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Flavio Fusi
Derby allo specchio
16 apr 2018
16 apr 2018
Di Francesco e Inzaghi hanno schierato moduli simili, anche se con approcci diametralmente opposti. Ne è venuto fuori un derby contratto, con poche occasioni chiare e un pareggio tutto sommato giusto.
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Flavio Fusi
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Il Derby della Capitale è arrivato subito dopo una settimana europea scioccante, nel bene o nel male, per la Lazio e per la Roma. In quattro minuti maledetti i biancocelesti si sono visti strappare il passaggio in semifinale di Europa League dal RB Salisburgo. I giallorossi, invece, hanno completato una fantastica rimonta ai danni del Barcellona, raggiungendo una semifinale di Champions che nessuno avrebbe immaginato. Ma il derby ha sempre la possibilità di azzerare il passato, riscrivendo da capo la storia di vincitori e vinti. Oltre che per la supremazia cittadina, la sfida di ieri era determinante anche per le coppe europee del prossimo anno: prima del fischio di inizio, la classifica vedeva le due squadre appaiate a 60 punti, lo stesso bottino dell’Inter che aveva giocato una partita in più (il pareggio con l'Atalanta): tre squadre per i due posti in Champions League vicini a quelli già occupati da Juventus e Napoli.

 

Senza Perotti e con Ünder non ancora al meglio, Di Francesco ha messo ancora da parte il 4-3-3 in favore del 3-4-3 che martedì scorso ha consentito di ottenere l’incredibile rimonta sul Barcellona. Rispetto al 3-0 con i blaugrana, Florenzi si è inizialmente accomodato in panchina, con Bruno Peres schierato largo a destra. Rispetto al Salisburgo, Inzaghi ha invece fatto due cambi: Marusic ha preso il posto di Basta sulla destra, ma soprattutto Felipe Anderson è partito titolare al posto di Luis Alberto.

 



La strategia difensiva della Roma è parsa chiara sin dal fischio di inizio: Di Francesco voleva un baricentro alto, con la difesa sempre a cavallo del centrocampo, per mettere in fuorigioco Immobile e compagni. Una scelta che potrebbe sembrare persino controintuitiva, considerato quanto la Lazio sia pericolosa in transizione, ma che si è mostrata immediatamente in tutta la sua efficacia. Dopo quattro minuti erano già due gli offside della Lazio; entro il 26.esimo minuto erano saliti a sei.

 

I tre difensori della Roma hanno eseguito il piano gara con precisione, salendo sempre in maniera scientifica, anche a costo di prendersi qualche grosso rischio. Appena i tre sembravano esitare, era il tecnico giallorosso, sempre molto vistoso nel dare istruzioni, ad invitarli a salire con decisione. Manolas era schierato al centro per poter coprire con la sua velocità eventuali mancati anticipi dei laterali Fazio e Juan Jesus, mentre Alisson, come sempre, manteneva una posizione alta, necessaria a ridurre lo spazio tra l’ultimo difensore e la sua porta.

 


Manolas oltrepassa la linea di metà-campo e, in extremis, riesce a mettere Immobile in fuorigioco.


 

Questo comportamento della linea di difesa non era certo una novità: la Roma è solita difendere alta e Inzaghi aveva preparato la partita per per attaccare la profondità e sorprendere i giallorossi in transizione. L’atteggiamento della squadra di Di Francesco è stato però anche più aggressivo del solito. La Lazio si è immediatamente adattata al contesto, adottando uno stile di gioco ancora più diretto di quanto è solita fare, cercando spesso la giocata in verticale dopo uno o due passaggi appena.

 



Nel primo tempo il 3-5-1-1 laziale ha assunto spesso le sembianze di un 3-4-2-1, con Milinkovic-Savic sul centro-sinistra più avanzato di Parolo, e con Felipe Anderson sul centro-destra. Il serbo era importante nelle combinazioni offensive palla a terra, ma anche per vincere i duelli aerei quando la Lazio non riusciva ad avanzare palla a terra e doveva rifugiarsi sui palloni lunghi. Felipe Anderson invece portava palla per  sfruttare la sua abilità in conduzione e in dribbling. A tratti è risultato incontenibile, tanto che ha vinto addirittura 11 duelli individuali, ma è stato un dominio sterile: il brasiliano non è mai arrivato al tiro e ha creato una sola occasione, tra l’altro da palla inattiva.

