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Ici c'est Paris
28 set 2021
28 set 2021
Storia ed evoluzione di uno stadio essenziale per l'identità del PSG e di Parigi.
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“Ici c’est Paris”, questa è Parigi. È uno degli slogan che campeggiano sul profilo interno della copertura del Parco dei Principi, lo stadio del Paris Saint-Germain, che negli ultimi tempi pare si debba chiamare soltanto “Paris”, con l'idea di marketing di far scomparire sempre di più l'identità del club in quella della città.

La scritta “Ici c’est Paris” ha recentemente fatto capolino anche sullo sfondo di una delle foto di presentazione di Leo Messi, ad agosto 2021, mentre il fuoriclasse argentino in giacca e cravatta reggeva in bella mostra la maglia ufficiale del PSG sul prato del Parc des Princes. Ci sono diversi dettagli in quella foto che raccontano l'evoluzione del club. La maglietta del club firmata Air Jordan, che ci parla dell'attenzione alla moda della società, e c’è ovviamentel’eccezionalità di Messi al PSG. Dietro di lui si intravedono le gradinate dello stadio “brandizzate” attraverso la composizione e i colori dei seggiolini (una novità degli ultimi 3-4 anni), con la silhouette della Tour Eiffel stilizzata in rosso sullo sfondo blu, a riprendere anche lo stemma del club.

La Tour Eiffel stessa ci ricorda che il logo del “Paris” è cambiato e si è lasciato ormai alle spalle l’affascinante dettaglio della culla stilizzata in ricordo della nascita di Re Luigi XIV (il Re Sole) nel palazzo di Saint-Germain-en-Laye, nel 1638. Ma è proprio questo che ci riconduce alla fondazione del PSG e all’incrocio del suo destino con quello del Parc des Princes, uno stadio rinato più volte, fino ad accompagnare quella che fu la creazione del nuovo, grande club di Parigi.

Lasciamo un momento da parte il PSG e il piccolo comune di Saint-Germain-en-Laye, e riprendiamo la strada del Parco dei Principi. Lo stadio che conosciamo oggi è un’eredità sportiva della città e dell’intero Novecento e, soprattutto, rappresentò un elemento chiave nel riassetto urbanistico di questa parte della capitale.

Calato nella zona sud-ovest di Parigi, XVI arrondissement, il Parc des Princes è affacciato al confine fra la città di Parigi e il comune di Boulogne Billancourt, di cui potete vedere una traccia fondamentale nella Chiesa di Notre-Dame-de-Boulogne-la-Petite, fatta costruire da re Filippo IV all’inizio del 1300 (dallo stadio, poco più di un chilometro a piedi camminando lungo Rue des Tilleuls, verso ovest). Sembra racchiuso a forza tra il passaggio dell’ampio Boulevard Périphérique, a est, due viali minori a nord e ovest (Rue Claude Farrère e Rue du Commandant Guibault) e il complesso dello Stade Jean Bouin a nord.

Parigi qui sembra improvvisamente lontana, anche se da qualche punto intorno allo stadio forse si riesce a scorgere la Tour Eiffel guardando verso nord-est. Scendendo alla fermata della Metrò di Port d’Auteuil potete anche godere di una breve ma tranquilla camminata verso sud, attraverso spazi aperti e alberati (e possibili deviazioni verso il circolo del Roland Garros, che dista appena poche centinaia di metri) scorgendo in lontananza le schegge di cemento armato che caratterizzano lo stadio.

Il primo Parco dei Principi nasce come Stade Vélodrome nel 1897. La sua edificazione si era risolta in brevissimo tempo usando tecniche non esattamente precise e ortodosse. Il giorno dell’apertura era stato impedito agli spettatori di entrare per il rischio che la tribuna potesse crollare sotto il peso della folla. Aveva una capienza di 3.200 persone e una pista ovale con curve paraboliche della lunghezza totale di 666,66 metri: fu anche grazie a questo stadio che il ciclismo ebbe una spinta decisiva nella passione dei francesi dell’epoca, ospitando i Mondiali del 1900; il direttore dell’impianto era Henri Desgrange, che avrebbe poi creato l’idea del Tour de France. Era un periodo florido per i velodromi francesi, e anche la Nazionale di rugby debuttò sul prato del Velò parigino, il 1 gennaio 1906, nientemeno che contro gli All Blacks della Nuova Zelanda.

Manifestazione di ginnastica del giugno 1914. Foto di Branger/Roger Viollet via Getty Images.

