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Marco Lai
Breve storia del Liverpool di Klopp
21 mag 2024
21 mag 2024
Nove stagioni che hanno cambiato per sempre la storia del club.
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Marco Lai
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IMAGO / Moritz Müller
(foto) IMAGO / Moritz Müller
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Domenica ad Anfield è andata in scena l’ultima partita di Jurgen Klopp sulla panchina del Liverpool. Per l’occasione, al termine della gara contro il Wolverhampton, il Liverpool ha organizzato un piccolo evento per celebrare l’allenatore tedesco e per permettergli di dare l’ultimo saluto ai suoi tifosi, indossando una felpa rossa che recitava “I’ll never walk alone again”. Klopp ha mostrato ancora una volta la sua personalità istrionica e fuori dagli schemi, addirittura incitando il pubblico a unirsi in un coro per il suo successore Arne Slot sulle note di Live is Life, qualcosa che difficilmente avremmo visto con un altro allenatore.

Quella di Klopp al Liverpool è stata un’avventura di nove stagioni caratterizzata da picchi altissimi e momenti iconici che hanno lasciato un segno indelebile sulla storia dei "Reds", della Premier League e, più in generale, del calcio. Si potrebbe raccontare questa storia dall’inizio seguendo un ordine cronologico, ma paradossalmente partire dalla fine potrebbe fornire una sintesi più chiara di quello che è stato il Liverpool di Klopp. A inizio stagione si poteva forse prevedere una qualificazione tranquilla in Champions League, con minime possibilità di lottare per il titolo avendo davanti il solito Manchester City e l’Arsenal. Eppure, i "Reds" sono stati in corsa per la vittoria finale in un lunghissimo testa a testa con le squadre di Guardiola e Arteta, risultando per un momento quella con più chance di vincere, almeno fino al tremendo periodo di crisi ad aprile iniziato con il tracollo casalingo per 0-3 in Europa League contro l’Atalanta e proseguito con le sconfitte contro Crystal Palace ed Everton.

via Opta

Si è trattato solo dell’ultimo di tanti casi in cui i "Reds" sono stati, nel bene e nel male, sorprendenti: l’inattesa finale di Champions nel primo anno del tridente composto da Salah, Firmino e Mané; l’incredibilmente rimonta ad Anfield contro il Barcellona; i periodi di crisi nera nelle stagioni 2020/21 e 2022/23 dopo aver rispettivamente vinto la Premier League ed essere arrivati in finale di Champions gli anni prima. Klopp in una celebre dichiarazione quando era ancora l’allenatore del Borussia Dortmund aveva affermato che il suo calcio era heavy metal nella sua ricerca di estrema intensità e velocità. Nello specifico potremmo dire che il suo Liverpool ha ricordato tanto nello stile di gioco in campo quanto nell’andamento generale una canzone dal ritmo sincopato, mai uguale a sé stesso, imprevedibile.

Gli inizi

Facciamo un passo indietro, bello grosso per la verità, fino agli albori di questo viaggio durato nove anni. Klopp assume la carica di allenatore a ottobre della stagione 2015/16 succedendo a Brendan Rodgers, che, dopo essere andato a uno scivolone di Steven Gerrard contro il Chelsea dal vincere un campionato che mancava dal 1990, non è riuscito a mantenere quel livello di prestazioni, in parte per la cessione mai adeguatamente sostituita di Luis Suarez. La prima stagione in Inghilterra di Klopp è di rapido adattamento al nuovo contesto: ottavo posto in campionato con una sorprendente cavalcata fino alla finale di Europa League – poi persa contro il Siviglia – con lo storico 4-3 in rimonta proprio contro il Borussia Dortmund nelle semifinali. Ma qual era l’undici titolare della prima partita del tedesco?

Si trattava di una squadra piuttosto modesta, che aveva in Coutinho l’assoluto leader tecnico. Per la prima gara Klopp aveva optato per una sorta di 4-3-2-1, ma il modulo di riferimento per tutta la stagione era stato il 4-2-3-1, marchio di fabbrica del suo Borussia Dortmund.

Fin da subito l’allenatore tedesco ha iniziato a coltivare le idee che lo avevano reso noto in Germania: pressione alta, ritmi asfissianti, gioco verticale e, soprattutto, il gegenpressing, cioè la riaggressione immediata una volta perso il pallone. Si tratta di un termine a cui oggi ci siamo forse assuefatti a forza di incrociarlo, ma dieci anni fa era un concetto rivoluzionario che aveva come principio fondativo la convinzione che il momento migliore per conquistare il pallone fosse quello immediatamente successivo alla sua perdita, perché è l’istante in cui l’avversario è meno organizzato e più vulnerabile.

