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Antonio Cunazza
Il miglior stadio d'Europa
20 mar 2018
20 mar 2018
Vent'anni fa veniva inaugurato a Parigi lo Stade de France, aprendo una nuova era nel modo di concepire gli stadi.
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Antonio Cunazza
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Il 27 gennaio 1998, a Saint-Denis, che fa comune a sé ma è parte integrante di Parigi, viene inaugurato lo Stade de France. La prima partita giocata in quello che è pensato per essere il nuovo stadio nazionale è un’amichevole tra Francia e Spagna, decisa da un gol di Zidane. Il terreno di gioco ghiacciato e le maglie Adidas di una taglia in più sono la cornice di quello che è, ancora oggi, uno degli stadi più importanti d’Europa. È la premessa perfetta del Mondiale che arriverà sei mesi dopo, organizzato e vinto dai francesi proprio su quel campo, davanti al proprio pubblico, con lo stesso numero 10 sul tabellino dei marcatori.

 

Lo Stade de France è ancora oggi un esempio per le sue caratteristiche e soluzioni funzionali, e in un certo senso è stato il capofila della nuova generazione di stadi europei moderni, quelli che oggi possiamo ammirare quasi ovunque. Ma soprattutto, lo Stade de France è stato il primo esempio europeo di architettura contemporanea applicata al calcio. Per questi motivi, forse, lo possiamo considerare, a vent’anni dalla sua inaugurazione, il miglior stadio d’Europa.

 



Lo Stade de France fu ovviamente la punta di diamante della candidatura francese per ospitare i Mondiali del 1998. Ma fu anche la risposta alla necessità di avere uno stadio che potesse diventare la “casa” della nazionale, dato che fino a quel momento i “Bleus” si spostavano di partita in partita negli stadi più importanti, soprattutto il Parc des Princes e il Vélodrome di Marsiglia. Serviva un luogo che unisse la Francia nei suoi due sport principali, e cioè il calcio e il rugby.

 





 

Erano circa 70 anni che la Francia non prendeva una tale decisione. Per ritrovare un momento simile nella storia dello sport transalpino bisogna infatti tornare indietro fino al 1924, quando fu ampliato il Stade Yves-du-Manoir - per tutti, Stade de Colombes - in occasione delle Olimpiadi che si terranno proprio in quell’anno nella capitale francese. Il Colombes è un impianto iconico, con un carisma cristallizzato nel film “Fuga per la vittoria” e oggi ancora in funzione (sarà la sede dell’hockey su prato nelle Olimpiadi 2024, ad un secolo esatto dal suo ampliamento). Da allora, l’idea di avere uno “stadio nazionale” non era stata più presa in considerazione, fino al 1992, per l’appunto, quando venne presentata la candidatura francese ai Mondiali del 1998.

 

Nonostante ciò, l’iter progettuale dello Stade de France non fu semplice e, anzi, finì per essere uno dei tanti campi di battaglia delle dispute politiche della Francia di metà anni ‘90. Sulla sua realizzazione si discusse molto e, più in particolare, del sito dove costruirlo e del suo nome. La scelta del luogo, Saint-Denis, fu il risultato di un compromesso fra la storica propensione francese allo sviluppo infrastrutturale delle aree periferiche, fuori dai centri urbani, e la ricerca di un rilancio economico concreto. Dal secondo dopoguerra la Francia è stata uno dei paesi europei più attenti nel pianificare uno sviluppo delle aree suburbane, con progetti mirati che coinvolgessero non soltanto la nuova edificazione ma anche il rinnovamento infrastrutturale. In particolare l'area di Parigi, storicamente sbilanciata negli investimenti tra zona est e zona ovest, a favore di quest'ultima, è stata il centro di questo cosiddetto "sviluppo regionale" (

). E quando si trattò di scegliere il luogo dove costruire lo Stade de France, i quartieri limitrofi alla capitale fecero a gara per accaparrarsi il progetto.

