Barcellona-Paris Saint Germain 6-1
Una partita che è già entrata nel nostro immaginario collettivo.
I tentativi di inversione di Emery
Il secondo tempo non è neanche iniziato che il risultato è diventato subito di 3 a 0. A questo punto Emery ha provato a cambiare una dinamica che sembrava irreversibile.
In fin dei conti bastava un gol per chiudere la gara. Emery ha azzeccato il cambio inserendo Di María per Lucas Moura, il PSG ha pian piano alzato il baricentro, colpendo finalmente il Barcellona sugli esterni: bastava poco per colpire il sistema di Luis Enrique. In pochi minuti il PSG ha colpito un palo con Cavani su un cross di Meunier ed è poi arrivato al gol, sugli sviluppi di un calcio piazzato. Una punizione provocata da una conduzione palla rischiosa di Piqué, che una volta persa palla ha costretto Rakitic a fare fallo.
Sembra incredibile a pensarci adesso, ma dopo il gol di Cavani la partita sembra veramente chiusa.
Il Camp Nou è quasi silenzioso, dopo essere stato un inferno nel primo tempo, e il PSG conta i minuti che lo separano dai quarti di finale, contento di lasciare al Barcellona occasioni marginali, avendo dalla sua la capacità di risalire velocemente il campo con Di María e Cavani. Luis Enrique è addirittura costretto a far uscire Iniesta, distrutto fisicamente dall’ora di gioco, per Arda Turan che pascola tra le linee: sembrava un finale di gara scontato. I minuti passano e i tentativi sempre più rischiosi del Barcellona – più per dovere che per convinzione – di arrivare al gol, come lo spostamento in avanti di Piqué in pianta quasi stabile, non arrivano mai realmente a cambiare la dinamica della gara.
Verratti, Di María, Draxler e Cavani. Il PSG è in grado ora di giocare il suo calcio in velocità nelle praterie lasciate dal nemico ormai battuto. La grande parata di Ter Stegen è l’unica cosa che salva il Barcellona.
E invece
Un solo giocatore sembra ancora fiducioso nella rimonta e con il suo calcio propositivo trascina piano piano gli altri almeno a provarci: Neymar si prende in spalla il Barcellona nel momento più delicato della stagione e – con la sua punizione – porta il Camp Nou a seguire la squadra almeno in modo partecipe, non più rassegnato. Il resto è qualcosa di difficilmente riassumibile in poche righe. Sono momenti di pura fede, che spingono a chiedersi come abbia fatto, tra tutti, proprio Neymar a rimanere freddo e fiducioso in un contesto del genere. Per poter contemplare una rimonta del genere, senza ritenerla del tutto casuale, cercandone le tracce iniziali, bisogna partire dal presupposto che solo certe squadre possono contare su una mistica che le porti a risultati incredibili, mentre le squadre comuni ci si avvicinano soltanto, come Achille con la tartaruga. In casi di questo tipo il risultato finale giustifica la speranza iniziale, una profezia che si auto-avvera, e questa capacità è l’essenza stessa delle grandi squadre in Champions League.
Certo, potrebbe essere vero anche l’opposto. Che la vera forza motrice, la metafisica che ha permesso alla traiettoria precisa di Neymar, su un calcio di punizione da lui stesso procurato, di riaprire una partita che è stata chiusa già due volte (all’andata, e al momento del gol di Cavani), è quella della squadra perdente. La vittima che collabora al proprio destino sfortunato e triste.
In un clima quasi surreale il PSG non va oltre 4 passaggi riusciti in 10 minuti, 3 dei quali sono le rimesse in gioco dopo i 3 gol che completano la rimonta. Ogni volta, dopo aver battuto a centrocampo, il PSG ha lanciato lungo con il solo intento di sfuggire alla pressione del Barcellona, riconsegnandogli il pallone e ricominciando quindi l’incubo.
