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Marco Gaetani
Gli 11 anni del Sassuolo in Serie A
21 mag 2024
21 mag 2024
Una squadra che ha segnato un'epoca, a modo suo.
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Marco Gaetani
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IMAGO / HochZwei/Syndication
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Il 14 aprile del 1996, all’imbocco del velodromo di Roubaix, accade qualcosa di impensabile. Ormai da diversi metri ci sono tre uomini che procedono uno in fila all’altro. Indossano la stessa maglia, corrono nella stessa squadra. L’accordo è totale. La Parigi-Roubaix del 1996 viene decisa in ammiraglia: erano usciti circa in cento dalla Foresta di Aremberg prima di iniziare a subire il ritmo martellante imposto dagli uomini della Mapei, la creatura perfetta di Giorgio Squinzi.

Da cento erano rimasti in venti, poi in tre, partiti in piena sintonia a 76 chilometri dal traguardo. Patrick Lefevere, dall’ammiraglia, è in contatto con il patron: deve vincere Museuuw, con Bortolami secondo e Tafi terzo. E Ballerini, il quarto Mapei papabile, la smetta di cercare di rientrare: che rimanga a controllare Zanini, che non lo faccia rientrare. E così va: un arrivo in parata, una classica decisa a tavolino. Da un lato il trionfo della strategia di squadra, dall’altro l’annullamento di ogni istinto predatorio. Un epilogo, però, che Squinzi ha sempre negato: «Chiesi soltanto di farli arrivare insieme nel velodromo. Lefevere ci ha messo il resto».

La Mapei era nata tre anni prima, merito di una telefonata di Ercole Baldini a Squinzi: c’era una squadra che stava per saltare in aria, la Eldor, e aveva bisogno di soldi, molti soldi, prima del Giro d’Italia. E Squinzi, da sempre appassionato di ciclismo, coppiano di ferro negli anni dell’infanzia, aveva riflettuto meno di 24 ore per lanciarsi. Nel 1994 la fusione con la Clas di Tony Rominger, la nascita di un colosso capace di dominare le grandi classiche e di portare a casa anche un Giro d’Italia e una Vuelta, proprio con Rominger.

Nel 2002, l’anno del disimpegno dal ciclismo, Squinzi decide di tornare a un antico amore, il Sassuolo. Anche stavolta piazza il marchio Mapei, che è l’acronimo di Materiali Ausiliari per l’Edilizia e l’Industria, sulle maglie, come aveva già fatto negli anni Ottanta. L’approdo in Serie B si concretizza solamente nel 2008, con in panchina un rampante quarantenne, ex centrocampista dalle alterne fortune in Serie A, grandissimo appassionato di ippica, che fino a quel momento si era fatto notare per una salvezza ottenuta in C2 alla guida dell’Aglianese, un esonero lampo ai tempi della SPAL (cacciato e richiamato nel giro di un’ora), una squalifica di tre mesi rimediata per aver assistito, pur senza poterlo fare per motivi regolamentari, Giovanni Galeone sulla panchina dell’Udinese e per una rottura dopo poche settimane una volta ricevuto l’incarico di allenatore del Lecco. Con Massimiliano Allegri, il Sassuolo sale in Serie B e vince anche la Supercoppa di Serie C1.

Servono altri cinque anni per perfezionare il capolavoro. Nell’estate del 2012 arriva sulla panchina neroverde Eusebio Di Francesco. Raccoglie l’eredità di Fulvio Pea, reduce da una stagione a tratti esaltante, con la Serie A diretta sfumata per soli tre punti alle spalle del Pescara di Zeman e del Torino di Ventura, quindi per mano della Sampdoria nelle semifinali playoff. I neroverdi dominano il girone d’andata, girano a quota 48 punti, gli stessi raccolti dalla Juventus nella stagione 2006/07, ma rallentano in maniera drammatica in quello di ritorno, riducendosi all’ultima giornata per archiviare il discorso promozione. Il Sassuolo ospita a Modena il Livorno, che è terzo in classifica a quota 80 punti contro gli 82 dei neroverdi, primi. In mezzo, il Verona a 81, che affronta l’Empoli quarto ma fuori dai giochi per la promozione diretta (72 punti). Esistono, inoltre, diverse combinazioni che cancellerebbero i playoff, mandando in A senza passare dalla post-season anche la terza classificata. Il problema è che la squadra di Di Francesco ha già mandato all’aria tre match-point, perdendo in rimonta il derby con il Modena (gol di Ardemagni al 90’), pareggiando in casa contro il Padova e in trasferta a Lanciano.