 

La Roma ha accompagnato la difesa alta con il pressing offensivo nella metà-campo della Lazio: la squadra di Di Francesco in questo tipo di partite pressa con l’uomo come punto di riferimento e la soluzione per pressare il rombo d’impostazione della Lazio, costituito dai tre centrali di difesa e Lucas Leiva, era simile a quella già vista nel derby d’andata. Come nella partita d'andata era De Rossi, o in alternativa Strootman, ad alzarsi sul regista biancoceleste, così da impedirgli una ricezione sicura della palla.

 

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Nainggolan si aggiunge a Dzeko e Schick (poi Ünder) nel pressare i difensori centrali. Lucas Leiva è invece preso in consegna da uno tra De Rossi e Strootman.


 

La differenza sostanziale della Roma riguardava il centrocampo. Se all’andata il 4-3-3 aveva permesso alle due mezzali di rimanere in mediana in copertura, con il 3-4-3 rimaneva un solo centrocampista. I tre giocatori più avanzati avevano dei riferimenti flessibili, che dipendevano dal centrale laziale a loro più vicino. Con il pressing, la Roma voleva mettere fretta al centrale in possesso palla, senza però rischiare di essere superata troppo facilmente, senza cioè di lasciare scoperto il centrocampo. In quest’ottica anche le posizioni di Kolarov e Bruno Peres erano piuttosto prudenti rispetto alla strategia globale. Del resto, con le squadre schierate praticamente a specchio, si regolavano sulla posizione di Lulic a sinistra e Marusic a destra.

 

La pressione portata dalla Roma e l’inclinazione verticale della Lazio hanno inevitabilmente velocizzato i possessi biancocelesti (che hanno completato solo il 71% dei passaggi) e, di conseguenza, lasciato ai giallorossi più tempo per manovrare il gioco e oltre il 59% di possesso nella prima frazione.

 



La Lazio a sua volta si contrapponeva alla costruzione bassa con Immobile e Felipe Anderson sulla stessa linea, Milinkovic e Parolo subito dietro, Lucas Leiva più arretrato davanti alla difesa. L’obiettivo era quello di congestionare il centro del campo, complicando le ricezioni dei centrocampisti giallorossi e rallentando il gioco avversario. Il pressing si è alzato solo verso la mezz’ora, quando la squadra di Inzaghi ha cercato di prendere in mano la partita, senza però riuscirci.

 


La Lazio pressa con le due mezzali praticamente sulla stessa linea dei due attaccanti, controllando il centro del campo.


 

 

Se i difensori della Roma hanno dimostrato coraggio in fase di non possesso, il loro comportamento col pallone è stato molto più prudente. De Rossi, soprattutto in apertura di gara, si abbassava anche molto per fornire supporto, a volte non strettamente necessario, ai compagni.  E lo stesso Kolarov giocava piuttosto basso, compiendo i propri compiti di regista-ombra vicino a Juan Jesus.

 

Questi due giocatori a supporto della costruzione bassa della Roma, complicavano il pressing della Lazio che si è limitata a bloccare l’accesso al centro del campo, peggiorando l’occupazione delle zone di campo più avanzate da parte della Roma. Il gioco offensivo giallorosso è stato meno pericoloso e più prevedibile: hanno prodotto 10 tiri complessivi, di cui 5, però, tra l’86.esimo e il fischio finale, quando la Lazio era ormai rimasta in dieci.

 

Nainggolan agiva in un ruolo a metà tra la mezzala e il trequartista, svariando sul fronte offensivo, mentre Dzeko e Schick facevano spesso movimenti verso l’esterno, rispettivamente verso sinistra e destra. Questi compiti hanno limitato l’influenza del ceco, poco coinvolto in zone centrali, mentre Dzeko ha usato la propria fisicità più a tutto campo, vincendo 7 duelli aerei. Fin quando Radu è rimasto in campo, i tre centrali biancocelesti sono comunque riusciti ad arginarlo, concedendogli una sola conclusione, che non ha però centrato la porta di Strakosha. La difesa biancoceleste si è fatta trovare pronta anche quando la Roma è riuscita a recuperare palla con il pressing, cercando di trasformare immediatamente l’azione da difensiva ad offensiva.

 



Le dinamiche offensive più interessanti si sono viste quando sia Nainggolan che Strootman si posizionavano ai fianchi di Lucas Leiva, uno dei punti deboli della Lazio che più di una squadra ha cercato di colpire nel corso di questa stagione.


Nainggolan e Strootman ai fianchi di Lucas Leiva. De Rossi serve l’olandese che combina con il belga, creando i presupposti per servire Dzeko.


