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Quanto è forte l'attacco del Liverpool
20 apr 2018
20 apr 2018
Sadio Mané, Roberto Firmino e Mohamed Salah compongono uno degli attacchi più formidabili del calcio europeo, e la Roma deve studiare una strategia per fermarli.
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Liverpool e Roma sono due squadre dall’identità chiara e definita e che presentano alcuni punti di contatto. Sia Di Francesco che Klopp prediligono un calcio intenso e verticale che declinano in maniera diversa. La riconquista attiva del pallone attraverso meccanismi codificati di pressing e gegenpressing caratterizzano il calcio di entrambe le squadre e una veloce transizione offensiva successiva al recupero del pallone rimane la migliore arma d’attacco sia per il Liverpool che per la Roma.

Tra i tanti temi tattici proposti dal confronto tra Roma e Liverpool, desta particolare interesse il confronto tra la difesa dei giallorossi e l’attacco della squadra di Jürgen Klopp.

L’evoluzione di Klopp

Il concetto di gegenpressingha trovato la sua espressione ai massimi livelli, imponendosi all’attenzione del pubblico, grazie a Jürgen Klopp e al suo Borussia Dortmund. La preferenza del tecnico del Liverpool per questo meccanismo tattico ha reso famosa la sua frase "il gegenpressing è il miglior playmaker del mondo", che sottolinea le ricadute positive, in termini offensivi, del tentativo di riconquistare il pallone il più velocemente possibile per approfittare, in transizione, degli sbilanciamenti della squadra avversaria nel momento in cui ha già perso la sua struttura posizionale difensiva e non ha ancora costruito quella offensiva.

Tuttavia, in questa stagione, il Liverpool pare aver parzialmente rinunciato alla riconquista alta del pallone, a favore di un approccio più sfaccettato, capace di modulare l’altezza del pressing di partita in partita e all’interno della stessa. Alcuni dati statistici confermano quantitativamente il nuovo stile difensivo di Jürgen Klopp. L’indice PPDA misura il rapporto tra i passaggi effettuati dagli avversari in una determinata zona di campo (ad esempio nella metà campo opposta) e le azioni difensive vincenti effettuate da chi pressa nella stessa zona di campo. Più basso è il valore di questo indice, maggiore è la pressione applicata dalla squadra. Con le limitazioni e le cautele del caso, il PPDA viene utilizzato come un indice correlato all’intensità del pressing offensivo di una squadra. Il Liverpool di Klopp è passato dall’essere la seconda squadra della Premier League nella due passate stagioni al quinto posto dell’attuale. Il PPDA si è innalzato dal 7.23 del 2015-16 (30 partite, dopo l’esonero di Brendan Rodgers) e del 2016/17, all’odierno 9.68, che certifica la variazione della strategia di pressing dell’allenatore tedesco.

Oggi, il Liverpool, pur continuando a essere una squadra in grado di pressare alto con molta intensità ed efficacia, è in grado di diversificare l’altezza del proprio pressing, scegliendo anche di compattarsi ad altezza media, con le due linee molto strette tra di loro che garantiscono al contempo densità e riduzione degli spazi per gli avversari e difesa alta. Una scelta del genere ha pagato dividendi altissimi in occasione della partita d’andata dei quarti di Champions League vinta per 3-0 contro il Manchester City di Pep Guardiola. Il nuovo approccio ha migliorato i numeri difensivi della squadra; in Premier League il Liverpool di Klopp subisce 1.03 gol a partita, meno che nelle scorse stagioni, subisce meno tiri (7.11 per match, 8.16 nel 2016/17, 10.5 nel 2015/16) e ha abbassato il dato degli xG subiti da 1.59 della scorsa stagione a 0.96 di questa.