L’entusiasmo dei francesi per lo sport era tale che il Vélodrome fu subito ampliato a 12mila posti, prima dello scoppio della I Guerra Mondiale, per salire poi a 20mila in occasione delle Olimpiadi 1924. Nel 1931, infine, si decise direttamente di ricostruirlo per poter rimanere al passo con i tempi e con l’evoluzione degli sport dell’epoca. In un continuo percorso parallelo con i cambiamenti della città, il “nuovo” Vélodrome viene inaugurato nell’aprile 1932, con una capienza di 40mila posti e un ovale per il ciclismo su pista lungo 454 metri e costruito in cemento rosa. Le due tribune centrali sono già coperte mentre il tetto sulle gradinate in curva arriverà solo nel Secondo Dopoguerra. Lo stadio rimarrà in uso fino alla fine degli anni ‘60, quando urbanistica e sport si incontreranno per definire insieme il futuro di Parigi.

Abbiamo parlato delle prime due vite di quello che ancora non è (ma lo diventerà) il Parc des Princes, ed è quindi utile fare un salto verso ciò che oggi chiamiamo PSG. Nonostante l’enorme passione per rugby e ciclismo, nei primi decenni del Novecento il calcio a Parigi era ancora uno sport minore. Il comune di Saint-Germain-en-Laye era depositario dell’unico club cittadino, lo Stade Saint-Germain, fondato nel 1904 come società polisportiva ma rimasto nelle leghe amatoriali del football locale fino agli anni ‘50. Un percorso fondamentalmente anonimo se non che, negli anni Sessanta, il Saint-Germain riesce a salire fino in terza divisione, raggiungendo anche i quarti di finale di Coppa di Francia, e a Parigi ci si rende conto che, forse, il calcio è qualcosa su cui costruire un’immagine sportiva di valore per tutta la città.

Certo, all’epoca serviva ben altro che un piccolo club della cintura parigina per far approdare la capitale di Francia nel professionismo, e nel 1969 non parve una cattiva idea fondare una nuova squadra dal nulla, il Paris FC, che avrebbe potuto giocare le sue partite casalinghe proprio allo Stade Vélodrome. Per “comprare” l’accesso diretto alla Ligue 1, però, il Paris FC aveva bisogno di una fusione con un club giù strutturato: lo Stade-Germain aveva dirigenza e giocatori, il Paris aveva lo stadio. Nel 1970 i due club danno ufficialmente vita al nuovo Paris Saint-Germain. Ora serviva uno stadio all’altezza, e sarebbe arrivato di lì a poco.

Quindi abbiamo un nuovo club e uno stadio da ricostruire (per la terza volta). Ma è anche il momento storico in cui Parigi si rinnova e si migliora a livello urbanistico, in particolare con la costruzione del Boulevard Périphérique. Se guardate una mappa della città lo riconoscete subito: è quell’anello stradale che abbraccia la città, noi lo chiameremmo tangenziale, e che, nel caso di Parigi, serviva a ricucire le fratture urbane lasciate dalla demolizione delle antiche mura di cinta cittadine, gli “enceinte de Thiers”, 33 km di bastioni e porte d’accesso costruiti a metà Ottocento sotto Re Luigi Filippo Borbone d’Orléans, e demolite poi fra il 1919 e il 1929.

I lavori per il Boulevard Périphérique (d’ora in poi BP) iniziano nel 1958 e il percorso del viale a scorrimento veloce si ritrova a sfiorare il già esistente stadio Vèlodrome. Impossibile pensare di costruire un nuovo impianto da 100mila posti per il neonato PSG, come sperato dall’ambiziosa municipalità, ma qualcosa si può fare ugualmente e si rivelerà un intervento di architettura che sembra una pennellata d’arte in mezzo al caos.

Il progetto del nuovo stadio viene affidato all’architetto francese Roger Taillibert, che propone un’idea all’avanguardia sia nell’estetica che nella funzionalità. Bisogna fare i conti con gli spazi ristretti della zona, le distanze dalle case circostanti e il tracciato del BP: il viale urbano tocca lo stadio in due punti, curva nord e tribuna est, e la soluzione è interrarlo in un passaggio sotterraneo che lo nasconde per un momento, liberando lo sviluppo dell’edificio in superficie.

Il progetto costa 150 milioni di Franchi francesi, e la scelta è di realizzare un edificio dinamico e rivoluzionario, pensato soltanto per calcio e rugby, e che lavori per parti separate solo in contatto fra loro, ognuna con una definizione estetica precisa: due ellissi non omotetiche (non complementari) sono la base di partenza per incastrare lo stadio nel sito di costruzione, e da qui si sviluppano i tre elementi principali dello stadio.