Sassuolo-Livorno puzza di agonia per 96 minuti, in particolare per gli ultimi, quelli giocati in inferiorità numerica prima per il rosso ad Antei e poi per la doppia espulsione di Fiorillo (del Livorno) e del diciottenne Berardi, dopo un rigore negato ai neroverdi che pareva sacrosanto. A scrivere la parola conclusiva sulla stagione ci pensa "il Missile", Simone Missiroli, che con un turbante in testa segna il gol-promozione e consente a Francesco Magnanelli di alzare il trofeo per la vittoria della Serie B.

Dell’undici titolare che ha affrontato quella partita, Domenico Berardi è ovviamente l’unico sopravvissuto. Per i curiosi, Sassuolo in campo con il 4-3-3: Pomini; Marzorati, Antei, Terranova, Longhi; Chibsah, Magnanelli, Missiroli; Berardi, Boakye, Catellani.

Paura, consolidamento, Europa

Si capisce da subito che il Sassuolo non è una neopromossa qualunque: non lo è per il suo proprietario, ovviamente, ma anche per il fatto che non può vantare su una tifoseria trascinante. Si tratta, inoltre, della seconda località più piccola a militare in un campionato di Serie A a girone unico, alle spalle solamente di Casale Monferrato. La terza, invece, se si include nel discorso anche la Novese di Novi Ligure, in epoca pre-1929. Il primo problema è quello dello stadio: ormai da anni non gioca più all’Enzo Ricci di Sassuolo, un impianto con un solo settore fisso, la tribuna centrale coperta. In B era stato adottato dal Braglia di Modena, in Serie A ottiene l’affitto dello Stadio Città del Tricolore (ex Giglio) di Reggio Emilia, che però proprio nel 2013 viene acquistato da Squinzi per farlo diventare Mapei Stadium, sfruttandone l’asta fallimentare.

Sono gli ultimi anni di fuoco dei tornei amichevoli estivi che accendono il calcio italiano e il peso di Squinzi è tale che il Sassuolo si presenta da terzo incomodo al Trofeo Tim, con Juventus e Milan. Uno dei primi acquisti dell’estate neroverde, Francesco Acerbi, è costretto a fermarsi subito: le visite mediche hanno evidenziato un tumore ai testicoli e assiste al match dalla tribuna con Squinzi. Sugli spalti di Reggio Emilia appare persino Romano Prodi, costretto ad ascoltare i cori razzisti ai danni di Kevin Constant. Il Sassuolo fa bella figura: perde soltanto ai rigori con la Juventus, batte 2-1 il Milan con la doppietta di Gaetano Masucci. Di Francesco a fine torneo è raggiante, dice che l’obiettivo è «la permanenza in A, non la salvezza», a voler dare un tono drammatico a quest’ultimo termine, e che questo risultato deve arrivare «con la spensieratezza. Questa è la nostra mentalità, non deve cambiare. Manteniamo una grande umiltà, ma vogliamo far divertire».

L’inizio di stagione però è un incubo. Sconfitte con Torino, Livorno e Verona, quindi con due delle tre neopromosse, quindi un devastante 0-7 contro l’Inter di Mazzarri. Il primo punto stagionale, frutto di un pareggio in casa del Napoli, viene accolto con stupore: "Ne avrebbe forse presi altri sette se ne avesse subito anche solo uno in più, ma ha tenuto sempre in ordine il gioco. […] Un risultato imprevedibile, da settembre d’altri tempi", scrive Mario Sconcerti nel suo bilancio della giornata infrasettimanale sul Corriere della Sera.

Il bellissimo gol di Zaza che vale il primo punto in A.

