ritardo, e quando finalmente si decideva a farlo si ritrovava scavalcata da un lancio lungo a cercare direttamente una delle due punte. Mourinho da tempo ha snellito la struttura del possesso della Roma fino a ridurlo a una semplice linea verticale verso l’attacco, e contro l’Atalanta per una volta la scelta poteva considerarsi pragmatica.

 

Di fronte ai lanci continui della Roma, infatti, i difensori dell’Atalanta, senza più la copertina di Linus delle marcature a uomo, sono infatti andati completamente in confusione dentro una difesa a zona che era chiamata a salire e scendere a seconda delle situazioni di gioco. I principi di Gasperini hanno questo vantaggio: mentalmente facilitano il lavoro dei difensori, che come Terminator devono puntare un uomo e impedire che questo riceva il pallone, continuando poi la corsa in caso di palla recuperata. A volte basta davvero solo l’aggressività. Dentro una difesa a zona invece un difensore è costretto a pensare: deve guardare i compagni e decidere collettivamente quando salire per schiacciare in avanti il campo con l’aiuto della linea del fuorigioco, e quando invece seguire l’avversario che scappa in profondità. Non si può seguire solo l’istinto e c’è bisogno di un continuo calcolo del gioco, al costo di mandare in frantumi l’intero reparto difensivo.

 

La disabitudine dei giocatori dell’Atalanta a difendere pensando è emersa in maniera evidente nell’azione del gol vittoria di Abraham. Su un attacco posizionale della squadra di Gasperini, Karsdorp ha intercettato l’apertura di Pasalic per Pezzella ed ha immediatamente innescato il contropiede. Dopo alcuni passi, ecco il lancio lungo per Zaniolo che è scattato in profondità. Palomino e Demiral potrebbero insieme andare in avanti anziché indietro per metterlo in fuorigioco, ma entrambi decidono di seguire i diretti avversari scappando all’indietro. Il difensore argentino fa ancora di peggio: il lancio di Karsdorp, infatti, è meno profondo di quanto non sembri ma lui non se ne accorge e continua ad arretrare. Insomma, potrebbe anticiparlo di testa e invece permette a Zaniolo di stoppare la palla sulla trequarti. Anche Demiral a quel punto ci mette del suo: mentre Zaniolo dopo un primo controllo fantascientifico si gira su se stesso con la palla, il difensore turco vede con la coda dell’occhio l’arrivo di Abraham, che con una furbizia sopraffina finta di tagliare verso l’esterno subito prima di sterzare e invece andare sull’interno. Demiral è talmente disabituato ad avere come riferimento la palla che, cadendo nella finta di Abraham, si gira di spalle per andare alla sua destra, proprio nel momento in cui l’attaccante inglese riceve invece per andare verso la sua sinistra. Quando ha finito la sua piroetta la Roma è passata sull’1-0.

 

 

Non era la prima volta che l’Atalanta si ritrovava nei guai per la disabitudine dei propri difensori a difendere lo spazio avendo la palla come riferimento. Al 18esimo Zalewski in progressione solitaria era riuscito a mandare Zaniolo in porta con una semplice verticalizzazione, nel corridoio aperto dal movimento a seguire Abraham di Demiral e dalla decisione suicida di Palomino di difendere Zaniolo lasciandogli l’interno del campo. In questo modo l’Atalanta non solo si era preclusa di nuovo la possibilità di mettere in fuorigioco il suo unico avversario, ma gli aveva anche steso il tappeto rosso fino alla porta da una situazione potenziale di tre contro uno.

 

 

Al 25esimo il solito Karsdorp aveva trovato di nuovo Zaniolo completamente libero in area, dopo essere stato liberato dall’incomprensione tra Palomino e Demiral su che atteggiamento tenere rispetto alla linea del fuorigioco. Sull’assist del terzino olandese Palomino è salito per mettere finalmente in fuorigioco Zaniolo, ma alle sue spalle Demiral non ci ha nemmeno pensato a seguirlo e in questo modo il numero 22 della Roma ha potuto controllare il pallone da solo in area.

 

 

In entrambi i casi, però, la Roma non si è nemmeno avvicinata al gol. Nel primo caso Zaniolo ha tentato un tiro da fuori area con un angolo molto complesso senza riuscire a imprimere sufficiente forza al pallone, nel secondo ha tentato uno strano cross sul secondo palo che è finito in un nulla di fatto. Questo tipo di scelte sembra legittimare chi è convinto che il talento di Zaniolo sia più limitato di quanto non sembri quando brucia l’erba sotto di sé con le sue progressioni, e il contesto in cui è tornato ad esprimersi dopo un anno di assenza non aiuta a chiarire definitivamente la discussione. Mourinho, soprattutto contro squadre del livello dell’Atalanta, è ben contento di abbassare il baricentro della Roma fin dentro la sua area di rigore, e nel deserto che si crea nella metà campo avversaria l’onnipotenza di Zaniolo con e senza il pallone diventa di fatto l’unica arma offensiva della squadra giallorossa. A Zaniolo viene richiesto di risolvere da solo le partite e lui sembra esattamente il tipo di giocatore che non vede l’ora di caricarsi tutto il peso del mondo sulle spalle (come ha scritto su Instagram dopo la partita: “Nato per lottare, nato per sputare sangue”).