Il primo Liverpool di Klopp era un turbine di energia che soffocava gli avversari e ne soffocava il gioco per creare numerose occasioni da gol grazie a rapidi ribaltamenti di fronte e transizioni veloci. Se la buona riuscita di una strategia dipende dalle caratteristiche degli interpreti allora non è un caso che giocatori instancabili come Milner, Henderson e Firmino, già presenti fin dalla stagione 2015/16, abbiano fatto le fortune dei "Reds" negli anni a venire al punto da essere tutti presenti nella top undici con più presenze dell’era Klopp.

I protagonisti

Non si può però rischiare di banalizzare Jurgen Klopp e il suo calcio racchiudendolo esclusivamente nello stereotipo del calcio dai ritmi alti, perché il Liverpool nel corso degli anni ha dimostrato di saper pressare in maniera intelligente e pianificata predisponendo delle trappole e dei trigger difensivi molto precisi. Se spesso nella prima pressione si tende a portare l’avversario sull’esterno per sfruttare la linea laterale come un uomo in più, i "Reds" facevano l’esatto contrario, cioè chiudevano le tracce di passaggio verso i terzini avversari con Salah e Mané per adescare l’avversario a giocare centralmente dove veniva circondato dai tre centrocampisti, da Firmino e da uno dei due esterni alti.

Mané chiude la traccia esterna forzando la conduzione centrale di Otamendi, che viene intrappolato da 5 giocatori che lo portano a perdere palla; rapido ribaltamento di fronte e gol. Il Liverpool in un’azione.

L'allenatore tedesco negli anni è stato anche bravo a reinventarsi continuamente. In questo è stato aiutato da uno staff di altissimo livello, specialmente nel ruolo di vice allenatore con Zeljko Buvac prima e Pepijn Lijnders poi. L’arrivo di giocatori, tra gli altri, come Mané, Salah, van Dijk, Alisson e Fabinho, ha trasformato profondamente il gioco dei "Reds".

I due esterni africani hanno alzato ulteriormente il livello atletico della squadra con la loro esplosività, combinandosi alla perfezione con Firmino grazie alle loro caratteristiche complementari, formando uno dei tridenti più memorabili e incontenibili dell’era moderna. La costante apprensione che i due esterni esercitavano sulla linea difensiva avversaria permetteva all’attaccante brasiliano di essere libero dai compiti del numero nove classico. Firmino aveva la possibilità di sfruttare maggiormente le sue qualità da trequartista convertendosi di fatto in un palleggiatore in più e in un enigma per le marcature avversarie. È anche grazie a lui che il Liverpool poteva permettersi un'alta qualità nel palleggio in mezzo al campo e una maggiore facilità nel tenere per tempo prolungato il possesso, fornendo alla squadra delle alternative più ragionate rispetto al solo ritmo incessante dei primi periodi.

Non va sottovalutato nemmeno l'apporto di Virgil van Dijk, che si è invece rivelato uno dei difensori centrali più forti degli ultimi anni. Un esempio più unico che raro di difensore in grado di fare reparto da solo, la cui figura imponente ha concesso alla squadra di difendere venti metri più in alto nel campo per via della sua capacità di terrorizzare qualsiasi avversario abbastanza incosciente da pensare di affrontarlo in uno contro uno. Un leader della retroguardia come l’olandese ha permesso quindi di pressare ancora più in alto e in maniera ancora più feroce, accelerando il processo di recupero del pallone. Non vanno poi sottovalutate le ottime qualità in costruzione specialmente sul lungo: la presenza di van Dijk ha accresciuto il controllo del pallone e delle partite da parte del Liverpool perché ha dissuaso gli avversari dal pressare alto per il timore di venire colpiti da uno dei suoi taglienti e tesi lanci in profondità per Mané e Salah.

