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Emanuele Mongiardo

Il Real Madrid dei gregari

La mistica della "Casa Blanca" passa anche per giocatori come Nacho e Lucas Vazquez.

C’è stato un momento, durante i rigori tra Manchester City e Real Madrid, in cui abbiamo capito che il destino della “Casa Blanca” si stava compiendo ancora una volta. Quella sera, a passare il turno, sarebbe stata la squadra di Ancelotti.

 

Si dice che in una serie di rigori il percorso dal centrocampo al dischetto sia una tortura per il calciatore incaricato di battere. Lucas Vázquez non doveva pensarla allo stesso modo, visto che è entrato in area di rigore palleggiando come se fosse ancora nel riscaldamento, e non nell’istante decisivo di un quarto di finale di Champions tra le due squadre migliori al mondo. Il suo tiro, come sappiamo, ha superato Ederson. È stato il momento cruciale della serie di rigori, non solo per la sfrontatezza dello spagnolo con i suoi palleggi, che chissà che effetto avrà fatto sui giocatori del Manchester City, ma anche perché quel rigore è arrivato dopo l’errore di Kovacić e ha quindi sancito il sorpasso del Real Madrid.

 

Osservare Lucas Vázquez avvicinarsi al dischetto con quell’atteggiamento deve aver riportato i tifosi dei “blancos” indietro nel tempo di otto anni, a maggio del 2016. A San Siro, durante la finale di Champions contro l’Atlético Madrid, Lucas Vázquez si era incaricato di battere il primo rigore. «Avrei dovuto essere il secondo, ma non ricordo chi disse che preferiva andare per secondo. Alla fine sono rimasto io e ho detto: “vado per primo, non ho problemi”». Anche in quel caso il percorso verso gli undici metri era stato poco convenzionale. Vázquez non aveva palleggiato, ma aveva iniziato a far roteare la palla sul suo indice come si fa di solito con i palloni da basket. Non era nulla di preparato, a suo dire non c’era alcun gioco mentale in quell’atteggiamento: «Il fatto di essermi messo a giocare col pallone è stato qualcosa di spontaneo. Sono momenti in cui una persona tira fuori quello che sente dentro».

 

 

Vázquez nel 2016 era alla prima stagione con il Real Madrid. Non aveva ancora vinto una Champions e non aveva ancora esperienza internazionale. Eppure, già allora era in grado di gestire la pressione. D’altra parte lo spogliatoio del Real Madrid, dalla vittoria della décima in poi, ha saputo contagiare chiunque vi sia entrato di un’energia che ha reso il club quasi invincibile in Europa. Sono passati dieci anni dalla finale di Lisbona, ma gli echi di quella vittoria risuonano ancora oggi: la commistione tra il sollievo per aver riportato la “orejona” in bacheca nel 2014 dopo anni di sconfitte brucianti, e il talento ineguagliabile in rosa, è la spiegazione più razionale ad un ciclo di successi che dura da una decade e che di razionale sembra aver ben poco.

 

È la stessa storia di sempre: la Champions è capricciosa, si comporta in modo crudele con chiunque, però di fronte ai giocatori del Real Madrid si scioglie. Forse perché, a differenza di quelli delle altre squadre, come Lucas Vàzquez di fronte al dischetto possono permettersi di trattarla con distacco, di relativizzarne il peso emotivo, e quindi di viverla con maggior leggerezza.

 

Il fatto che a mettersi a palleggiare prima di un rigore così pesante fosse stato Lucas Vàzquez non sorprende, vista la sua esperienza. Tuttavia è quasi ironico, se si pensa alla profondità della rosa del Manchester City e al fatto che nel Real Madrid, nonostante tutto, la soluzione alternativa dalla panchina continui ad essere lui. Vàzquez ha trentatré anni e da qualche giorno aveva firmato l’ennesimo rinnovo contrattuale, nonostante i malumori di una parte del pubblico che preferirebbe rincalzi di livello più alto. Dopo di lui sul dischetto è toccato presentarsi ad un altro giocatore dalla parabola simile, Nacho, che quest’anno ha ereditato la fascia di capitano da Benzema. Nacho non è stato teatrale come il compagno, ma il suo rigore lo ha comunque segnato, a coronamento di una partita dove era stato perfetto contro un attaccante che avrebbe potuto quasi letteralmente divorarlo come Erling Haaland. In pieno 2024 tutto ci saremmo aspettati tranne che fossero loro due a prendersi la copertina di un’eliminatoria di Champions, tanto più al cospetto del Manchester City.

 

È stata una stagione maledetta per Ancelotti e il suo staff dal punto di vista degli infortuni. Ad agosto Courtois si è rotto il crociato. Il belga, probabilmente, è stato il miglior giocatore del Real Madrid negli ultimi anni, il più decisivo, insieme a Benzema, nella vittoria della “decimocuarta”. Quando sembrava che stesse per rientrare, a marzo, è arrivato un altro infortunio grave, stavolta al menisco. Un vero disastro, quasi quanto ciò che è accaduto ai centrali. In estate, negli stessi giorni in cui Curtois si rompeva il legamento, anche Militão subiva lo stesso infortunio. Il brasiliano è tornato solo nelle scorse settimane, ma deve ancora trovare la condizione migliore. Alaba, invece, il crociato se l’è rotto a dicembre e sarà indisponibile fino alla fine della stagione.