 

La Roma può permettersi di difendersi così bassa e di rifiutarsi di avere una qualsiasi idea di possesso proprio perché ha un giocatore come Zaniolo, capace di minacciare da solo una difesa intera, ma questa idea messianica del suo ruolo finisce per consumarlo all’interno della partita e per accentuare il carattere più egoistico del suo gioco. Spesso Zaniolo forza il dribbling anche quando potrebbe associarsi con un compagno o dare un pausa al gioco della sua squadra, ma d’altra parte è proprio questo che gli viene chiesto: prendere la palla, farsi metà campo e segnare (o servire Abraham). Ieri il numero 22 della Roma ha completato appena 7 passaggi (8 in meno di Musso) e già intorno al ventesimo del secondo tempo – dopo decine di strappi da 40-50 metri – era completamente svuotato di energie, e non è riuscito a finalizzare un paio di contropiede in superiorità numerica che avrebbero potuto regalare alla squadra di Mourinho un vantaggio più largo.

 

L’epica dell’allenatore portoghese si fonda più che altro sulla difesa della porta, lo sappiamo, e sabato, oltre al solito monumentale Smalling, ha trovato in Marash Kumbulla un nuovo alleato. Dopo un inizio di stagione scioccante, il centrale albanese sembra più a suo agio in una difesa più bassa che esalta la sua qualità nell’uno contro uno. Contro l’Atalanta ha vinto 9 tra contrasti e intercetti, più di qualsiasi altro giocatore della Roma, con una solidità tranquilla che deve aver scaldato il cuore di Mourinho, soprattutto rispetto all’esuberanza da pazzo di Ibañez (tornato in campo nel secondo tempo dopo l’infortunio).

 

La solidità della Roma ha messo in luce in maniera ancora più impietosa la sterilità dell’Atalanta che, se si esclude l’occasione estemporanea di Freuler al 51esimo, non è mai riuscita davvero a mettere in difficoltà l’avversario, nemmeno dopo l’entrata di Muriel, Malinovskyi e Boga. La squadra di Gasperini, ingessata da principi che le stavano scomodi, è mancata proprio nell’utilizzo delle catene di fascia che per anni hanno caratterizzato il gioco del suo allenatore, e con i terzini bloccati non ha mai attaccato l’ampiezza che serviva per aprire le maglie di quello che, con l’abbassamento dei due esterni sulla linea di difesa e di Zaniolo su quella di centrocampo, nel secondo tempo è diventato a tutti gli effetti un 5-4-1. Certo, non è facile per nessuno attaccare una squadra che si difende in dieci uomini, ma il dato che emerge dalla sconfitta di Roma è proprio la mancanza di idee in assenza di un possesso da aggredire. Quando l’intensità si abbassa e c’è bisogno di creatività per trovare una soluzione col pallone giocatori come Miranchuk, Pasalic e Pessina sembrano inadeguati persino a trovare la posizione più adatta per ricevere. Ovviamente i dribbling di Boga, le bombe da fuori di Malinovskyi e l’estro di Muriel da soli possono aiutare, ma mettere in comunicazione il talento di questi giocatori permetterebbe all’Atalanta di avere un’altra dimensione quando non ci sono le condizioni tattiche per fare la solita partita.

 

L’Atalanta nel primo tempo svuotava l’area per la mancanza di una vera e propria punta, e dell’attitudine sia di Koopmeiners che di Miranchuk di venire incontro sulla trequarti a gestire il possesso, ma poi non aveva la qualità necessaria per muovere il pallone velocemente in spazi stretti e muovere la difesa avversaria. Le cose sono migliorate nel secondo tempo con l’entrata di Muriel, che ha iniziato a ricevere in maniera più pericolosa sulla trequarti, ma a quel punto con l’uscita di Pasalic non c’era più nessuno che attaccava lo spazio alle spalle della difesa romanista, che fosse l’area o semplicemente la profondità. L’unica azione realmente pericolosa è arrivata quando Freuler si è finalmente sganciato dal centrocampo e si è buttato in area, venendo servito con una palla al velluto da Koopmeiners.

 

Il senso di impotenza di fronte a una difesa avversaria spiega molto più dei risultati perché dopo questa sconfitta si è iniziato a parlare di tramonto dell’Atalanta di Gasperini (alla fine ha solo sei punti di distanza dal quarto posto e con una partita in meno). La verità è che non siamo più abituati a vedere l’Atalanta impantanata tra le maglie avversarie, incapace di travolgere gli avversari, e a questo proposito bisognerebbe ricordare che l’apice del gioco di Gasperini è stato raggiunto non solo con le marcature a uomo e il pressing, ma anche grazie al genio di giocatori come Ilicic e il “Papu” Gomez. Tra la mancanza di idee della squadra di Gasperini e il rifiuto del possesso di quella di Mourinho, invece, la partita ha vissuto a lungo di momenti di entropia selvaggia in cui il pallone sembrava un oggetto tutto sommato secondario.

E pensare che avrebbe anche una sua – non dico bellezza – ma di sicuro una sua utilità, se solo si sapesse come utilizzarlo. Al di là della semplice questione estetica, discutibile in un Paese in cui persino i regolamenti sembrano pensati per rendere questo sport meno spettacolare possibile, ci sarebbe una ragione pratica per dare al pallone un ruolo più nobile dell’intralcio a cui è spesso ridotto. Magari ignorandolo del tutto Roma e Atalanta vinceranno alcune partite, ma così facendo – disabituandosi a trattarlo come si deve – sarà lui a girare le spalle nel momento del bisogno.

 

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Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.