 

Un'altra giocata poco sfruttata, è stata l’attacco del lato cieco da parte di Bruno Peres. Che però a conti fatti ha creato i presupposti per la più grande occasione della Roma (eccezion fatta per la traversa colpita di Dzeko). Il centravanti bosniaco riceveva palla principalmente sul centro-sinistra, attirando la difesa laziale e scoprendone il lato destro, dove si creava lo spazio per attaccare. Come accaduto, appunto, in occasione del palo colpito dall’esterno brasiliano, generalmente più coinvolto in zone avanzate rispetto a Kolarov.

 

È comprensibile che, alla seconda partita con il nuovo sistema di gioco, la Roma non abbia ancora assimilato tutti i meccanismi offensivi e non sia ancora in grado di proporre giocate codificate. In questo senso, si è visto quanto i giocatori della Lazio fossero più consapevoli nel muoversi per disorganizzare la difesa della Roma con giocate complementari. A volte era Immobile a venire incontro per portare via una difensore e favorire l’inserimento di Milinkovic, oppure l'inserimento di Parolo in un secondo momento.

 


Immobile viene incontro e gioca all’indietro su Milinkovic. Il serbo serve l’inserimento di Parolo alle spalle della difesa, che però manca la conclusione.


 

In alternativa era il serbo ad attaccare la profondità e ad allungare le distanze tra i reparti avversari, consentendo ai compagni di ricevere con più libertà. Meno convincente l’intesa tra Immobile e Felipe Anderson, che a volte ha pregiudicato lo sviluppo di trame di gioco promettenti.

 



Dopo un primo tempo con solo 5 conclusioni complessive, sia Di Francesco che Inzaghi hanno provato a cambiare qualcosa. Il primo ad intervenire è stato il tecnico giallorosso, che ha piazzato Nainggolan trequartista in pianta stabile, per poi inserire Ünder per Schick, a fare la seconda punta decentrata sulla destra.

 

La risposta di Inzaghi si è fatta attendere per nemmeno cinque minuti, con l’inserimento di Lukaku per Lulic, per provare a sfruttare la corsa del belga nell’attacco della fascia destra della Roma, quella più battuta negli sviluppi offensivi dei giallorossi (45% delle azioni offensive è passato da quel lato) e il cambio Luis Alberto per Felipe Anderson. Nei successivi 20 minuti, la partita sembrava poter girare in favore della Lazio, che ha preso fiducia e ha cominciato a sporcare più palloni, complice anche il peggioramento del giro-palla della Roma. Ma i biancocelesti non sono riusciti a monetizzare il proprio buon momento, che è terminato con il secondo giallo a Radu.

 

Da lì in poi è venuta fuori la Roma. Di Francesco ha inserito El Shaarawy mentre Inzaghi, per ricostruire la difesa a tre, ha dovuto togliere Immobile per inserire Bastos, preparandosi ad un finale di sofferenza. I giallorossi hanno provato un ultimo sforzo per sbloccare il risultato, ma prima Strakosha e poi la traversa hanno impedito a Dzeko di segnare un gol che probabilmente sarebbe stato una punizione troppo pesante per i biancocelsti, considerando anche che seppur in inferiorità numerica avevano avuto l'occasione giusta, in contropiede, per passare in vantaggio con Marusic (grandissimo recupero di El Shaarawy, a dimostrazione del grande stato di forma mentale della squadra di Di Francesco).

 

Il pareggio è il risultato più giusto per quanto visto in campo, e non cambia nulla in ottica Champions League. Con un punto a testa, Lazio e Roma tornano a staccare di un punto l’Inter, ma la corsa al terzo e quarto posto rimane apertissima. Entrambe le squadre possono trarre indicazioni incoraggianti per il finale di campionato.

 

Inzaghi dai suoi brasiliani: Luiz Felipe è ormai una certezza e il salto di qualità delle sue prestazioni fa ben sperare anche per il dopo De Vrij; Felipe Anderson è recuperato a tutti gli effetti e starà al tecnico biancoceleste il compito di valorizzarlo senza pregiudicare gli equilibri costruiti nel corso della stagione. Di Francesco, invece, nonostante il cambio di modulo è di nuovo riuscito a far giocare la sua squadra molto lontano dalla propria porta, mostrando alcuni meccanismi interessanti.

 

La Roma deve ancora capire come sfruttare al massimo le potenzialità del 3-4-3, e forse ha bisogno di aggiustare ancor qualcosa in fase offensiva, ma ci sono molti margini di miglioramento. Di Francesco non ha molto tempo per lavorarci prima che il banco di prova della semifinale di Champions League (l'andata di Anfield) ci dica qualcosa di più sul nuovo modulo della Roma. La squadra di Di Francesco non mira al controllo dei ritmi ma ha gestito bene la verticalità della Lazio, contro l'intensità del Liverpool può rivelarsi un gioco molto rischioso ma a questo punto non si può tornare indietro.

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