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Fabio Barcellona
Le migliori partite del 2017
03 gen 2018
03 gen 2018
Abbiamo scelto le 5 partite più belle dell'anno appena passato, ognuna per un motivo diverso.
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Fabio Barcellona
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Le partite di calcio sono un grande spettacolo e possono essere piacevoli da guardare per motivi diversi. Non solo la stessa partita contiene in sé diversi livelli di lettura, ma è anche - sempre - una questione soggettiva: c’è chi preferisce le partite emozionanti ricche di gol, e poco importa se le squadre non giocano in maniera perfetta; altri invece subiscono il fascino dei big match e delle squadre blasonate; altri ancora danno la priorità ai gesti tecnici dei singoli calciatori. Ogni partita contiene piccole o grandi storie che ne determinano l’importanza. Sullo sfondo di tutte rimane sempre la questione tattica, l’idea illuminista di due uomini che con la loro intelligenza indirizzano il destino di una palla calciata coi piedi da 22 atleti all’interno di uno spazio di più di 7000 metri quadrati. Chi ama il calcio dovrebbe più o meno apprezzare ogni aspetto del gioco e di ogni partita, per questo nello scegliere le cinque migliori partite del 2017 ho cercato partite “belle”, ma ognuna per un motivo differente dalle altre.

 


 



 

Massimiliano Allegri si è sempre più specializzato nella preparazione della singola partita, diventando un maestro nell’utilizzare a proprio vantaggio i punti deboli degli avversari e nel limitarne le migliori qualità. Se alcuni detrattori del tecnico bianconero lamentano la mancanza di meccanismi di gioco consolidati nella sua squadra, nessuno può tacere dei meriti dell’allenatore livornese nel riuscire ad adattare la tattica della sua squadra alle esigenze specifiche di ogni match, ottenendo grandi risultati.

 

Nei quarti di finale di Champions League, la Juventus, dopo aver eliminato con relativa facilità il Porto, ha incontrato il Barcellona, reduce dall’impresa al Camp Nou contro il Paris Saint-Germain. Da circa un mese la Juventus aveva adottato con successo il 4-2-3-1, con l’esperimento riuscito di Mario Mandzukic impiegato come esterno sinistro. Il Barcellona invece era approdato al 3-4-3 che aveva avuto il merito di portare naturalmente Messi, schierato come vertice alto del rombo di centrocampo, più vicino a Neymar e nel cuore del gioco blaugrana.

 

A Torino, Luis Enrique doveva però fare a meno dell’infortunato Rafinha, titolare come esterno destro alto, e di Busquets, squalificato. Per sostituirli il tecnico ha rivoluzionato in maniera sostanziale l’identità del suo 3-4-3, posizionando Messi come esterno destro, allontanandolo ancora una volta dal centro del campo e esponendo nuovamente la fascia destra del Barça, poco protetta dai mancati rientri in posizione del fuoriclasse argentino, agli attacchi degli avversari. E non certo in maniera casuale, la Juventus è passata in vantaggio dopo appena sette minuti con Paulo Dybala, approfittando proprio di un buco sulla fascia destra del Barça.

 


Foto di Mike Hewitt / Getty Images.


 

Se Luis Enrique ha mostrato confusione e rinnegato i progressi fatti con il suo 3-4-3, riportando Messi in fascia, ogni mossa di Allegri era sapientemente mirata per amplificare i difetti degli avversari e neutralizzarne i punti di forza. In fase di possesso palla, complice anche il precoce vantaggio, i bianconeri minimizzavano i rischi contro il pressing offensivo degli avversari, costruendo una manovra non eccessivamente palleggiata che raggiungeva presto i riferimenti avanzati e che aveva l’ulteriore pregio di sollecitare con frequenza l’incerta difesa avversaria.

 

In fase di non possesso palla la Juve iniziava il match con un pressing parecchio aggressivo sulla costruzione bassa non sempre sicura del Barça. Raggiunto il vantaggio, le fasi di pressing si sono ridotte, per poi sparire del tutto dopo aver ottenuto, a inizio secondo tempo, il gol del triplo vantaggio con Chiellini. La difesa posizionale della Juventus ha presentato tantissimi accorgimenti tattici studiati ad hoc sugli avversari. Le due punte si orientavano su Piquè e Umtiti, lasciando gli oneri della costruzione dell’azione al meno dotato dei tre centrali, Mathieu. Dal lato del difensore francese, Cuadrado si disinteressava delle poco pericolose conduzioni di Mathieu e rimaneva basso vicino a Pjanic intasando lo spazio vitale di Iniesta, mentre Dani Alves seguiva praticamente a uomo Neymar, ricorrendo costantemente all’anticipo per evitare di essere puntato palla al piede dal brasiliano. Dall’altro lato del campo, Messi, già isolato dalle scelte del suo allenatore, veniva ingabbiato da Alex Sandro, Khedira e Mandzukic e al centro Suárez era stretto dalla morsa tra Bonucci e Chiellini.