 

Una tensione contrastante che si rifletteva anche in un dibattito politico molto netto, teso già dal 1988 a voler decidere le sorti del progetto, tra il Primo Ministro francese Michel Rocard (in carica dal 1988 al 1991, sotto la presidenza Mitterand) e Jacques Chirac, allora sindaco di Parigi. Proprio Chirac nel 1988 aveva lanciato l’idea di candidare il paese a ospitare i Mondiali di dieci anni più tardi, e costruire un nuovo stadio nazionale, dopo che la Francia aveva perso la corsa sia per i Mondiali del 1990 che per le Olimpiadi del 1992.

 

Alla fine, fu il sindaco di Parigi a scegliere autonomamente Saint-Denis come l'area migliore dove costruire lo stadio, perché era in periferia ma allo stesso tempo abbastanza vicina da diventare il terminale di un nuovo sviluppo sia infrastrutturale che economico direttamente collegato alla città stessa. A conti fatti ogni cittadino francese pagò di tasca sua circa 20 franchi per la realizzazione dello stadio, in quello che fu il 47% di finanziamento da parte dello Stato nel totale di 2,6 miliardi di Franchi francesi, circa 390 milioni € attuali – a cui vanno aggiunti i 6 miliardi di franchi serviti per la riqualificazione urbana e dei trasporti locali (il restante 53% del finanziamento totale arrivò da privati).

 

Sul nome, invece, il dibattito si spaccò in due fazioni contrapposte: chi voleva intitolarlo a Michel Platini, e chi invece avrebbe preferito “Stade Charles de Gaulle”, in un definitivo trionfo del nazionalismo patriottico. Alla fine la spuntò proprio ‘Le Roi’ Michel che - nel 1995, a lavori appena iniziati - consigliò di chiamarlo “Stade de France”, mentre Jacques Chirac ed Édouard Balladur in campagna elettorale si contendevano il merito di averlo portato a Parigi.

 



Il progetto fu affidato alla CR-SCAU, joint-venture di due studi d’architettura parigini guidati da Michel Regembal e Claude Costantini (

) e Michel Macary e Aymeric Zublena (

).

 

All’epoca fu il più importante progetto “sportivo” per entrambi gli studi che, successivamente, aumenteranno il loro portfolio in questo ambito, forse proprio sulla scia del prestigio di un progetto così importante come quello dello Stade de France: in particolare lo studio SCAU si segnalerà per il progetto dello stadio Olimpico Atatürk (Istanbul, 1999) e, soprattutto, per la completa

, completata nel 2014 in vista degli Europei di due anni dopo.

 





 

Lo Stade de France fu pensato per essere uno stadio avveneristico e proiettato in un futuro che in quel momento ancora nessuno era in grado di immaginarsi. All’inizio degli anni ’90, infatti, quasi nessuno pensava che costruire stadi nuovi, funzionali e belli fosse davvero necessario, e tra il 1992 (anno di assegnazione dei Mondiali alla Francia) e il 1995 (posa della prima pietra) l’Europa era ancora sostanzialmente ferma su questo tema.

 

L’Inghilterra giocava ancora nel vecchio Wembley e stava ricostruendo i propri stadi sull’onda emotiva della tragedia di Hillsborough, secondo le direttive del Taylor Report. La Premier League si stava preparando ad ammodernare i propri stadi, rinnovandone l’aspetto, ma erano, sostanzialmente, sempre gli stessi, per forma e concezione. L’Italia era l’unico paese in Europa ad aver tentato la rinascita, cavalcando l’organizzazione dei Mondiali ’90, ma già solo pochi anni dopo si capì che gli stadi costruiti in quel periodo non avessero futuro e che l’occasione era stata sostanzialmente sprecata. Anche la Germania era ben lontana da un reale rinnovamento, che arriverà solo nei primi anni 2000, e gli Stati Uniti, che adesso stanno vivendo un rinascimento calcistico, avevano ospitato le partite del Mondiale ‘94 nei loro impianti di football americano.