Le ragioni della scelta del tecnico tedesco di modulare la propria strategia di recupero palla possono essere molteplici. Il pressing offensivo continuo richiede un impegno fisico e mentale sempre elevato e un calo dell’intensità può essere pagato a caro prezzo in termini di enormi squilibri alle spalle della prima pressione elusa dagli avversari. La scorsa stagione, pur in assenza di impegni europei, tra gennaio e febbraio il Liverpool aveva accusato una grossa flessione, che aveva pregiudicato la possibilità di lottare per il titolo di Premier League e, in generale, nel girone di ritorno aveva collezionato ben 10 punti in meno che in quello d’andata. Non è da escludere quindi che la mitigazione dell’intensità e dell’altezza del pressing risponda in parte a un’esigenza atletica. È altresì ipotizzabile che Klopp abbia tentato di adattare il suo stile difensivo alle caratteristiche dei calciatori a suoi disposizione. E non soltanto a quelle dei suoi difensori – Lovren, Matip, Klavan - ritenuti non perfettamente a proprio agio a difendere alti e con parecchio spazio alle proprie spalle, ma anche e soprattutto a quelle dei propri attaccanti.

L’attacco del Liverpool

Pur fortemente identificato con la qualità del suo pressing, una caratteristica, forse non troppo pubblicizzata, ma nemmeno troppo nascosta del Liverpool, è l’efficacia del suo attacco.

I Reds hanno il miglior attacco della Champions League in termini di gol realizzati, ben 33 in 10 partite. In campionato sono secondi, dietro solo allo stratosferico attacco del Manchester City, con una media di quasi 2.3 gol a partita. Sono secondi solo al City per numero di tiri (15.64 ogni 90 minuti, contro i 15.84 dei Citizens), ma, su azione, tirano di più della squadra di Guardiola su azione (543 tiri contro 532). Gli xG sono passati da 1.59 per partita della passata stagione all’attuale 1.98. Un enorme contributo ai numeri del Liverpool è ovviamente dato dal capocannoniere di Premier League, Mohamed Salah, 30 gol in campionato, con 21.07 xG attesi. Con 9 assist, l’egiziano è anche il miglior giocatore della squadra in questo fondamentale. La centralità del trio d’attacco del 4-3-3 di Klopp nella produzione offensiva della squadra è descritta anche dai numeri degli altri due attaccanti: Firmino ha a referto 15 gol e 7 assist, Mané 10 gol e 7 assist. I tre giocatori offensivi producono il 72% dei gol della squadra e il 43% degli assist. Se consideriamo la totalità del contributo data da componenti del reparto offensivo, includendo anche le prestazioni di Coutinho, ceduto a gennaio al Barcellona, come punta e quelle di Solanke e Sturridge, le percentuali si alzano rispettivamente a 79% e 52%.

È evidente che l’attacco del Liverpool dia il suo meglio giocando in verticale e con spazio davanti a sé da attaccare. I Reds sono capaci con eguale efficacia di giocare ripartenze lunghe, partendo da posizione più bassa, e contrattacchi più corti successivi al recupero alto del pallone grazie al loro pressing. I tre gol del Liverpool nella partita d’andata dei quarti di finale contro il Manchester City racchiudono quasi ogni tendenza dell’attacco della squadra di Klopp. Il primo gol nasce da un calcio d’angolo del City e dalla successiva, velocissima, ripartenza dei Reds; il terzo gol ha invece origine da una palla recuperata a cavallo della linea di centrocampo, rubata dai piedi di Otamendi che provava, individualmente, a spezzare il pressing avversario. Il gol di Oxlade-Chamberlain introduce un’altra delle grosse qualità del Liverpool di Klopp, il recupero delle cosiddette seconde palle, necessario in un sistema di gioco che fa del pressing e della verticalità uno dei suoi punti di forza.

Le qualità in campo aperto e la capacità di attaccare velocemente le difese avversarie non schierate posizionalmente beneficia, oltre che dal lavoro tattico dell’allenatore, delle doti complementari degli interpreti del terzetto di attacco . La formazione base prevede il brasiliano Firmino giostrare da centravanti, con Salah alla sua destra e Mané alla sinistra.

Dalla cessione di Coutinho il Liverpool non occupa più la trequarti con le sue mezzali, che ora possono concentrarsi a correre in verticale. Allora diventa fondamentale il contributo spalle alla porta di Roberto Firmino che, nel suo ampio bagaglio di movimenti, possiede la sensibilità tattica e tecnica per abbassarsi per sfuggire alla marcatura dei difensori, attirarli fuori e creare così i corridoi per i tagli profondi dei compagni e, infine, attivarli con precisione.