Il campo da gioco al centro detta la pianta rettangolare da cui si sviluppa la cavea di gradinate, e il primo anello ne ripropone la forma, ancorandosi alle fondazioni e funzionando come un unico elemento (ellisse interna). Il secondo anello è più ripido del primo, per una migliore visuale dello spettatore, e si adegua invece all’ellisse esterna, più allungata, che permette di ampliare gli spazi nelle parti alte delle gradinate. A sua volta si ancora alla struttura sottostante e si aggancia anche all’involucro esterno, ma solo in appoggio, senza imporgli alcuno sforzo strutturale. Questo perché c’è un terzo elemento rappresentato dai 50 straordinari costoloni esterni in cemento armato che lavorano in modo indipendente dal resto dell’impianto, ne definiscono l’immagine iconica e, allo stesso tempo, garantiscono anche la soluzione tecnica per reggere il prolungamento a sbalzo della copertura. «Alla maniera di una persona che, sollevando un carico con le braccia di fronte a sé, tende a subìre un effetto basculante naturale all’indietro per equilibrarsi». Così viene descritto il funzionamento degli elementi simbolo del Parc des Princes da Alain Orlandini, autore di un libro dedicato allo stadio e uscito nel 2008. Saette di cemento declinate su diverse altezze per creare un profilo ondulato che conferisce leggerezza allo stadio, nonostante l’impatto e i materiali usati.

Hockey su ghiaccio nel 1933.

Applicando alcuni dettami del Funzionalismo dei primi del Novecento (che imponeva scelte architettoniche che rispecchiassero le necessità dell’edificio - «La forma segue la funzione» diceva Louis Sullivan), Taillibert inserisce uno stadio da oltre 50mila posti in uno spazio di città angusto, evolvendo l’idea di partenza e liberando la creatività nell’uso del cemento armato, proposta che per l’epoca è di assoluta avanguardia estetica.

La singolarità strutturale dei tre elementi principali (costoloni esterni, secondo anello e primo anello) fu talmente intelligente nella concezione che permise di ricavare anche una serie di uffici e locali per addetti ai lavori e squadre all’interno della pancia dello stadio (insieme a un campo da gioco indoor per il riscaldamento pre-gara!) e, soprattutto, di individuare tre aree di distribuzione e deflusso dei tifosi totalmente indipendenti fra loro, ognuno in prossimità di un diverso livello dello stadio: siamo nel 1972, e il tempo di evacuazione medio di tutto il pubblico viene stimato in 10 minuti (oggi è lo stesso tempo limite standard imposto dalla FIFA, mentre UEFA, Premier League e Serie A richiedono 8 minuti).

E se vi trovate all’interno del Parc de Princes, guardate all’insù verso il tetto e vedrete l’anello interno di chiusura della copertura (esatto, quello sul quale compare il motto “Ici c’est Paris” e altri slogan). È in realtà una vera e propria galleria: chiamata le bandeau technique, è un tunnel coperto alto 5,5 metri e lungo 642 metri, che permette l’ancoraggio dei riflettori e dell’impianto audio e, al suo interno, accoglie un camminamento adatto al passaggio di una persona, che può così circolare liberamente e intervenire in caso di necessità di riparazione.

Oggi il Parc des Princes non è cambiato particolarmente rispetto al 1972. Dopo aver ospitato la finale di Coppa Uefa 1998 fra Lazio e Inter, ha idealmente lasciato il centro della scena al nuovo Stade de France e, nonostante alcuni interventi di ammodernamento (fra cui il restyling di locali interni e spazi hospitality per Euro 2016, costato 75 milioni di euro), conserva ancora la sua immagine originale e il suo significato architettonico all’interno di Parigi.

Qualche anno dopo quel progetto, nel 1976, Roger Taillibert metterà mano allo stadio del Lille e, soprattutto, ai nuovi Stadio e Parco Olimpico di Montreal, proponendo un’altra idea estetica all’avanguardia ma venendo anche risucchiato dal buco nero gestionale e programmatico dei Giochi Olimpici canadesi. Attualmente, invece, mentre il vicino Stade Jean Bouin è stato rinnovato e impreziosito da una nuova copertura (2013, arch. Rudy Ricciotti), l’attuale proprietà del PSG avrebbe in mente un ambizioso progetto di restyling anche per il Parco dei Principi che porterebbe alla realizzazione di un terzo anello e di un nuovo tetto semi-trasparente, con una struttura unica calata sopra all’attuale stadio, integrando l’aspetto originale dell’edificio con l’aggiunta moderna.

Scomparso nel 2019, all’età di 93 anni, Taillibert oggi forse penserebbe che quest’ennesima modernizzazione del PSG e del suo stadio, tutto sommato, è una buona cosa. Lui che, ancora nel 2004, aveva firmato l’impressionante progetto dell’Aspire Academy, ad Abu Dhabi, centro sportivo per la formazione dei giovani calciatori del Qatar (ma anche degli atleti in generale: Mutaz Essa Barshim, oro olimpiconel salto in alto a Tokyo 2020 insieme a Gianmarco Tamberi, si diplomò qui durante la sua crescita sportiva).

Ancora una volta, quindi, il Parc des Princes potrebbe rinnovarsi, accompagnando una nuova evoluzione del Paris Saint-Germain e definendo un ulteriore passaggio architettonico per questa zona di Parigi. Trasformazioni e cambiamenti che già ora possiamo leggere attraverso questo stadio, che continua a definire la storia sportiva e urbana della capitale francese.

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