 

Nel primo tempo, Buffon ha effettuato una delle più belle parate della carriera su Iniesta, ma complessivamente la difesa della Juventus ha tenuto egregiamente e il piano di Allegri si è rivelato vincente, mostrando che idee chiare e ben eseguite hanno sempre la meglio su idee confuse e imprecise, nonostante il gap tecnico.

 


 



 

Poche squadre hanno una produzione offensiva paragonabile al Liverpool di Jürgen Klopp. In Premier League solamente lo stratosferico Manchester City di Guardiola ha creato più xG dei "Reds" e, tra i cinque maggiori campionati europei, solo Barcellona e Real Madrid fanno meglio nella media di xG per partita. Momo Salah è dietro solo a Kane, Messi e Suárez nella classifica degli xG prodotti. In Champions League, l’attacco dei "Reds" è stato capace di produrre ben due 7-0. Sull’altro lato della medaglia, però, la fase difensiva non mostra numeri altrettanto entusiasmanti e il controllo dei match non è stato (e non è ancora) sempre ottimale.

 

Il Siviglia, abbandonato da Sampaoli, nel frattempo volato sulla panchina della Nazionale argentina, aveva scelto un altro tecnico “bielsista”, mettendo alla guida della squadra "Toto" Berizzo, reduce dalla buona esperienza al Celta Vigo. Alla penultima giornata della fase a gironi della Champions Leauge, Siviglia e Liverpool si sono incontrate al Sánchez-Pizjuán in una situazione di classifica piuttosto equilibrata. I "Reds" erano primi nel girone, con un punto di vantaggio sugli andalusi e due punti sullo Spartak Mosca. La partita era decisiva per la qualificazione di entrambe le squadre.

 

Il Liverpool è partito forte e già al secondo minuto è passato in vantaggio con Roberto Firmino. Alla mezz’ora la squadra di Klopp conduceva già per 3-0 e ha chiuso il primo tempo con 11 tiri, contro i 3 del Siviglia. In svantaggio di 3 reti all'intervallo, Berizzo ha sostituito N’Zonzi inserendo "El Mudo" Vázquez, preparandosi per un secondo tempo d’assalto. Il Siviglia è la squadra “nunca se rinde” - che non si arrende mai - e la sua storia è impregnata di rimonte epiche tra le mura amiche. In svantaggio per 0-3 e contro una squadra vulnerabile alle rimonte, si era creato lo scenario perfetto per rinnovare, per l’ennesima volta,

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Nel primo quarto d’ora della ripresa la doppietta di Ben Yedder ha creato le premesse dell’impresa: il Siviglia spingeva, ma si scopriva, lasciando al Liverpool grandi occasioni in ripartenza che i "Reds" però non sfruttavano. In pieno recupero, Pizarro ha realizzato in mischia il gol del pareggio che ha completato la rimonta andalusa. E, stavolta, a rendere ancora più eroica e memorabile l’impresa, la voce diffusa a fine partita, ma falsa, secondo cui nell’intervallo Toto Berizzo avrebbe comunicato alla squadra di soffrire di un tumore alla prostata.

 





 

La realtà, dopo quella partita, si è rivelata però molto dura. Dopo una settimana dell’annuncio della malattia, Berizzo è stato operato e il Siviglia, con il secondo Marcucci in panchina che ha ottenuto una vittoria in casa contro il Deportivo La Coruña, un deludente pareggio a Maribor in Champions League e una brutta sconfitta per 5-0 contro il Real Madrid. Dopo meno di 20 giorni, Berizzo è tornato a sorpresa in panchina nello 0-0 casalingo contro il Levante. La settimana seguente, a causa del divieto medico di prendere l’aereo, ha percorso, tra andata e ritorno, circa 2000 Km in treno per guidare la squadra contro a San Sebastián, dove però è stato sconfitto per 3-1. Dopo due giorni Berizzo è stato esonerato.

 


 



 


Foto di Oscar del Pozo / AFP / Getty Images.


 

Il 23 aprile 2017 il Barcellona, indietro di 3 punti e con una partita in più giocata, incontrava il Real Madrid al Bernabéu. Solo quattro giorni prima la squadra di Luis Enrique era stata eliminata dai quarti di Champions League dalla Juventus, rivelando la sua impotenza contro la tattica difensiva dei bianconeri, forti del 3-0 maturato a Torino. Era la certificazione della crisi del progetto tattico di Luis Enrique, che aveva progressivamente svuotato il gioco dei blaugrana da ogni principio riconducibile al

in favore di un calcio basato quasi esclusivamente sulla MSN e il suo smisurato talento. A sole sei giornate dalla fine, la sfida contro la capolista Real Madrid era l’ultima possibilità per il Barça di riaprire la Liga.