Nella cinetica del gioco del Liverpool, Firmino, con il suo lavoro di raccordo e i suoi passaggi di innesco verso Salah e Mané, è l’elemento in grado di fornire le variazioni di ritmo necessarie al gioco iperdinamico dell’attacco dei Reds, donandogli il contributo di creatività perso con la partenza di Coutinho.

Firmino si stacca dalla linea difensiva del Manchester United e si posiziona alle spalle dell’uomo in pressione del portatore di palla per raccordare il gioco tra centrocampo e attacco. In questo caso, la consueta prudenza dello United, suggerisce ai suoi centrali di rimanere bassi, senza seguire il movimento di Firmino.

Mané è l’interprete più verticale del terzetto offensivo del Liverpool. Più di Salah, il senegalese ama correre il campo il più in verticale possibile, riducendo i tagli interni e le conduzioni verso il centro del campo che caratterizzano invece il gioco dell’egiziano.

L’impatto di Salah nel gioco del Liverpool è andato al di là di ogni rosea previsione. L’ex attaccante di Roma e Fiorentina ha trovato dentro il gioco di Klopp l’ambiente ideale per mettere a frutto tutte le sue doti, che non si esauriscono certo all’enorme velocità che è in grado di raggiungere sia in possesso del pallone, che correndo senza di esso. La tecnica nel controllo del pallone nello stretto lo rende capace di dialogare in rapidità in spazi angusti e di giocare con profitto spalle alla porta; con Mané ha affinato, grazie anche al lavoro di Klopp, la capacità di attaccare la profondità nei tempi corretti, creando un mix di tempismo e velocità pura difficilmente gestibile da qualsiasi difesa.

Ma il Liverpool non attacca solo in transizione

L’attacco in transizione rimane l’arma offensiva più affilata dei "Reds"; modulando l’altezza del pressing Jürgen Klopp è riuscito a diversificare la natura dei suoi contrattacchi, utilizzando il pressing alto per generare ripartenze corte e originandone invece di più lunghe abbassando il baricentro.

Tuttavia, la fase offensiva del Liverpool possiede soluzioni ben delineate anche per le fasi in cui è costretta a manovrare contro una difesa schierata. La circolazione di palla della squadra di Klopp non è particolarmente complessa, ma rapida e capace di prendersi rischi.

Il Liverpool è, dopo Manchester City e Arsenal, la squadra che effettua più passaggi per minuto di possesso palla (10.7), indice di un ritmo elevato della circolazione del pallone. È la quarta squadra di Premier per precisione di passaggi (85.75%), sporcata da un grosso utilizzo di passaggi filtranti e lanci lunghi: sono la prima squadra di Premier League per numero di passaggi filtranti (13.4 ogni 90 minuti) e tra le migliori 6 del campionato è quella che, abbondantemente, effettua più passaggi lungi (quasi 44 ogni 90 minuti).

L’utilizzo del lanci lunghi, oltre a chiamare in causa l’abilità di Mané e Salah di attaccare la profondità, anche contro difese schierate, è funzionale alla creazione di seconde palle nell’ultimo terzo di campo che gli uomini di Klopp riescono con estrema frequenza a riconquistare creando così i presupposti per attaccare una difesa disordinata.

A eccellere nel recupero delle seconde palle sono le mezzali e, soprattutto, Roberto Firmino, che sui lanci lunghi verso i suoi compagni di reparto che si muovono in verticale si stacca dalla difesa e cerco lo spazio di possibile ricaduta del pallone sulla eventuale respinta dei difensori.

L’utilizzo dei filtranti chiama invece direttamente in causa il trio d’attacco e la ricerca di combinazioni rapide, corte e incisive tra le tre punte. Salah, Mané e Firmino giocano sempre molto stretti e vicini tra loro e una delle soluzioni preferenziali dell’attacco posizionale del Liverpool consiste nell’imbucata palla a terra verso una delle punte che innesca dialoghi ravvicinati tra i tre attaccanti. La tecnica, la capacità di scambiarsi la posizione e i tempi di attacco alla profondità del reparto offensivo sono le armi che Klopp ha a disposizione per rendere efficace questa soluzione d’attacco.