Discorso simile se rapportato al ruolo diverso si può fare per Alisson: il portiere brasiliano – al di là del lampante valore delle sue prestazioni tra i pali – ha la qualità in costruzione per favorire un palleggio più lento e controllato dal basso, ma ha anche l’aggressività da sweeper-keeper per fornire un’ulteriore protezione difensiva e alleggerire la testa dei compagni che potevano pressare in avanti senza doversi preoccupare troppo di lasciare campo alle spalle. Per gli avversari del Liverpool trovarsi di fronte prima van Dijk e poi Alisson equivaleva ad affrontare il boss di un gioco che ti faceva credere di averlo battuto, salvo poi trasformarsi e diventare ancora più forte nell’imprevista fase due dello scontro.

Nonostante un ruolo di secondo piano dovuto anche a una minore longevità rispetto agli altri giocatori citati, è necessario menzionare anche il ruolo che ha avuto Fabinho nella composizione della squadra di Klopp. Si può dire che il brasiliano sia stato il Casemiro del Liverpool, cioè quell’àncora davanti alla difesa che oltre ad aver alzato l’efficienza difensiva della squadra ha permesso ai compagni di focalizzarsi quasi esclusivamente sull’apporto offensivo. I due giocatori che hanno avuto più benefici dall’arrivo di Fabinho sono stati senza dubbio Robertson e Alexander-Arnold, i veri registi offensivi della squadra in grado di superare plurime volte i dieci assist in campionato, un dato incredibile per degli esterni bassi.

Certo, tutto questo sarebbe stato solo un dettaglio senza il contributo del leggendario tridente Mané-Salah-Firmino, di cui al passare degli anni è rimasto soprattutto l'incredibile contributo dell'egiziano alla storia del Liverpool. Il numero di record infranti da Salah con la maglia rossa è semplicemente incredibile e sarebbe impossibile da riassumere qui. Di certo, tra i primi numeri che verranno ricordati ci sarà sempre il numero di gol nelle competizioni europee (47, più di qualunque altro nella storia del Liverpool) e ancora di più il numero di gol in Premier League (154, ancora una volta più di qualunque altro nella storia del Liverpool). Un apporto decisivo.

Il dualismo con Guardiola

L’uso dei due terzini apre uno squarcio su quanto Jurgen Klopp sia stato controculturale rispetto all’egemonia calcistica degli ultimi quindici anni. È impossibile parlare di Klopp senza parlare di Guardiola, i due allenatori che hanno forse più influenzato il calcio del nuovo secolo con due filosofie diverse, dando vita a delle sfide e dei testa a testa indimenticabili. È evidente che il catalano abbia dettato l’agenda del calcio mondiale da quando si è seduto sulla panchina del Barcellona nel 2008, ma nessuno è riuscito a mettere in crisi le sue convinzioni come Klopp. Il gioco di posizione flemmatico orientato al dominio della gara attraverso il controllo del pallone che Guardiola ha importato in Inghilterra – per quanto già declinato diversamente rispetto agli anni spagnoli per via dell’influenza del periodo al Bayern Monaco, che a sua volta era stato influenzato dal Borussia Dortmund allenato proprio da Jurgen Klopp – si è schiantato contro un muro nella stagione 2017/18 nei quarti di Champions League quando il ritmo incessante dei "Reds" si è rivelato ingestibile per il Manchester City, sonoramente sconfitto complessivamente per 5-1.

Parafrasando la dialettica hegeliana potremmo dire che il calcio di Guardiola è stato la tesi per un decennio, mentre il calcio di Klopp è stato l’antitesi. Lo scontro tra queste due filosofie ha creato un'interazione dinamica tra i due stili, spingendo ciascuno di essi a evolversi e adattarsi in risposta all'altro, sintetizzandosi in uno stile di calcio che fonde controllo e intensità, struttura e spontaneità. Klopp domenica si è speso in elogi verso il collega e storico rivale sul campo, affermando che soltanto lui avrebbe potuto vincere quattro titoli di fila. L’allenatore catalano, quasi commosso, ha risposto con la voce rotta in questo modo: «Jurgen ha rappresentato una parte molto importante della mia vita, ha alzato il mio livello come allenatore; penso che ci rispettiamo molto. Voglio ringraziarlo per le sue parole». C’è tanto di Klopp e dell’efficacia in transizione del Liverpool se Guardiola ha cambiato faccia così spesso alla sua squadra, specialmente se pensiamo alla “svolta difensivista” dell’ultimo anno e mezzo che lo ha portato a schierare con costanza quattro difensori centrali per ridurre al minimo il pericolo delle transizioni difensive.