La squadra di Di Francesco riemerge anche quattro giorni dopo: da 0-2 a 2-2 contro la Lazio, gol di Schelotto e Floro Flores. La netta sconfitta di Parma mette però Di Francesco in una posizione alquanto scomoda, anche perché arriva prima della sosta, momento ideale per gli avvicendamenti. La società decide di dargli fiducia e i giocatori lo ripagano battendo il Bologna: gol di Berardi (su rigore) e Floro Flores. «Li ringrazio, in campo ho visto degli uomini veri», dice a fine partita, stremato. A inizio novembre, Sampdoria-Sassuolo 3-4 è una partita progettata per un episodio di Serie A Random: sopra di un uomo e di due gol (1-3), i neroverdi si fanno rimontare salvo poter festeggiare in extremis per il secondo rigore di giornata trasformato da Berardi, alla prima tripletta in A. Segna ancora a Roma, fermando i giallorossi sull’1-1 al 94’, e contro l’Atalanta, insieme a Zaza.

Due settimane dopo, alla presenza di Magnanelli e dell’autore, viene presentato l’inno ufficiale, scritto e cantato da Nek: se non avete mai cantato «Neroveeeeerdiiiii neroveeeeerdiiii» non vi voglio nemmeno conoscere. La marcia del Sassuolo sembra finalmente partita, poi arrivano quattro sconfitte di fila. Ancora una volta, spalle al muro, Di Francesco si salva: nella nebbia di Reggio Emilia, Domenico Berardi rifila quattro gol al Milan che era andato avanti 0-2 in un quarto d’ora e non solo blinda il suo allenatore ma provoca l’esonero di Allegri.

Berardi che fa gol in tutti i modi del mondo.

Da qualche settimana, il Sassuolo è anche alle prese con una vicenda ai limiti del grottesco: Acerbi viene trovato positivo alla gonadotopina corionica in seguito a un controllo antidoping e per lui scatta la sospensione, ma la positività è dovuta a una recidiva del tumore e si trova nell’assurda situazione di dover presentare ricorso contro lo stop. Nel frattempo Berardi diventa un caso nazionale: metà del suo cartellino è già della Juventus, ma Squinzi si lancia in una profezia che in quel momento sembra opera di un pazzo («Rimarrà con noi ancora per un po’, o magari per sempre»). Ma poi il Sassuolo ricomincia a perdere, contro Torino e Livorno: «Ci prendiamo una notte per valutare», dice il DG Bonato. Inizia a girare addirittura il nome di Zdenek Zeman.

Grande è la confusione sotto il cielo neroverde. Squinzi vuole assolutamente puntare su Filippo Inzaghi e per farlo telefona direttamente a Silvio Berlusconi, convincendolo a lasciare libero il tecnico della Primavera rossonera. Ma il Milan non molla e viene così annunciato l’arrivo di Alberto Malesani. Il rush finale del mercato di gennaio dei neroverdi è quello di chi non ha la minima intenzione di mollare la categoria. Arrivano, tra gli altri, Paolo Cannavaro e Thomas Manfredini, Ariaudo e Rosi, Biondini e Brighi, Floccari e Nicola Sansone. Iniziano anche le operazioni fatte strizzando l’occhio alle big: è il Sassuolo, infatti, a tesserare Antonio Sanabria per conto della Roma, aggirando così il limite sugli extracomunitari che avrebbe frenato i giallorossi. «Sono animato dalla voglia di incidere e fare bene per lasciare il segno. Ho accettato l’incarico perché ho trovato una società importante, ho visto cose che non ho mai trovato in piazze più calde», dice Malesani.

Il Sassuolo ha 17 punti, alle spalle ci sono solamente Catania e Livorno, con gli amaranto che hanno raccolto contro l’ormai ex squadra di Di Francesco ben più di un terzo del bottino totale (6/16). Malesani litiga subito con i giornalisti in conferenza stampa e contro il Verona getta nella mischia sette nuovi acquisti tra gli undici titolari. Paolo Cannavaro diventa immediatamente il capitano del Sassuolo, vista l’assenza di Magnanelli. È la prima di cinque sconfitte consecutive. L’ultima, contro il Parma, vede Berardi partire dalla panchina, entrare in campo e farsi cacciare fuori. All’orizzonte c’è ancora una volta lo scontro diretto con il Bologna. Stavolta, però, la dirigenza non aspetta come aveva fatto con Di Francesco, anzi: in panchina torna proprio "Difra".

