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Francesco Lisanti

La virtù dei forti

Decisa da un episodio a tempo quasi scaduto, Fiorentina-Inter ci dice che la pazienza paga.

 

Prima del gol di Babacar che ha deciso la partita, le rispettive stagioni di Fiorentina e Inter avevano avuto un andamento perfettamente speculare, pur partendo da idee di gioco opposte. Entrambe vantavano una brillante prima metà di campionato (27 punti nelle prime 12 giornate) e un evidente calo nella seconda (19 e 18 punti nelle successive 12). Questo per dire che sia Paulo Sousa che Roberto Mancini hanno preparato la sfida in un clima di tendenziale sfiducia, dovendo rispondere sostanzialmente alle stesse domande.

 

Sousa ha ribadito la centralità dell’applicazione dei propri principi di gioco: «Se controlleremo il gioco prenderemo sempre più fiducia»; mentre Mancini ha confermato l’impressione che per lui il risultato è una questione intimamente legata agli episodi: «A volte non vinci una gara per situazioni negative, ma la squadra sta bene». Era già successo dopo il pareggio contro il Carpi, dove aveva contestato gli attaccanti per i gol sbagliati, e poi dopo il pareggio contro il Verona, dove aveva contestato i difensori per i gol subiti…

 

L’Inter è più brutta di quanto gli episodi dicano, ma il paradosso è che sono ancora una volta gli episodi a condannarla. Come già la Lazio (al minuto 87°), il Sassuolo (al minuto 95°), e poi il Carpi (al minuto 92°), anche con la Fiorentina la partita è stato un rimpallo sul petto di Babacar al minuto 91° ad assegnare 3 punti che potrebbero fare da spartiacque nella lotta per il terzo posto.

 

 

Paulo Sousa ha cambiato molti titolari rispetto alla trasferta di Bologna, ma non il modulo base, traducibile in un 3-4-2-1 con Tatarusanu in porta, Roncaglia, Gonzalo Rodríguez e Astori a nella linea difensiva, Tello, Vecino, Borja Valero e Marcos Alonso a comporre una mediana molto fluida, Ilicic e Bernardeschi ad agire alle spalle di Kalinić.

 

Mancini invece ha confermato uomini e modulo impiegati contro il Verona, con gli innesti di Miranda e Medel, schierando un 4-3-3 con Handanović tra i pali, Nagatomo, Miranda, Murillo e Telles in difesa, Medel davanti alla difesa, Brozovic e Kondogbia interni di centrocampo, Icardi riferimento centrale e Palacio ed Éder schierati ai suoi lati, l’argentino mediamente a destra, l’italobrasiliano mediamente a sinistra.

 

Dieci di fatto

 

Dopo trenta secondi si è già intuito quanti problemi avrebbe avuto l’Inter a gestire i due trequartisti della Fiorentina, come già era successo nella partita di andata. Con Badelj ancora indisponibile per infortunio, Sousa ha dovuto abbassare Borja Valero in mediana e ha provato Bernardeschi in quella posizione, più consona al 10 che porta sulla maglia. Il risultato è stato ottimo: con un giocatore come Bernardeschi, meno portato a orientare il possesso, ma in grado di saltare sempre l’uomo e in vena di rischiare la giocata, i “Viola” ne hanno guadagnato in verticalità. Da parte sua, va detto che l’Inter non sembrava avere le idee chiarissime su come gestire il doppio trequartista.

 

Alla fine dei 90 minuti Bernardeschi è risultato l’uomo in campo con più occasioni create (3) e più dribbling riusciti (8) di tutti. Dietro di lui Kondogbia e Ilicic, che hanno completato solo 4 dribbling. Bernardeschi ha collezionato anche un numero alto di palle perse (17) a conferma della grande responsabilità nella produzione offensiva di cui si è caricato, e in qualche modo ha anche provocato l’espulsione di Telles.

 

Rodríguez tenta il lancio lungo a cercare Kalinić, ben contenuto da Miranda come nel resto della partita. Nel frattempo Kondogbia e Brozović salgono su Vecino e Borja Valero, lasciando i terzini con il problema di decidere se stringere sul trequartista o salire sull’esterno della Fiorentina. Succederà molto spesso.

 

I collegamenti tra i reparti

Il grosso problema che ha segnato il – per ora –  disastroso 2016 dell’Inter è l’incapacità di collegare i reparti: la difesa rimane sempre molto bassa, probabilmente per timore della scarsa velocità di Miranda, ma così il centrocampo deve coprire una porzione troppo vasta di campo, e i giocatori non hanno né le letture individuali né (apparentemente) le istruzioni per farlo.

 

Ad esempio, nell’azione del 2-1 della Fiorentina, per ben due volte Brozovic concede una linea di passaggio che avrebbe dovuto occupare, prima quella per Borja Valero, poi quella decisiva per Zárate.