La difformità di Klopp rispetto allo standard imposto dal guardiolismo va oltre un mero scontro ideologico estrapolato dal contesto, ma si concretizza nelle scelte contingenti: quando Guardiola giocava a ritmi bassi e attorno alla pressione, Klopp alzava il ritmo e giocava dentro la pressione; quando Guardiola stringeva i terzini dentro al campo lasciando l’ampiezza agli esterni alti, Klopp alzava i terzini in ampiezza e portava dentro gli esterni alti; quando Guardiola ha svilito i cross, Klopp ha bombardato le aree avversarie di palloni in mezzo. Ciò non significa che il tedesco sia stato impermeabile nei confronti delle innovazioni portate dal collega (e viceversa), anzi: quando ha deciso di rubargli qualcosa lo ha fatto a modo suo, rielaborando i concetti sulla base dei giocatori che aveva a sua disposizione.

Una classica azione offensiva del Liverpool con una mezzala a sostegno dei tre attaccanti stretti e i due terzini larghi pronti a mettere palloni in mezzo.

Il finale

A questo punto torniamo all’oggi, il momento da cui abbiamo iniziato il racconto di questa storia. Verso la fine della scorsa stagione Klopp ha trasformato ulteriormente la sua squadra spostando in fase di possesso Trent-Alexander Arnold dall’esterno del campo al centro, da terzino invertito, per affidargli in maniera ancora più lampante le chiavi della squadra nella prima metà di campo. Si tratta di una mossa che abbiamo visto spesso negli ultimi anni specialmente nelle squadre di Guardiola, ma anche nell’Arsenal di Arteta, nel Milan di Pioli e in tanti altri contesti.

A prima vista può sembrare una scelta che si accoda a quella omogenizzazione tattica di cui si lamentava Juan Manuel Lillo in un celebre articolo pubblicato su The Athletic durante i Mondiali in Qatar, cioè quella tendenza presente soprattutto nelle squadre più blasonate a giocare nello stesso modo, con gli stessi principi, con lo stesso schieramento nelle due fasi. Klopp però, come suo solito, prende dagli altri per rielaborare a modo suo. Come avevo già scritto in un articolo di qualche mese fa Alexander-Arnold è un giocatore più da prima linea di costruzione che da seconda, e ha senso porlo come primo cardine della costruzione dell'azione.

In questa stagione abbiamo assistito a una crescita della ricerca ossessiva del controllo difensivo, incarnato dalle partite tra Manchester City e Arsenal, le principali contendenti al titolo, con ben otto difensori centrali schierati dal primo minuto; Klopp però si è mosso in maniera antitetica rispetto ai sue due colleghi, mostrando che si può puntare alla vittoria del campionato anche con un calcio più verticale e veloce che non mette alla base di tutto l’estrema protezione nelle transizioni difensive, dando le chiavi della squadra al giocatore più diretto in rosa. Non è un caso, infatti, che i "Reds" siano nettamente sotto Arsenal e City per Expected Goals concessi (1,11 contro 0,66 e 0,86) e nettamente sopra per Expected Goals creati (2,01 contro 1,70 e 1,77). Il tedesco è rimasto fino all’ultimo fedele a sé stesso plasmando la squadra a sua immagine e somiglianza, ma senza recintarsi testardamente nelle sue idee e mostrandosi sempre pronto a prendere dagli altri, mettendoci del suo per distinguersi, sia in campo che fuori.

Grafico StatsBomb

Nella giornata di sabato, alla vigilia dell’ultima partita, Klopp ha deciso di sbarcare sui social per condividere con tutti in maniera più diretta le sue ultime ore da allenatore del Liverpool. L’ultimo contenuto che ha postato è un breve video registrato poco dopo la fine dell’ultimo allenamento in cui ha mostrato con un misto di malinconia e orgoglio per quanto fatto le scatole con la sua roba, pronto a lasciare l’ufficio; poco prima però aveva condiviso un video d’addio per i tifosi nel quale si succedevano le immagini dei grandi successi ottenuti. Tra i vari momenti raffigurati c’è anche un breve estratto della sua conferenza stampa di presentazione in cui disse: «Non è così importante quello che le persone pensano di te quando arrivi, è molto più importante quello che pensano di te quando te ne vai».

E adesso possiamo dirlo. Dopo nove incredibili stagioni è impossibile trovare un singolo tifoso del Liverpool che non ritenga Jurgen Klopp una delle più grandi leggende della storia del club.

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