 

Senza i propri migliori singoli a livello difensivo – Courtois e Militão – senza un fuoriclasse come Alaba, senza un vero rimpiazzo di Benzema, le alternative del Real Madrid si sono dimostrate più che all’altezza. Lunin, Nacho, Lucas Vázquez, Brahím, Fran García, Joselu, hanno condotto in porto una stagione in cui il Madrid sicuramente vincerà la Liga e avrà argomenti per giocarsela in Champions, dopo aver eliminato il Manchester City favorito assoluto. Tutti loro, i gregari di Ancelotti, rappresentano lo spirito di un Real Madrid che più perde pezzi, più sembra trovare risorse inaspettate per competere contro i migliori. La loro presenza suona paradossale in un club che ogni estate sembra in procinto di acquistare Mbappé.

 

Nacho fa parte della Casa Blanca da quando aveva undici anni. Nello stesso periodo in cui riuscì a entrare a Valdebebas gli fu diagnosticato il diabete. Ad oggi fa parte del ristrettissimo circolo di giocatori che hanno vestito solo la maglia del Real Madrid in carriera, insieme a Zárraga, Camacho, Chendo e Sanchís. Aveva debuttato con il Castilla nel 2008/09 grazie a Lopetegui e nel 2010/11 era arrivato l’esordio in prima squadra, sotto la gestione di Mourinho. Il portoghese, però, lo aveva impiegato come terzino: il motivo era soprattutto la sua stazza, dato che un metro e ottanta di altezza è un po’ sotto la media per un centrale. «Provai a spiegare a Mourinho che Nacho, nonostante non avesse l’altezza standard di un centrale, poteva giocare perfettamente in quella posizione», ha raccontato Alberto Toril, suo allenatore nelle giovanili.

 

Se inizialmente non ha trovato molto spazio con Mourinho e Ancelotti, è con Zidane che la sua carriera ha subito un’accelerazione. Nacho si è ritrovato ad accumulare sempre più minuti, dimostrandosi un difensore degno del Real Madrid. Le sue caratteristiche lo hanno reso polivalente. È sempre stato concentrato e preciso quando c’era da difendere bassi, ma era anche veloce nel coprire la profondità – in questo, il metro e ottanta d’altezza è stato un vantaggio – permettendo quindi di tenere la linea alta. Zidane lo ha utilizzato praticamente in tutti i ruoli: centrale a destra e a sinistra, terzino a destra e a sinistra. Il francese si fidava così tanto di lui che la sua presenza, in alcune partite, gli ha permesso di adottare la difesa a tre.

 

Anche Ancelotti, al suo ritorno in Spagna, ha saputo apprezzarne le qualità. Per lui ha coniato la definizione di «difensore pessimista», riferito al fatto di essere abituato a prefigurare ogni pericolo. Nacho non è mai diventato titolare, ma ha continuato ad essere uomo di sicuro affidamento, in qualsiasi ruolo e in qualsiasi contesto. A febbraio 2023, ad Anfield, durante l’andata degli ottavi di finale di Champions, col Liverpool in vantaggio per 2-1, Ancelotti alla mezz’ora lo aveva mandato in campo a freddo, visto che Alaba si era infortunato all’improvviso. Nacho, senza batter ciglio, si era posizionato da terzino sinistro, sulla fascia di Salah, e aveva tamponato le iniziative del Liverpool. Alla fine il Madrid aveva vinto 2-5. «In partite così è difficile entrare senza riscaldarsi nemmeno per dieci secondi. Però bisogna essere sempre pronti e io lo sono sempre stato in tutta la mia vita», aveva detto quel giorno. Anche Klopp ne aveva elogiato la prestazione, sottolineando la sua longevità: «Alaba è molto forte, ma da quanti anni è che Nacho gioca nel Madrid?».

 

Nacho risponde sempre presente, ma la condizione di comprimario non deve essere stata facile da accettare. Dopo la partita col Liverpool si era dichiarato insoddisfatto per il minutaggio accumulato fino a quel momento. Nel corso delle stagioni, le tante partite trascorse in panchina gli hanno fatto perdere la Nazionale. Anche il fatto di essere etichettato “solo” come un giocatore affidabile non deve fargli del tutto piacere: «Non è che mi dia fastidio, perché vuol dire essere sempre pronti, però è vero che ho giocato partite al livello dei migliori difensori d’Europa e non mi è stato mai riconosciuto il valore che pensavo di meritare», ha detto in un’intervista. «Sentivo di aver giocato partite da 10 e magari mi veniva dato un 7. Non do importanza ai voti, ma direi che non ho i titoloni che vengono riservati ad altri».