Il cambio di rotta non sembra ispirare più di tanto il Sassuolo, che nelle settimane successive infila una vittoria (con il Catania), un pareggio (con il Bologna) e tre sconfitte. La partita della svolta è Atalanta-Sassuolo, 32esima giornata, doppietta di Nicola Sansone a spegnere le velleità dei nerazzurri di Colantuono, reduci da sei vittorie di fila. Di Francesco sembra aver trovato la quadra con il tridente che segnerà anche parte del futuro neroverde, Berardi-Zaza-Sansone. Nel rocambolesco finale di stagione c’è spazio per un altro 3-4 con tripletta di Berardi, a Firenze: è un colpo di reni che trascina il Sassuolo fuori dalle sabbie mobili, a +2 sul Bologna diciottesimo. La salvezza arriva con un turno di anticipo, 4-2 al Genoa. «E pensare che un po’ di tempo fa un tifoso mi era venuto a trovare portandomi dei crisantemi: adesso voglio le rose», dice Di Francesco, che si sente in rampa di lancio e non ha affatto gradito l’esonero a metà stagione. Il tecnico abruzzese ha un altro anno di contratto, ma chiede chiarezza: «Io qui sto benissimo, ma prima voglio parlare con il dottor Squinzi. Da quando sono tornato mi ha chiamato spesso, la sua vicinanza è stata fondamentale». I due in campo si abbracciano per la salvezza. Alla fine Di Francesco resta e la società punta sulla continuità, dando vita a un mercato in cui aggiunge alcuni tasselli che saranno centrali per il futuro: Consigli in porta, i terzini Vrsaljko e Peluso.

Nella stagione successiva la squadra si stabilizza a metà classifica e chiude dodicesima con tre successi in quattro partite contro le milanesi, Berardi si conferma come uno dei principali talenti del nostro calcio, Zaza finisce nel mirino della Juventus. Il canale preferenziale con la Roma porta in neroverde i giovani Lorenzo Pellegrini e Politano, il sostituto designato di Zaza è Defrel. Sono anni in cui il Sassuolo punta a consolidarsi, a creare una struttura: «Io e il direttore Carnevali – ha ricordato Di Francesco in un’intervista del 2023– abbiamo lavorato tantissimo per il centro sportivo, lo sento tanto mio. Ogni volta che incontravo Squinzi dicevo: “Dottore, la cosa più importante non è acquistare un giocatore, ma creare un centro sportivo: abbiamo bisogno di strutture, di far crescere la società”. Andavo contro i miei interessi ma era un modo per far crescere la società». Quella che segue, la 2015/16, è la migliore stagione della storia del Sassuolo, che chiude sesto in Serie A e strappa la qualificazione in Europa League con 61 punti in classifica.

Di Francesco decide di rimanere in sella per guidare i suoi in Europa, in una stagione che comincia prestissimo, a fine luglio, con il doppio impegno nel terzo turno preliminare contro il Lucerna, superato brillantemente. Nell’andata del playoff con la Stella Rossa va a segno tutto il tridente: Berardi, Defrel, Politano. Il tecnico non si fida («A Belgrado sarà una battaglia») ma ormai è ritenuto in maniera unanime in rampa di lancio, pronto a ogni tipo di esperienza. L’1-1 del ritorno vale l’accesso ai gironi e l’emozione più grande della storia del club: il 3-0 inflitto all’Athletic Bilbao nel primo match del raggruppamento. L’estate del 2016 è anche quella dello stupore per la decisione di Berardi: la Juventus è pronta a esercitare l’opzione di riacquisto sul ragazzo ma lui, dopo un incontro con Marotta, conferma la sua intenzione di rimanere in neroverde. «Mi è dispiaciuto che abbia scelto di restare al Sassuolo, gli avevo consigliato di venire alla Juve, ma giocherà con noi in futuro», dichiara Allegri mentre Carnevali accorda a Marotta il rinnovo dell’opzione di riacquisto anche per il 2017.