Salah, Mané e Firmino giocano stretti e vicini. Firmino si stacca e serve il taglio di Mané. Uno schieramento e uno sviluppo tipico del Liverpool contro le difese schierate.

Il timing nell’attacco della profondità delle punte, in particolare quello di Momo Salah, è utilizzato soprattutto per cercare una soluzione sull’esterno contro le difese schierate, che però provano a non schiacciarsi troppo nella propria area. Con squadre che adottano una soluzione difensiva del genere i "Reds" vanno al cross con frequenza dalla trequarti campo, giocando dei palloni tagliati e veloci alle spalle della linea difensiva e confidando nella rapidità e nel tempismo dei propri attaccanti nell'arrivare sulla palla prima dei difensori.

Nell’ultima giornata di campionato il terzino Alexander-Arnold gioca un traversone alle spalle della difesa del Bournemouth, trovando Salah che attacca la profondità e realizza il gol di testa. Una soluzione ricorrente del Liverpool contro difese schierate.

Come si ferma l’attacco del Liverpool?

Il Liverpool è imbattuto in Champions League e in campionato ha perso solo due volte agli albori della stagione, contro il Manchester City (affrontato in inferiorità numerica per più di un’ora) e contro il Tottenham; e altre due volte dopo la cessione di Coutinho, contro lo Swansea e il Manchester United.

Se la partita contro lo Swansea può essere catalogata come un incidente di percorso, tenuto conto anche della grossa e sfortunata produzione offensiva del Liverpool nella partita (21 tiri e 2.2 xG), è invece interessante l’ultima sconfitta in campionato, arrivata un mese e mezzo fa all’Old Trafford contro i "Red Devils" di José Mourinho.

Come sua abitudine, il Manchester United, forte anche del doppio vantaggio precocemente conseguito, ha giocato una partita fortemente conservativa schierandosi molto basso. È stata l’unica volta in stagione in cui la squadra di Klopp non è riuscita a tirare su azione da dentro l’area e la sua produzione offensiva, figlia quasi esclusivamente di conclusioni da calcio piazzato, è stata capace di generare solamente 0.78 xG, un valore molto basso per una squadra come il Liverpool.

A questo punto dobbiamo chiederci se la scelta di Mourinho di negare la profondità agli attaccanti del Liverpool abbassando il baricentro e costringendoli a giocare in ogni occasione contro la difesa schierata è la migliore soluzione per limitare l’attacco di Klopp. E, soprattutto, è un’opzione che la Roma può adottare nella doppia sfida di semifinale di Champions League?

La natura difensiva più profonda della Roma risiede in un mix di pressing offensivo e difesa a zona, sempre piuttosto avanzata. Il Barcellona è stato affrontato in entrambi i match tenendo il più alta possibile la linea difensiva, con buon successo, a dispetto dei 4 gol subiti, persino nella partita di andata, dove i giallorossi erano stati puniti oltremisura dalla qualità individuali degli avversari, più che da un predominio tattico.

Nella partita di ritorno Di Francesco aveva estremizzato le caratteristiche della propria difesa e adattato lo schieramento agli avversari, scegliendo un 3-4-3 che riusciva a difendere bene il 4-4-2 del Barcellona. Quella che sembrava una scelta limitata a una sola partita è stata riproposta nel derby, in maniera controintuitiva rispetto alla verticalità e all’attacco a tre punte della Lazio, affrontato ancora con il 3-4-3 e una linea difensiva altissima.

Contro la Lazio la scelta rischiosa ha pagato e la strada intrapresa sembrava essere quella definitiva, ma, nel turno infrasettimanale contro il Genoa, la Roma è tornata alla difesa a 4, che tuttavia ha abbandonato a 20 minuti dalla fine per difendere il vantaggio conseguito.

