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Fabrizio Gabrielli

Innamorati di Lo Celso

Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il nuovo centrocampista del Psg.

La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout, il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo. 

 

 

«Nella nostra accademia selezioniamo solo giocatori che rispondono a cinque criteri: devono essere abili, avere capacità tecniche superiori alla media, essere intelligenti, poi stabili psicologicamente e infine avere temperamento».

 

Il ritratto del calciatore-in-divenire secondo Diego Griffa muove i passi dall’utopia di una specie di perfezione che è raro, ma non impossibile, scovare in un adolescente: forse non è un caso che l’ultima scintillante sede dell’Académia Jorge Bernardo Griffa abbia sede in una Club House chiamata Tierra de Sueños, a mezz’ora di macchina dal centro di Rosario.

 

Jorge Bernardo Griffa, oggi, è ultraottantenne: per più di un trentennio ha girato in lungo e in largo l’Argentina con un ipotetico obiettivo nel quale inquadrare milioni di giovani calciatori. Quando ha deciso di scattare, raramente il suo fiuto l’ha tradito. Nella sua galleria fotografica compaiono Néstor Sensini, Gerardo Martino, Mauricio Pochettino, Gabriel Heinze e Gabriel Omar Batistuta. Tutti calciatori che hanno forgiato le loro carriere con indosso i colori rossoneri del Newell’s Old Boys, una delle due anime calcistiche rosarine, quella alla quale Griffa, senza fare mistero, è più affezionato.

 

Nel 2008 un osservatore della sua Académia assiste a un torneo giovanile di futsal a San José del Rincón, una cittadina sul corso del Paranà: rimane impressionato dalle evoluzioni di un ragazzino di dodici anni che gioca per il Club de Regatas de Rosario. Così impressionato che chiede a Jorge Bernardo in persona di raggiungerlo per visionarlo.

 

Quel ragazzino si chiama Giovani Lo Celso, e risponde a prima vista a tre dei cinque criteri d’arruolamento dell’Accademia, quelli più facilmente comprovabili con gli strumenti che mette a disposizione l’intuito e l’esperienza: ha una tecnica di base elegante, ed è rapido nei movimenti anche per via del baricentro basso. Inoltre mette in campo tutto il temperamento che solo i rosarini sanno imprimere a ogni occupazione cui si dedicano.

 

 

 

Studiare per migliorarsi

 

Intervistato dopo la terza partita che giocava con i professionisti, ha dichiarato: «Sì, sono uno di quelli che si studiano i video. Mi sono rivisto il secondo tempo delle gare contro Quilmes, Vélez e Sarmiento perché è lì che sono entrato, e devo vedere cosa ho fatto bene e cosa no. Soprattutto per correggere cose, per fare autocritica». Se c’è qualcosa che Lo Celso non può rimproverarsi, quella di certo è la dedizione con cui partecipa anche alle azioni difensive della squadra, contravvenendo alla fallacia classica secondo la quale la fase di interdizione e ripartenza (fondamentale nel gioco di Coudet) non debba appartenergli. Nell’ultimo Clásico contro il Newell’s, per esempio, è stato il giocatore con più recuperi palla.

 

E qua, nascosta in una parte di video meno sensazionalistica, ci sono tre azioni consecutive in cui recupera palla e subito cerca la verticalizzazione.

 

Lo Celso non si fa scrupoli ad abbassarsi quando il gioco lo richiede: scende, se c’è da impostare, fino al cerchio di centrocampo, e lì si prende carico delle responsabilità che competono a un vero enganche, vale a dire quelle di principiare l’azione, organizzare i movimenti dei compagni, sollecitarli con passaggi ripetuti e poi cambiare gioco con lanci lunghi (fondamentale che sfodera con brillantezza).

 

 

Un esempio della veemenza in fase di recupero e della sua predisposizione all’associatività.

 

Più che a Di Maria, D’Alessandro, Pastore o Giovinco, Lo Celso – stesso passo languido, stessa naturalezza nei movimenti, stessa fluidità di gioco che non risulta mai compassato – potrebbe davvero essere, come lo ha definito Horacio Pagani, il Riquelme del Ventunesimo Secolo.

 

Al ritiro di Buenos Aires, dove la tribolata Selección Olimpica si è allenata prima di partire per una tournée negli States precedente alle Olimpiadi di Rio, Lo Celso è arrivato con una macchina a noleggio. Al DT Olarticoechea ha confessato «fammi giocare dove vuoi, sono disposto a scendere in campo anche da quattro (che nel gergo del fútbol argentino significa da terzino, NdA)».

 

Pochi giorni più tardi, a Boca Ratón, ha fatto il suo esordio in Albiceleste in un’amichevole contro la Colombia (scendendo in campo peraltro con i parastinchi coi colori del Rosario Central e del Club Regatas).

 

El Vasco lo ha schierato nel terzetto di trequartisti (insieme a Lanzini e Ángel Correa) con il compito di supportare Jony Calleri.

 

Ma Lo Celso non è quel tipo di Dieci, e dopo un avvio stentato, largo sulla fascia, con intelligenza si è andato a cercare uno spazio esattamente a metà strada tra i due pivote e le mezzepunte.

 

Da vero e proprio enganche, vertice basso di un triangolo di trequarti incastonato tra le linee avversarie.

 

Chissà che a Parigi, cercando il nuovo Di Maria, non si siano imbattuti in una specie di Verratti del futuro.

 

 

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Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012) e "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019). Scrive sull'Ultimo Uomo dal 2013.