Il lancio di Messi da centrocampo che porta al rigore del quinto gol è calibrato in modo perfetto per finire sul piede destro di Suárez, che taglia in modo altrettanto perfetto verso il centro dell’area arrivando davanti al suo marcatore quando la palla atterra in area di rigore. Il marcatore è Marquinhos e nella corsa disperata tenta di recuperare vantaggio mettendo un braccio a contatto con la spalla di Suárez: il contatto sicuramente non è tale da far perdere l’equilibrio a Suárez che però, a quella velocità, in quel contesto, non si fa sfuggire l’occasione e si lascia cadere. Trovandosi a trenta metri dal contatto, nell’impossibilità di comprendere esattamente la dinamica dell’azione a quelle velocità, l’arbitro prende una decisione delle due possibili e assegna il rigore.
L’arbitro fa parte del gioco, è un essere umano che senza alcun aiuto tecnologico è chiaramente in grado di poter compiere errori che, come quelli dei calciatori, a volte di più, vanno ad influenzare il risultato. Se non ci piace, su l’Ultimo Uomo, dilungarci sui singoli episodi è perché – senza informazioni di tipo diverso – accettiamo l’errore sulla base della buona fede dell’arbitro, parlarne non aggiunge niente al discorso sulla partita o sul calcio in generale.
Siamo in pieno recupero e l’incubo del PSG ha la forma di un Barcellona che ormai ci crede, che non vuole avere rimorsi ed è disposto a mettere tutto in gioco: Piqué fa da punta accanto a Suárez, poi addirittura Ter Stegen finisce a fare il libero in pieno recupero. La risposta di Emery è puro panico: Krychowiak per Meunier così da avere un altro giocatore da mettere in area di rigore sui cross avversari. A quel punto in campo c’è una confusione tale che non è possibile capire se il polacco deve andare davanti alla difesa o proprio sulla linea difensiva, e se Aurier debba stare in linea con i difensori o con i centrocampisti. Non si capisce chi deve scalare su Messi e chi deve invece tenere la posizione, e ogni pallone calciato verso la porta dal Barcellona gli viene gentilmente riconsegnato dal PSG con un lancio lungo.
Neymar è raggiante, sembra fatto di una materia luminosa che lo fa risaltare sugli altri: dopo 94 minuti in cui ha tentato 13 dribbling, eseguito 41 passaggi nella trequarti offensiva, provato 7 cross, tirato 6 volte, recuperato 6 palloni, dopo non essersi mai fermato, quindi, eccolo che finta un cross velleitario con il destro sull’ultima palla della partita, ribattuta dall’ultima punizione della partita, Verratti abbocca alla finta e Neymar cerca l’ultima palla in area della partita. Sergi Roberto si smarca dalla marcatura di Aurier, che è di spalle e reagisce impietrendosi come avesse visto la Medusa, e colpisce di prima con il collo del piede, in allungo, prendendo in contro tempo l’uscita di Trapp.
Il bel gol del cocco di Luis Enrique, escluso dai titolari ma fatto comunque entrare nella ripresa, lo proietta di diritto nella storia del Barcellona, al pari degli autori di altre rimonte, come Bakero e Iniesta. Ma sono gli ultimi 10 minuti di gara di Neymar con 2 gol e 1 assist a posizionare il brasiliano tra i più grandi in assoluto. La freddezza e il talento di Neymar sono stati fondamentali tanto quanto la paura e la confusione del PSG per creare un finale di partita realmente epico.
Al fischio finale il clima è surreale, tra spalti in festa e tifosi che si precipitano in campo sembra quasi che il Barcellona abbia saltato quarti, semifinale e finale e abbia vinto direttamente il trofeo. Dall’altra parte c’è l’immagine di Emery sconfitto, con gli occhi chiusi come a rifiutare la realtà davanti ai suoi occhi. Nella finta di Neymar per il cross in cui cade Verratti passa tutta la stagione del PSG, una stagione che sarà difficilissimo non ricordare come un fallimento; ma ci passa anche tutta la stagione del Barcellona, che ora si ritrova primo in classifica in Liga, in finale di Coppa del Re e ai quarti di Champions League, dopo aver compiuto l’impresa – matematicamente parlando – più grande della sua ultracentenaria storia.
Partite del genere fanno la storia da sole, passerà qualche giorno ancora, prima di capire che conseguenze avrà sul Paris Saint Germain e su Emery e cosa ci dice sulle possibilità del Barcellona. E forse non è neanche veramente importante. Partite del genere vengono ricordate più di molti trofei.