La stagione 2016/17 è una corsa sulle montagne russe: il Sassuolo butta via la chance di avanzare in Europa facendosi rimontare due gol dal Rapid Vienna nel match che l’avrebbe portato a 7 punti nelle prime quattro giornate del girone. Un saliscendi continuo: Di Francesco attribuisce parte delle fatiche di quell’anno a un errore incredibile commesso dalla società. I neroverdi battono 2-1 il Pescara alla seconda giornata ma si ritrovano puniti con un 3-0 a tavolino per via della presenza in campo di Antonino Ragusa: secondo il Giudice Sportivo, il calciatore non era stato inserito nell’elenco ufficiale inviato via PEC entro l’orario prestabilito. «Un errore umano che può succedere, ma ci furono tolti tre punti che avevamo meritato e a livello psicologico ci tolse qualcosa, oltre agli infortuni che purtroppo ci sono stati durante l’anno. Per andare in Europa bisogna creare una rosa più ampia e competitiva, per dare possibilità ai giocatori di recuperare. Avevamo dato via Vrsaljko e Sansone, dovevamo essere un po’ più bravi a fare mercato in quel periodo», ha ricordato il tecnico.

Affrontare l’emergenza

L’estate 2017 è quella che porta, inevitabilmente, alla rivoluzione. Di Francesco sente di dover cambiare aria e gli arriva un’offerta irrinunciabile, quella della Roma. Sul Mapei Stadium, complice anche la fase finale del campionato Primavera che vede proprio i giallorossi impegnati nella rincorsa allo scudetto, fanno rotta Monchi e Baldissoni. Giovanni Carnevali, l’amministratore delegato del club, sa di dover affrontare una trattativa difficile: Di Francesco ha chiesto di essere liberato e ha nel contratto una clausola da 3 milioni di euro. Squinzi prova in ogni modo a convincere il tecnico a restare ma non c’è verso. Il tavolo è denso di argomenti: anche Lorenzo Pellegrini è destinato al rientro a Roma nonostante la pressione del Milan («Il Sassuolo mi ha aiutato al 150%, mi ha permesso di esprimermi come calciatore e come uomo», dirà al momento del ritorno a casa), i giallorossi possono far valere il diritto di riacquisto. Il costo della clausola di Di Francesco viene assorbito dai diversi affari che infiammano l’estate giallorossa e neroverde: Marchizza e Federico Ricci approdano in Emilia, alla Roma finisce invece Gregoire Defrel. Il tecnico, che pur di salutare lascia sul piatto diversi bonus che doveva incassare dal patron Squinzi, prova invano a convincere la società romanista sul fronte Berardi: Monchi non ne vorrà sapere.

Al posto di Di Francesco viene scelto Cristian Bucchi, appena eliminato dal Benevento nelle semifinali playoff di Serie B disputate alla guida del Perugia, che aveva condotto al quarto posto in classifica. Deve raccogliere un’eredità pesante, la scelta sembra in linea con quello che è stato il credo del Sassuolo nei primi anni di Serie A: «Spero che Berardi possa restare», dice nel giorno della presentazione, che coincide col rinnovo biennale del monumento neroverde Magnanelli «e so che il Sassuolo vuole fare di lui una bandiera». Prendiamo in prestito ancora una volta un’analisi di Mario Sconcerti per fare il punto sul momento neroverde: "Il Sassuolo non è un avversario chiaro. Non c’è stato nessun arrivo importante, tranne Falcinelli che ha sostituito Defrel", scrive, e qui è necessario fare un punto per chi è caduto dalla sedia leggendo di Falcinelli come rinforzo importante: ha infatti appena chiuso la miglior stagione della carriera, 13 gol nel Crotone dei miracoli di Davide Nicola. Già di proprietà dei neroverdi, è stato fatto rientrare dal prestito. Torniamo a Sconcerti: "Risulta strano e gradevole scoprire che Berardi deve sempre partire ma finisce per non partire mai. Il ragazzo è certamente singolare, un anno fa rifiutò la Juventus. Ma è strano anche il Sassuolo, almeno per i parametri normali del nostro calcio: è una piccola società molto ricca, fa quel che vuole, non ha bisogno di niente, è in condizione di scegliere come muoversi".

