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Foto di Shaun Botterill / Getty Images
Fondamentali Francesco Lisanti 6 aprile 2018 7'

A mali estremi, estremi rimedi

Sia Klopp che Guardiola hanno preso scelte rischiose, per giorcarsi il tutto per tutto nei quarti di finale di Champions League.

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Diciamo subito che, nonostante il 3-0 di Anfield, se la gara di ritorno terminasse come l’ultima volta che Liverpool e Manchester City si sono affrontate all’Etihad Stadium, sarebbe il City a passare il turno. Era lo scorso 9 settembre e la difesa alta di Klopp concesse 5 gol alle transizioni celestiali dell’attacco di Guardiola (e finì 5-0).

 

Ma in questi sette mesi i ruoli tra le due squadre si sono completamente capovolti: se nel primo capitolo della rivalità tattica più esaltante della stagione il Liverpool non aveva trovato risposte al dilemma di come difendere una squadra che attaccava contemporaneamente l’ampiezza (con le corse a tutto campo di Walker e Mendy) e la profondità (con i movimenti opposti e imprevedibili di Agüero e Gabriel Jesu), mercoledì sera è stato il City a non riuscire a contrastare la densità centrale e l’intensità della squadra di Klopp.

 

La squadra di Guardiola è sembrata incapace di attaccare l’ampiezza, con un centrocampo ingolfato di giocatori dalle caratteristiche simili e il solo Sané ad attaccare con costanza i canali di fascia. Il City non è riuscito neanche ad attaccare la profondità, con il solo Gabriel Jesus come riferimento offensivo, completamente avulso dalla manovra (13 passaggi riusciti, 1 tiro, nient’altro).

 

Ha senz’altro influito anche la legge di Anfield, il calore con cui i tifosi del Liverpool hanno scaldato la partita ancora prima che iniziasse, ma se per la prima volta assoluta nell’arco di questa stagione, il Manchester City ha chiuso la partita con zero tiri in porta, con una precisione dei passaggi è inferiore al 90% per la prima volta dal match di Premier League contro l’Arsenal (vinto 0-3, tra l’altro, esattamente un mese fa), le ragioni sono da ricercare soprattutto nelle scelte dei due allenatori.

 

«Nella partita di ritorno avremo di nuovo bisogno di lavorare come dei dannati», ha detto Klopp per spiegare il successo, ed è questa la chiave con cui interpretare la vera notizia della partita: difendendo con grande attenzione e assumendosi dei rischi in ogni zona del campo, il Liverpool è riuscito a far giocare male il City.

 

Impression

Il classico 4-3-3 di Klopp, che non aveva dubbi alla vigilia, contro una sorta di 3-4-2-1 asimmetrico scelto da Guardiola, con Gündogan nel posto che di solito spetta a Sterling: una mossa molto discussa.

 

La precisione difensiva del Liverpool

Contro squadre dotate della qualità di palleggio e dell’intelligenza collettiva di cui dispone il City di Guardiola, è impossibile restare bassi a protezione dell’area, perché appena sono messi nelle condizioni di cercare un varco, trovano un varco.

 

D’altra parte, è altrettanto rischioso lanciarsi alla conquista del pallone, perché si muove a una velocità a cui è impensabile coprire tutti gli spazi. La soluzione trovata da Klopp segue una tendenza che si sta diffondendo in contesti tattici di questo tipo (una strategia del genere fu adottata dallo Shakhtar di Fonseca che sconfisse il Napoli): ha mantenuto tutti gli effettivi molto stretti nella fascia centrale del campo e le distanze tra i reparti cortissime, senza però rinunciare a tenere la difesa molto alta, con il centrocampo schiacciato alla linea di difesa e sempre pronto a scappare all’indietro per coprire gli inserimenti.

 

Proseguendo in quel processo di transizione avviato già pochi mesi dopo il suo arrivo, che lo ha portato a trasformare il Liverpool da squadra votata al pressing alto a squadra letale in transizione, Klopp ha quasi del tutto rinunciato alla presenza nella metà campo del City (13 palloni recuperati dopo la linea di centrocampo, contro i 18 del City) per poi aumentare sensibilmente la densità e la decisione del pressing intorno al cerchio di centrocampo. In assenza di spazi tra le linee, la manovra del City si è atrofizzata ed è caduta nelle morse della ragnatela di Klopp.