 

Nemmeno Lucas Vázquez ha mai goduto di troppa popolarità, tra i tifosi più che tra gli addetti ai lavori. C’era chi diceva la sua permanenza al Real Madrid fosse garantita dall’amicizia con Sergio Ramos. I due avevano brevettato un paio di esultanze piuttosto elaborate insieme.

 

Lucas Vázquez è entrato nella cantera del Real Madrid a sedici anni già compiuti. Non sembrava un giocatore destinato alla prima squadra, e infatti nel 2014/15 era stato ceduto all’Espanyol. Poi, quell’estate, Rafa Benítez aveva convinto Florentino Pérez ad esercitare la recompra. In una squadra piena di artisti, ad un allenatore tanto maniacale serviva un soldato come avrebbe potuto essere lo spagnolo. Alla fine Benítez a Madrid non è durato molto, ma Zidane ha continuato ad apprezzare Lucas Vázquez per gli stessi motivi.

 

Negli anni è stato un’alternativa preziosissima per il tecnico francese, soprattutto durante la sua terza stagione, la 2017/18, nella quale Vázquez ha disputato da titolare gran parte delle eliminatorie di Champions. Lo ricorderanno sicuramente i tifosi della Juve, visto che un suo inserimento sul secondo palo aveva generato il controverso rigore con cui il Madrid era riuscito a superare i quarti di finale.

 

I movimenti sul lato debole sono sempre stati una specialità di Lucas Vázquez, che così ha segnato la maggior parte dei suoi gol, compreso quello nell’ultimo Clásico. Il numero diciassette è uno dei pochi esemplari del calcio contemporaneo di ala a piede naturale, esterno destro che gioca a destra. La linearità è stata un suo punto di forza. In una squadra piena di ali estrose, portate a svariare secondo la propria volontà, il fatto di rimanere sulla fascia e di garantire grande impegno in ogni fase lo hanno reso utile per tutti gli allenatori, da Benítez in poi: Vázquez era l’uomo da mandare in campo quando c’era da trovare maggior consistenza in fase difensiva o maggior semplicità nello sviluppo del gioco.

 

Quando poi ha perso lo spunto che lo rendeva utile come ala, Zidane, nel suo secondo mandato, lo ha reimpiegato da terzino: è così che i tifosi del Madrid lo hanno affettuosamente soprannominato “Cafucas”, con riferimento all’ex laterale di Roma e Milan.

 

È arrivato il momento delle semifinali contro il Bayern Monaco e sia Nacho che Vàzquez sembrano destinati a un posto da titolare, quantomeno all’andata. Ancelotti, infatti, pare non voglia ancora rischiare Militão al centro della difesa, mentre Carvajal sarà squalificato. Il precedente contro il Manchester City dovrebbe rassicurare il tecnico di Reggiolo.

 

All’Etihad la prestazione di Nacho è stata superba. Haaland, dopo l’andata, ha preferito allontanarsi da Rüdiger per muoversi nella zona del difensore spagnolo, ma non gli è andata tanto meglio. Nacho ha gestito alla grande l’accoppiamento col norvegese: ha trovato sempre il modo di mettere il piede e di trovare il contatto senza permettere ad Haaland di usarlo come appoggio e volgere la situazione a proprio vantaggio. Solo in un’occasione, all’inizio della ripresa, si è ritrovato a dover disinnescare una situazione pericolosa: De Bruyne aveva servito Haaland in profondità e Nacho, con buona lettura, era partito prima e gli si era messo davanti. Con Lunin in uscita, Haaland lo aveva spinto sperando di mandarlo fuori equilibrio per sottrargli il pallone, o causare uno scontro col portiere; Nacho, però, ha avuto la lucidità di dribblare Lunin, in modo da evitare rimbalzi strani su un eventuale contrasto, e poi, col pallone sulla linea, è riuscito a spazzare mentre Haaland gli franava addosso con tutto il peso dei suoi cento chili.

 

 

Vázquez, invece, è entrato al termine del primo tempo supplementare e si è piazzato sulla destra, dove è riuscito ad aiutare Carvajal a contenere Doku, il più pericoloso dei giocatori del Manchester City. La loro resistenza, alla fine, è stata premiata.

 

Si avvicina di nuovo maggio e anche quest’anno il Real Madrid sembra avere qualcosa in serbo per le semifinali di Champions: una tradizione ancestrale, propria di una squadra che sembra appartenere ad un piano di verso da quello umano. Nacho e Lucas Vázquez, nella loro normalità, ne sono i sacerdoti, depositari del grande mistero che avvolge il club. Passa anche da loro, e non solo da Kroos, Modrić e Ancelotti, la possibilità di perpetuare questo ciclo del Real Madrid e di tramandarne lo spirito a chi entrerà a farne parte.

 

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Emanuele Mongiardo nasce a Catanzaro nel 1997. Scrive di calcio su "Fuori dagli schemi" e di rap su "Four Domino".