È una stagione che si mette male da subito: quattro punti in sette partite lasciano più di qualche dubbio sul futuro di Bucchi, in mezzo c’è anche una sconfitta per 6-1 con la Lazio, ma se c’è una costante delle stagioni dei neroverdi in A è la volontà di non ricorrere all’esonero compulsivo. Il tecnico salva la panchina battendo prima la SPAL, quindi il Benevento. Ma sta solo rinviando l’agonia. Con i gol di Zuculini e Verde, il Verona sbanca il Mapei Stadium e condanna Bucchi, cacciato dopo 14 giornate e la miseria di 11 punti. Un bottino che lascia comunque il Sassuolo al di sopra della linea di galleggiamento (+1 sul duo Genoa-Spal).

È il 26 novembre 2017. Il club decide di affrontare l’emergenza con un clamoroso cambio di rotta a livello filosofico: lascia la strada della sperimentazione, affidandosi invece all’incarnazione stessa del concetto di traghettatore, Beppe Iachini. «Mi è capitato già altre volte di subentrare in situazioni complicate, con il lavoro e trasmettendo la nostra mentalità ne siamo usciti. Non ho la bacchetta magica, posso solo garantire lavoro, professionalità e con questi ragazzi credo che i risultati arriveranno», dice in una conferenza stampa di presentazione in cui emerge per la prima volta (non l’ultima negli anni a venire) il tema di un Berardi che sembra scollato dalla realtà Sassuolo: «C’è una chiave per tutti i ragazzi, trovarla fa parte del mio lavoro. Spero che tutti possano tornare a fare al meglio quello che sanno fare. Domenico ha qualità note, deve solo ritrovare smalto, ha avuto anche dei problemi fisici e quindi va riportato al meglio della condizione».

Iachini parte baldanzoso pur facendo la cosa che fanno tutti i traghettatori di questo mondo: si mette con la difesa a tre. A Firenze prova il 3-4-3, va malissimo. Una settimana dopo batte il Crotone tornando al 4-3-3, il modulo che la squadra conosce meglio, e fa lo stesso a Genova, sponda Samp, e in casa con l’Inter, in quello che è un classico di ogni stagione del Sassuolo che si rispetti: battere i nerazzurri. Segna Falcinelli, Consigli para un rigore a Icardi, insomma: Sassuolo in purezza.

Dopo un buon avvio con Iachini, c’è una sorta di crisi di rigetto, che esplode con il 7-0 subito in casa della Juventus. È il giorno dell’esordio, tragico, di Mauricio Lemos, bagnato da un sacrosanto 4 in pagella sulla Gazzetta dello Sport. Il momento nero prosegue senza scossoni fino a metà marzo, tra sconfitte pesanti e pareggi inutili. Dopo Sassuolo-Spal 1-1, i neroverdi sono appaiati agli estensi e al Crotone a quota 24 punti al diciottesimo posto. E Iachini fa quello che, in cuor suo, voleva fare da mesi: un 3-5-2 duro e puro, che puzza di difesa a cinque a distanza di chilometri. Vince subito, a Udine, grazie a un gol di Stefano Sensi. Pareggia contro Napoli, Milan e Benevento; batte Verona e Fiorentina. È il momento d’oro di Matteo Politano, che con il nuovo sistema di gioco agisce da seconda punta in un imprevedibile tandem con Berardi. E sono proprio loro due che, alla penultima di campionato, vanno a segno in casa dell’Inter, successo che chiude di fatto la stagione: dopo il successo di San Siro, il Sassuolo è alle porte della metà sinistra della classifica.

«Per giorni hanno scritto che avremmo dovuto preparare il pallottoliere, che c’erano sei gol di scarto tra noi e loro. Il calcio italiano deve imparare a rispettare i professionisti seri, gente che fa il proprio dovere dall’inizio alla fine. Il mio sfogo non è rivolto all’Inter come società, ma bisogna fare più attenzione quando si fanno dei commenti perché non sono corretti», dice furente in conferenza stampa Iachini, aggiungendo che del futuro parlerà con la società.