 

Il primo gol è una sorta di marchio di fabbrica del Liverpool: sul calcio d’angolo degli ospiti tutti gli uomini rientrano nei primi venti metri, venti secondi dopo ce ne sono quattro nell’area di rigore avversaria. Sané regala il possesso con un controllo pigro e un passaggio rischioso, e in quel momento il campo si inclina vertiginosamente verso la porta di Éderson. Il panico del City sta tutto nell’errore di Walker in area di rigore che si fa rubare il pallone da Firmino a due passi dall’area piccola.

 

Anche gli altri due gol arrivati nella prima mezz’ora di partita derivano da palle perse dal City, ed esprimono nella stessa misura sciatteria e frustrazione: un tentativo di passaggio volante di Walker sotto pressione; e un’infelice azione personale di Otamendi. Ancora una volta, il gegenpressing di Klopp si è rivelato il sasso per la forbice del gioco di posizione di Guardiola.

 

Impression

Poco prima del 2-0 del Liverpool, il blocco centrale del City è disposto in una porzione molto ristretta di campo, rendendosi così vulnerabile al pressing degli uomini di Klopp.

 

In sostanza il disastro del City si può riassumere con un discreto controllo sulla partita durato appena dieci minuti, a cui è seguito un continuo collasso della manovra in fazzoletti di campo, nel tentativo di gestire il palleggio su distanze sempre più ravvicinate, facili da controllare con il pressing.

 

Mentre il City perdeva progressivamente i propri riferimenti in mezzo al campo, il Liverpool continuava ad approfittare degli spazi intasati e a spingere sull’acceleratore, fino alla fine del prima tempo, chiuso con un fallo di frustrazione di Otamendi ai danni di Firmino. Le rotazioni controintuitive dei centrocampisti di Guardiola, forse figlie della paura, forse della fatica di sostenere l’intensità dei Reds, hanno minato quello che è il punto di forza del City: la capacità di occupare con efficacia e precisione ogni zona del campo, per muovere velocemente il pallone e farsi trovare al posto giusto per recuperarlo in caso di perdita.

 

In questa sfida tra architetture tattiche (oltre che filosofie di gioco, ordine vs caos), è rimasta più a lungo in piedi quella di Klopp. Anche dopo l’infortunio di Salah, arrivato al 52’, Klopp ha conservato il 4-3-3 inserendo Wijnaldum nella posizione di Oxlade-Chamberlain, avanzato in quella dell’egiziano. Il Liverpool ha perso qualità e pericolosità nelle ripartenze, ma ha continuato a difendersi agevolmente con due linee strettissime e molto fluide a protezione dell’area di rigore.

 

Le scelte rischiose di Klopp e Guardiola

Le mosse di Guardiola miravano a mettere a proprio agio i suoi palleggiatori, De Bruyne doveva abbassarsi all’altezza di Fernandinho per ricevere mentre Gündogan poteva oscillare in zona centrale con Silva in modo da giocare in superiorità (4 vs 3) con il centrocampo del Liverpool. Ma in realtà hanno sortito l’effetto contrario, quello di facilitare la tattica difensiva del Liverpool. De Bruyne e Fernandinho si sono disposti sempre in linea piatta davanti alla difesa, mentre Silva e Gündogan erano attratti dal centro e facilmente invitati nella gabbia costruita da Klopp con i tre centrocampisti e i tre attaccanti, insolitamente molto stretti.

 

Superata la linea di centrocampo, il City si ritrovava ad affrontare l’aggressività dei Reds senza lo spazio necessario per far circolare il pallone, né la lucidità per trovare vie di fuga al pressing. Come ha dimostrato anche l’ultimo confronto, queste difficoltà vanno al di là della scelta degli uomini e dei moduli. L’applicazione dei principi del gioco di posizione richiede grande fiducia e concentrazione, e sotto i colpi della pressione dei Reds, i giocatori del City hanno iniziato a compiere scelte sbagliate con una frequenza inedita.