 

Per provare a vincere, Luis Enrique ha messo Messi al centro del palcoscenico, piazzandolo alle spalle di Suárez e Paco Alcácer, scelto come sostituto dello squalificato Neymar.

 

Il Barça non aveva nulla da perdere e il Real ha giocato, come sua consuetudine, una partita di cui non controllava con continuità ritmo e andamento, affidandosi all’enorme qualità dei suoi giocatori per prevalere nel match. La partita è stata emozionante e a un attacco di una squadra

. Ad andare in vantaggio per primo è stato il Real, con Casemiro, sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Ha risposto Messi dopo solo 5 minuti; con l’economia di gesti che solo i fuoriclasse possiedono, sprecando solo due tocchi, il primo di sinistro e il secondo di destro, per saltare centralmente prima Modric e poi Carvajal che cercavano di fermarlo, per poi, con il terzo tocco, concludere a rete.

 

Le squadre hanno continuato a colpirsi, ma a passare in vantaggio, a un quarto d’ora dalla fine, è stato il Barcellona con una splendida parabola dal limite di Rakitic. Sembrava il gol decisivo, anche perché il Real Madrid era finito in 10 uomini, con Sergio Ramos che si era fatto espellere per un brutto fallo su Messi, lanciato a rete.

 

Ma il Barcellona di Luis Enrique non era certo una squadra perfetta e in superiorità numerica, proprio quando sembrava avere la partita in pugno, si è fatta raggiungere da un gol di James Rodríguez, in uno dei pochissimi acuti della sua ultima stagione al Bernabeu. Il gol ha rinvigorito il Real Madrid, che in 10 uomini e con soli 5 minuti da giocare, ha concluso 3 volte verso la porta di Ter Stegen. Ma proprio nell’ultimo minuto di recupero, l’ennesimo errore tattico di una delle due squadre ha spianato la strada al talento dell’altra.

 

Il battito d’ali che ha generato il tornado del gol di Messi a 90 metri di distanza è stato un tentativo di pressing ultra-offensivo del Real Madrid in inferiorità numerica. Il pressing era sbagliato nei tempi e un prodigioso Sergi Roberto ha condotto il pallone per 60 metri rompendo due linee di pressione avversarie. I successivi tocchi di André Gomes e Jordi Alba preparavano l’inevitabile gol di Messi. È stata la vittoria del fuoriclasse argentino, il suo gol numero 500 in maglia blaugrana, l’ennesima rete e l’ennesima vittoria nel Clásico. Ma non sarebbe comunque bastato a vincere la Liga.

 


 



 





 

Il 15 febbraio 2017 il Paris Saint-Germain

degli ottavi di finale di Champions League contro il Barcellona. Sebbene i blaugrana non fossero nel loro miglior momento di forma, una sconfitta così fragorosa non era semplicemente pronosticabile. La cosa ancora più preoccupante per Luis Enrique era che la sconfitta era stata ampiamente meritata anche nelle dimensioni e coinvolgeva ogni aspetto del gioco della squadra: il Barça era stato battuto sul piano tattico, individuale e dell’intensità dagli uomini di Unai Emery.

 

Al tecnico del PSG era stato sufficiente proteggere in maniera accorta il centro del campo per inibire la manovra offensiva del Barcellona, inaridita dalle scelte del suo tecnico di abbracciare un calcio estremamente verticale. In fase di possesso palla i parigini avevano vita facile e superiorità numerica al centro del campo con i tre di centrocampo e i tagli interni ai fianchi di Busquets degli esterni Di María e Draxler. A peggiorare le cose per i blaugrana, lo stato di forma di Lionel Messi, che passeggiava per il campo e non riusciva a toccare nemmeno un pallone nell’area avversaria.

 

L’andamento della partita di Parigi rendeva illusorie le speranze di rimonta professate da Luis Enrique alla vigilia, che nelle tre settimane tra il match d’andata e quello di ritorno aveva annunciato il proprio addio al termine della stagione e riprogettato il modulo di gioco della squadra, schierando i suoi uomini con un 3-4-3 con il centrocampo “a diamante” di stampo cruyffiano.