 

L’unica vera novità precedente allo Stade de France era stata rappresentata dall’Amsterdam ArenA (inaugurata nel 1996), che puntava a cambiare completamente il concetto di impiantistica sportiva. Il nuovo stadio dell’Ajax era il primo tentativo di rivoluzionare davvero l’idea di stadio, ma si trattava di una struttura innovativa principalmente nelle scelte funzionali, come la copertura mobile che poteva chiudersi completamente, la razionalizzazione degli spazi interni e l’inserimento di servizi commerciali. Ciò che mancava allo stadio olandese, però, era quello slancio architettonico e stilistico che oggi diamo quasi per scontato quando si parla di stadi, ma che allora era una completa novità.

 



Lo Stade de France, insomma, non guiderà il salto nel calcio degli anni 2000 solo per essere diventato l’esempio di come l’organizzazione di un Campionato del Mondo potesse portare al rinnovamento delle strutture sportive di un’intera nazione (idea che oggi inizia ad essere messa in discussione), ma soprattutto per la sua originalità stilistica e architettonica.

 

Innanzitutto, fu il primo stadio a ricevere un soprannome in virtù della sua forma stilistica, cioè “il disco volante”, un dettaglio che sarebbe irrilevante se non denotasse quanto l’estetica di un impianto stesse entrando a far parte della sua personalità. Quella copertura calata sulle gradinate e sospesa sullo stadio, in un gioco di luci fra il blu e il verde, dava davvero l’impressione di un’astronave atterrata a pochi metri dalla Basilica di St. Denis.

 





 

Ancora oggi quest’impianto non ha perso questo suo effetto visivo affascinante. 18 colonne si elevano dal catino delle gradinate e, come frecce che puntano al cielo, sostengono il disco di copertura, dal peso di 13.000 tonnellate (quasi una volta e mezza

). Ci volle più di un anno per posare il tetto, che rimane a 46 metri di altezza rispetto al terreno circostante e, soprattutto, replica in proiezione l’anello della pista d’atletica, simbolo dell’universalità dello sport.

 

Proprio la pista d’atletica rappresenta una delle maggiori innovazioni. Dopo vent’anni dalla sua inaugurazione, infatti, lo Stade de France viene ancora citato come modello da imitare per il sistema delle gradinate mobili, al primo anello, che scorrono avanti e indietro per coprire o meno la pista d’atletica, e avvicinare gli spettatori all’azione, a seconda dell’evento sportivo ospitato. Fu una soluzione allora senza precedenti, in grado di riconfigurare la posizione di ben 25.000 posti sugli 80.000 totali dello stadio, e un’opzione tutt’ora di difficile realizzazione. Ad esempio, nel recente adattamento dell’Olympic Stadium di Londra questa soluzione fu alla fine scartata perché troppo costosa e i tifosi del West Ham vengono collocati su tribunette temporanee costruite ad hoc a seconda dell’occasione.

 

Fu proprio grazie alla sua originalità architettonica che lo Stade de France divenne il simbolo dei Mondiali del 1998, che, di converso, fu la sua vetrina sportiva. Fu un connubio rivoluzionario, grazie al quale il calcio divenne definitivamente “contemporaneo”, scoprendo che l’auto-celebrazione nazionale veicolata da un grande evento sportivo potesse essere rappresentata dall’architettura.

 

Successivamente questa idea divenne diffusa e accettata, anche grazie all’ondata di grandi eventi sportivi che interessò l’Europa nei due decenni successivi. La Germania (con i Mondiali del 2006), il Portogallo (con l’Europeo del 2004), Inghilterra (con le Olimpiadi del 2012), la Russia (con i Mondiali di quest’anno) e la Francia stessa (con il rinnovo degli stadi avvenuta in occasione degli Europei del 2016) seguirono la strada tracciata dallo Stade de France e dai Mondiali del 1998. È questo il momento in cui architettura e calcio si sono definitivamente avvicinati, facendo diventare gli stadi delle avanguardie tecniche e delle icone nazionali.

 

 

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