Di Francesco dovrà quindi scegliere se schierare una linea a 3 difensori e il suo nuovo 3-4-3 o optare per il collaudato 4-3-3; inoltre dovrà decidere se, anche contro il Liverpool, tenere la linea difensiva alta o, in maniera più prudente, abbassare il baricentro e provare a ridurre lo spazio alle spalle dei propri difensori.

Difesa a 3 o a 4, difendere alti o abbassarsi?

Contro il Barcellona, che presentava come punte Messi e Suárez in un momento di forma piuttosto grigio, la scelta di difendere alto e tenere lontani dalla propria porta i fuoriclasse avversari era stata piuttosto logica, considerando anche la scarsa attitudine ad attaccare la profondità delle punte blaugrana.

I tre difensori centrali garantivano oltretutto superiorità numerica contro i due attaccanti del Barça e la decisione di schierare in mezzo la velocità di Manolas, tra Fazio e Juan Jesus, era un’assicurazione contro ogni sbavatura. Contro il Liverpool però, una difesa a 3 schierata alta presenterebbe parecchi rischi.

Contro il tempismo e la velocità degli attaccanti dei Reds il rischio principale è quello di lasciare troppo campo alle spalle dei difensori, a cui si aggiungerebbe quello legato alla possibilità di affrontare il tridente d’attacco del Liverpool in parità numerica, senza avere un uomo libero di chiudere le eventuali falle.

Uno schieramento arretrato a 3, anzi, potrebbe persino agevolare l’eccellente pressing offensivo avversario, che sarebbe in grado di pressare in parità numerica e generare le sue solite occasioni dal recupero avanzato del pallone.

La scelta di una difesa a 4 sembrerebbe per questo la più prudente, specie se Di Francesco vorrà mantenere alto il baricentro della sua squadra senza snaturarne l’identità tattica. Sarà necessaria un’estrema attenzione nei meccanismi dell’elastico difensivo (il movimento ad alzarsi e ad abbassarsi della linea difensiva in funzione della possibilità degli avversari di giocare una palla alle sue spalle) e occorrerà una partita perfetta nella lettura delle diverse situazioni, scegliendo bene i momenti in cui la linea difensiva potrà mantenersi alta e quelli in cui dovrà provare a scappare indietro in anticipo rispetto alla velocità degli attaccanti del Liverpool.

L’essenzialità della manovra offensiva della Roma potrebbe essere un vantaggio, limitando le occasioni in cui il pressing di Klopp può tramutarsi nel playmaker della squadra, rubando palla in zone pericolose. Ma anche con una difesa alta i giallorossi dovranno comunque rimanere compatti e con i reparti vicini per evitare che un allungamento delle distanze tra difesa e centrocampo consenta al Liverpool di conquistare le seconde palle, che potrebbero costituire un punto debole della Roma, anche a causa della scarsa reattività di De Rossi e Strootman.

Uno scenario alternativo, ma non irrealistico considerando il sottovalutato pragmatismo di Di Francesco, vede invece la Roma concentrata, più che a difendere nella maniera che conosce meglio, a rendere meno comodo l’attacco del Liverpool, abbassandosi e facendo densità nella propria metà campo.

I giallorossi hanno mostrato di non essere particolarmente capaci di resistere a lungo in fasi conservative di difese posizionale e rischierebbero di complicare la propria fase offensiva oltremodo con transizioni troppo lunghe; ma, come il match di ritorno contro il Barcellona, la semifinale di Champions League è un’occasione troppo ghiotta per non giocare d’azzardo se il guadagno potenziale è così alto.

Lo scontro tattico tra la difesa della Roma e l’attacco del Liverpool non è l’unico tema dell’attesissima rivincita della finale di Coppa dei Campioni 1983/84. Direttamente connesso a questo, c’è quello tra l’efficacia del pressing di Klopp contro la costruzione bassa non sempre sicura dei giallorossi. O, ancora, quello tra la tenuta della difesa del centro dell’area dei "Reds" e l’attacco della Roma, diametralmente diverso da quello, dominato fisicamente, del Manchester City. Di certo la possibilità di prenotare un posto per Kiev passerà dalla capacità della squadra di Di Francesco di limitare e contenere la forza offensiva di quella di Klopp.

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