 

Dopo appena 3 minuti, un errore condiviso da Marquinhos e Trapp ha regalato a Suárez il gol del vantaggio che ha alimentato le poche speranze di una rimonta impossibile. Il primo tempo è proseguito con i catalani padroni del pallone e del campo, ma che faticavano a creare pericoli alla porta di Trapp. La tattica di Emery non aiutava però i suoi uomini a scollarsi di dosso la paura di finire dal lato sbagliato della storia: il tecnico dei parigini aveva impostato una partita di pura passività, limitandosi a provare a occupare il centro del campo per evitare di subire i 5 gol che avrebbero sancito la sua eliminazione.

 

In questo modo il PSG non riusciva a risalire il campo, abbandonandosi a una partita di pura sofferenza. Nonostante questo, il Barça ha avuto bisogno del decisivo aiuto degli avversari per realizzare il secondo gol. Marquinhos ha protetto una palla che non sarebbe mai finita sul fondo facendosela rubare da Iniesta e Kurzawa ha insaccato nella sua porta il cross corto di tacco del giocatore blaugrana.

 

Il primo tempo si è concluso 2-0 e a inizio ripresa l’ennesimo errore difensivo del PSG ha regalato il rigore che Messi ha trasformato, portando il Barca a un solo gol dai supplementari. A questo punto, i parigini hanno capito che era meglio provare a segnare. Emery ha inserito Di María per Lucas Moura e in pochi minuti Cavani ha colpito un palo e poi realizzato il gol del 3-1.

 

A questo punto sembrava davvero finita: il Barça avrebbe dovuto fare altre 3 reti senza subirne e il PSG ha sbagliato altri 2 gol praticamente fatti, con Cavani e Di María. Il Camp Nou ha perso la sua carica e diventava via via più silenzioso. Solo un immenso Neymar sembrava credere alla qualificazione e a due minuti dalla fine ha dato inizio, con una splendida punizione, alla rimonta di tre gol in sei minuti, che hanno consegnato quel Barcellona-PSG alla storia delle

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L’ottavo di finale di Manchester City e Monaco si presentava come uno dei più equilibrati e potenzialmente spettacolari tra quelli in programma nella Champions League 2016/17. Il City di Guardiola era ben lontano dall’essere la

di questa stagione e sembrava che i principi di gioco del tecnico catalano fossero troppo indigesti per i "Citizens". Jardim, evidenziando la sua natura di tecnico anti-dogmatico, aveva abbandonato il calcio estremamente prudente delle versioni precedenti del Monaco per abbracciare un gioco brillante e offensivo, che assecondava il talento dei giovani calciatori a disposizione. Lemar, Bernardo Silva, Mendy, Bakayoko e Mbappé, stavano contendendo al PSG la Ligue 1, vincendola alla fine con merito, e abbattendo al contempo

.

 

Lo scontro tra il calcio di Guardiola e il talento offensivo di Jardim prometteva un grande spettacolo, come poi si è effettivamente rivelato. Il Monaco ha scelto  di aggredire la costruzione bassa del Cityin maniera sfrontata, con un pressing ultra-offensivo che ha messo in difficoltà la strategia di Guardiola. Nonostante ciò, a passare in vantaggio sono stati i "Citizens", che hanno sfruttato tutta la mancanza di equilibrio della squadra francese, segnando prima con Sterling e poi rispondendo al pareggio di Falcao con Agüero.

 

Il Monaco, forte del suo potenziale offensivo, ha però ribaltato presto il risultato utilizzando ancora una volta il proprio pressing. Falcao, che aveva sbagliato il rigore del possibile 1-3, ha poi segnato i due gol che hanno portato la partita sul 2-3, il secondo con un fantastico pallonetto che ha riportato in vantaggio il Monaco.

 

https://twitter.com/ChampionsLeague/status/834347081603096576

 

Le fatica e le indecisioni della squadra di Jardim sui calci piazzati hanno poi aperto le porte all’ennesimo ciclo rimonta-sorpasso del match, che si è chiuso con il bellissimo gol del 5-3 del City, con un’azione che ricordava un avanzamento “alla mano” di stampo rugbistico.

 

Non è stata una partita perfetta: i molti gol sono nati da errori tecnici e di valutazione, e le difese non sono state di certo impenetrabili. Anche da un punto di vista tattico, le due squadre sono riuscite a esprimere solo parzialmente i loro piani partita, con il City in estrema difficoltà per gran parte del match nel creare la superiorità posizionale in costruzione bassa, soffocato dal pressing del Monaco, e la squadra di Jardim spesso troppo vulnerabile alle spalle della linea di prima pressione.

 

Tuttavia, per l’enorme qualità tecnica dei giocatori, per le tattiche sfrontate, ambiziose e offensive, giocate senza alcuna remora e senza alcun paracadute, per la velocità del match e per l’infinita altalena di emozioni, Manchester City-Monaco è stata forse

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