 

Questa confusione è ovviamente aumentata con il passare dei minuti e con il precipitare del passivo, e non ha reso possibile sfruttare quei vantaggi posizionali che il City riusciva comunque a creare lungo il campo, ma poi non riusciva a trasformare in occasioni.

 

Impression

Un esempio di occasione persa, intorno al settimo minuto. La strategia difensiva di Klopp impone che le ali coprano il passaggio verso i terzini, e le mezzali rimangano strette e vicine; così si libera spazio per servire i movimenti laterali di Silva e Gündogan, che però sono stati pochi, e spesso anche ignorati, come in questo caso, da uno svagato De Bruyne.

 

Contro il Liverpool, che ha scelto di difendere il centro ad ogni costo, che anche in fase offensiva accompagnava l’azione sul lato forte, vanificando la possibilità di un cambio di gioco pur di non perdere compattezza in caso di palla persa (quando al 9’ Karius lancia il pallone verso destra, il terzino sinistro si ritrova sul dischetto di centrocampo), il City non ha mai approfittato delle catene laterali, a causa di un modulo che privilegiava l’occupazione del centro.

 

L’unica luce di speranza nella prestazione del City sono stati gli 11 dribbling tentati da Sané e Sterling, di cui 8 completati con successo. Sterling è subentrato a Gündogan per giocare gli ultimi 35 minuti, e ha subito migliorato l’attacco in ampiezza del City, che da quel momento in poi ha schiacciato il Liverpool negli ultimi metri. Senza però ricavarne nulla.

 

Se il City ha cercato poco gli uno contro uno delle due ali, è anche merito della grande partita di un 19enne del vivaio del Liverpool e di un 24enne scozzese strappato a una squadra retrocessa. Le tre bocche di fuoco, Sané, Salah, Firmino, rappresentano magari l’identità di questo Liverpool, ma i due terzini ne sono la sua anima: con uno spazio enorme da coprire e avversari di grande livello da affrontare, Alexander-Arnold e Robertson ha giocato una partita eccellente, permettendo a Klopp di raccogliere dividendi altissimi dalle sue scelte rischiose.

 

Per coronare la serata di grazia, anche l’intero pacchetto difensivo ha offerto una prova al di là delle aspettative: al fianco di Van Dijk (che ha concentrato su di sé i compiti di marcatura a uomo estromettendo Gabriel Jesus dalla contesa) si è mosso bene anche Lovren, che al 63’ ha disinnescato con un brillante anticipo e un elegante dribbling sulla trequarti l’unica occasione nel secondo tempo in cui Alexander-Arnold si è dimenticato di partire insieme a Sané al momento del lancio.

 

Ma l’immagine più vivida della serata, forse, resta il missile scagliato nella porta del City da Oxlade-Chamberlain, che ha decisamente indirizzato la partita verso il Liverpool. L’azione ha seguito il solito copione, con il pressing del Liverpool nella propria metà campo e gegenpressing in quella avversaria. Quando Milner rimette tra i piedi di Oxlade-Chamberlain un pallone temporaneamente recuperato dal City, entrano in gioco la tecnica e la follia necessaria per calciare così forte e così preciso sotto l’incrocio.

 

Come il pallonetto da 40 metri di Salah nella partita di campionato, un altro esempio di scelte estreme che si rivelano vincenti, che rispecchiano al meglio le scelte estreme che anche il loro allenatore non esita a prendere. In un quarto di finale spettacolare e sorprendente, due dei migliori allenatori al mondo hanno preso decisioni limite, ottenendo risultati opposti. La vittoria di Klopp dimostra anche che prendersi dei rischi elevati è una condizione necessaria per battere questa versione del Manchester City, e che nel firmamento della tattica contemporanea nessuna stella è fissa e sicura di indicare sempre il nord. Guardiola ha ancora 90’ minuti per riprendersi il primato sul palcoscenico europeo, in una stagione – fino a prima di questa partita – quasi perfetta.

 

 

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Francesco Lisanti è nato a Matera nel 1994, a Torino si è laureato ingegnere, a Milano ha iniziato a lavorare. Deve tutto al blog di Wannabe Radio. Al momento si divide tra la passione per il calcio e la pianificazione della produzione.

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