Da notare il tentativo di D’Ambrosio di arginare la punizione rasoterra di Politano: come sarebbe finita col coccodrillo?

L’undicesimo posto finale è il secondo miglior piazzamento del Sassuolo in Serie A in quel momento, ma Carnevali ha altre idee in mente. «Ho parlato con la società, ci siamo confrontati su alcuni concetti per me imprescindibili, ma non c’erano né la sintonia né i presupposti per andare avanti. Non nascondo un po’ di rammarico, mi sarebbe piaciuto proseguire il mio lavoro. Le tante riflessioni sul mio conto nonostante quanto fatto dalla squadra, la lunga attesa da parte della società, qualche incomprensione tattica: tutti segnali di un feeling che andava scemando. E che ha portato a questa decisione», dice Iachini dopo l’addio.

L’era De Zerbi, la morte di Squinzi, l’arrivo di Dionisi

A convincere Carnevali al ritorno al passato, a un allenatore in grado di esaltare i tanti giovani portati a Sassuolo tramite un gioco più brillante, sarebbe stato addirittura Arrigo Sacchi, che avrebbe dato al dirigente la sua benedizione: «Passavamo i pomeriggi a casa sua a guardare le videocassette del Foggia». Ma Carnevali seguiva Roberto De Zerbi da mesi: «L’ho monitorato per parecchio tempo, mi colpiva il modo in cui faceva giocare le sue squadre. Ero convintissimo che fosse la scelta migliore per noi e per lui: aveva bisogno di un percorso di crescita come quello che potevamo offrirgli, un ambiente senza pressioni e una squadra giovane da plasmare secondo le sue idee. Un matrimonio perfetto. A entrambi piace un calcio offensivo, dinamico, coraggioso, espresso attraverso il controllo del gioco. Per vocazione, il Sassuolo costruisce la squadra con questo intento; diamo forse addirittura più importanza al gioco rispetto al risultato, perché convinti che dal gioco possa arrivare il risultato».

Dopo la parte di stagione a Benevento, dunque, De Zerbi si siede sulla panchina del Sassuolo e incide immediatamente sul mercato, convincendo Carnevali a prendere Kevin-Prince Boateng: «Per età e stipendio non rientrava nella nostra politica, ma Roberto fu molto convincente. Alla fine gli diedi retta, come ho fatto tante altre volte». Su De Zerbi pende una squalifica di tre mesi per una vicenda relativa ai tempi di Foggia: il Tribunale Federale Nazionale infligge 15 punti ai rossoneri "per avere reimpiegato nell’attività gestionale e sportiva nel corso delle stagioni sportive 2015/2016 e 2016/2017 un importo monetario molto ingente, sia a mezzo di bonifici, sia a mezzo di denaro contante, proventi di attività illecite di evasione e/o elusione fiscale, alcune delle quali integranti anche reato". La squalifica verrà poi cancellata in appello (così come verrà ridotta quella del Foggia), ma De Zerbi ne parla nel giorno della presentazione: «Patteggiando sarei andato incontro a due giornate di squalifica, ecco perché non mi sono adeguato, non mi sono accontentato. Ho dei buoni motivi per essere prosciolto, ci sarà l’appello, non condivido la sentenza, sono obbligato ad accettarlo. Non vado al compromesso per andare in panchina prima». E poi parla di campo, di una stella, quella di Berardi, che sembra offuscata: «Domenico resta un giocatore importantissimo, capace di segnare 31 gol nelle prime due stagioni di A, se dovesse rimanere col giusto entusiasmo ne sarei contento, diversamente ci penserà la società. Di sicuro partiamo da una base solida e da un organico societario serio ed affidabile».

È un’annata di adattamento anche per De Zerbi, che fa brillare a tal punto Boateng da doverlo salutare a gennaio, direzione Barcellona; lancia Locatelli, prelevato in estate dal Milan, e inizia a far conoscere alla Serie A i dribbling fulminanti di Jeremie Boga. Una mezza crisi nella seconda parte di stagione spaventa i tifosi, ma il finale di campionato è sereno e il Sassuolo bissa l’undicesimo posto dell’anno precedente. È anche l’anno in cui Carnevali conclude l’acquisto di Merih Demiral che, secondo le carte dell’inchiesta sulle plusvalenze condotta dai pm di Torino, sarebbe stato effettuato sotto la regia occulta della Juventus, che preleverà effettivamente il turco nell’estate del 2019 per 18 milioni di euro. L’altro grande colpo in uscita è quello di Stefano Sensi, venduto all’Inter.

Seguono due anni in sostanziale fotocopia: il Sassuolo è una delle realtà più interessanti del campionato a livello tattico ed esalta i suoi attaccanti. Nell’anno del Covid, il gioco di De Zerbi consente a Ciccio Caputo, arrivato in estate dall’Empoli, di chiudere il campionato a quota 21 gol. Rigenera Djuricic, mette in mostra il giovanissimo Raspadori. Ma è un biennio aperto dalla notizia peggiore possibile per l’ambiente neroverde: la scomparsa di Giorgio Squinzi, nell’ottobre del 2019. «Il carisma del dottor Squinzi si intuiva soltanto dallo sguardo. Mi porterò sempre dietro le parole del Dottore che, quando ci siamo conosciuti, mi disse di voler vedere una squadra giocare bene e attaccare, una frase che mi rimbomba spesso nelle orecchie. Fare l’allenatore è pesante sotto il punto di vista dell’assunzione di responsabilità: penso che la richiesta di Squinzi sia una di quelle responsabilità che sto rispettando», avrebbe detto qualche tempo dopo De Zerbi. È parere pressoché unanime, nei giorni successivi alla scomparsa, che il giocattolo sia destinato a rompersi in fretta. Il Sassuolo, invece, rimane ampiamente al di sopra della linea di galleggiamento nonostante la scomparsa del patron.

In un’intervista dell’aprile 2021 a TRC, De Zerbi fotografa bene la realtà neroverde: «A Sassuolo non c’è pressione, si lavora in tranquillità: o sei bravo a crearti la pressione da solo con le tue motivazioni, oppure fai fatica. Io sono uno che si crea la pressione, a cui manca quando non c’è e so come gestirla: per un giocatore che non è abituato, qui a Sassuolo c’è il rischio di non trovare stimoli. Credo che l’unica pressione avuta da un giocatore in questi tre anni a Sassuolo sia stato il sottoscritto. Io inseguo sempre la perfezione, e spero di conservare questo aspetto perché mi dà il fuoco per andare avanti». Il Sassuolo regala alla Nazionale campione d’Europa tre giocatori: Locatelli, Berardi, Raspadori.

Il ciclo di De Zerbi si chiude dunque nell’estate 2021, al suo posto arriva Alessio Dionisi, appena promosso in A con l’Empoli. «Non ci sono stati momenti difficili a Sassuolo, ho avuto la fortuna di avere una società che si è affidata a me completamente e mi ha appoggiato in tutto: dalle scelte di mercato alle scelte nella gestione quotidiana perché sono un rompicoglioni ma sono un rompicoglioni onesto, pulito, sano, nel senso che faccio tutto anteponendo il calcio a tutto il resto, quindi chiedo a tutti, a me per primo, di spingere al 100%», ha detto De Zerbi dopo l’addio in un’intervista a Sassuolo News.

Dionisi non ostacola il corso del fiume di De Zerbi, lo asseconda, se ne gode i frutti. Si ritrova Scamacca e lo piazza al centro dell’attacco al posto di Caputo, ricevendone in cambio 16 gol. Fa sbocciare il talento di Traoré spostandolo in fascia dopo tanti anni vissuti in mezzo al campo, lascia a Raspadori lo slot alle spalle di Scamacca nel 4-2-3-1. «L’eredità che ho raccolto è difficile ma stimolante. Sono qui perché il Sassuolo ha scelto me: ci siamo incontrati, innamorati e sposati. Il Sassuolo è una società importante che sta dimostrando sul campo un'identità. Sarebbe folle non cercare di dare continuità a quanto fatto, non dico di classifica, ma parlo di identità. Il Sassuolo ha

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