 

L’Inter nei primi minuti aveva anche provato a pressare alto, scommettendo sul fatto che Sousa avrebbe rinunciato assai malvolentieri alla costruzione bassa del possesso. Ma nel contesto della difesa interista molto statica, a cui si aggiungono le carenze difensive degli interni di centrocampo e la generale disorganizzazione, l’esito è stato disastroso.

 

L’Inter si schiera in 70 metri di campo e neanche copre l’ampiezza. Già dopo il primo passaggio Tatarusanu-Rodríguez, lo spagnolo ha tantissime linee di passaggio a disposizione. Con un secondo passaggio verticale la Fiorentina arriva agevolmente sulla trequarti. Seguirà un tiro di Bernardeschi parato da Handanović.

 

Così, dopo poco, l’Inter si è riorganizzata e ha abbandonato l’idea del pressing, limitandosi ad occupare la zona centrale e a lasciare il passaggio verso l’esterno ai difensori della Fiorentina. Kondogbia e Brozovic tracciavano i movimenti di Borja Valero e Vecino, ma Medel rimaneva in grande difficoltà nella gestione di Ilicić e Bernardeschi, mai aiutato da una pessima prestazione difensiva di Telles e Nagatomo.

 

Nell’azione della Fiorentina che precede il clamoroso salvataggio di Telles sulla linea, si ripropone il problema iniziale: Kondogbia deve scalare da Borja Valero su Bernardeschi, e ha troppo campo da coprire. I terzini (in questo caso Nagatomo) non riescono a prendere una decisione su chi coprire e rimangono in un limbo.

 

La grande mobilità di Bernardeschi gli ha permesso di ricevere spesso palla tra le linee, e lanciarsi verso la porta. Per i viola, però, la catena di sinistra ha funzionato molto meglio di quella di destra, sia per l’atteggiamento più pigro di Ilicic, sia per la qualità di passaggio di Roncaglia, ben peggiore di quella di Astori. Il 32% degli eventi di gioco si sono sviluppati sulla sinistra, solo il 23% sulla destra.

 

Il bel passaggio di Astori per Bernardeschi, agevolato dalle indecisioni nella fase difensiva dell’Inter.

 

Baricentri opposti

La lunghezza media dell’Inter restituisce l’idea di una squadra corta (32.5 metri), mentre quella della Fiorentina è nella media (36.6 metri), ma sono dati evidentemente influenzati sia dai diversi atteggiamenti delle squadre – perché il fatto che la Fiorentina imposti sempre dalla difesa necessariamente richiede di coprire più campo allungandosi – sia dal finale di gara, dove l’Inter in inferiorità numerica ha logicamente abbassato molto il proprio baricentro.

 

In realtà anche contro la Fiorentina, come già contro il Carpi, come già contro il Verona, l’Inter ha pagato le distanze tra i reparti. Nonostante il pallone sia stato quasi unicamente proprietà della Fiorentina, l’Inter ha recuperato soltanto 50 palloni, contro i 59 dei viola. È un problema che non grava unicamente sulla fase difensiva, ma anche su quella offensiva, dal momento che un recupero palla così difficoltoso toglie energie agli attaccanti e non permette di trovare la difesa avversaria fuori posizione.

 

Un’immagine che non manca mai: Icardi che corre in maniera affannosa alla ricerca della palla, da solo. La Fiorentina è in evidente superiorità numerica, e gli sguardi di Gonzalo e Borja si incrociano come per scambiarsi un «ma perché lo sta facendo?».

 

I “Viola” in chiaroscuro

Proprio alla luce dei problemi dell’Inter, è bene evidenziare le difficoltà offensive della Fiorentina. Le occasioni non sono mancate, e il merito è indubbiamente da attribuire alla buona organizzazione, ma neanche sono mancati gli errori individuali. Sono stati tanti e hanno coinvolto tutti, da Roncaglia, a Tello, a Ilicic, a Kalinic, fino a Vecino, recordman per i viola con 13 passaggi sbagliati su 61 tentati, molti dei quali banali.

 

Il mediano uruguaiano, sicuramente il peggiore dei viola in entrambe le fasi di gioco, è stato dribblato 3 volte e ha registrato 15 palle perse, e più di lui Marcos Alonso che ne ha registrate 18. La percentuale di passaggi riusciti si è comunque assestata su un confortante 84,9%, ma la scarsa precisione e velocità di diverse giocate stava per compromettere una partita che la Fiorentina ha comunque controllato per larghi tratti.

 

Seguendo il principio della superiorità numerica dei difensori centrali sulle punte avversarie, in fase di non possesso la Fiorentina scivolava brillantemente in un 4-4-1-1, abbassando Alonso sulla linea di difesa, allargando Roncaglia, e ricomponendosi in un centrocampo che aveva Bernardeschi e Tello esterni.

 

Il 4-4-1-1 della Fiorentina quando l’Inter controlla il pallone. Si può anche notare come la struttura posizionale della squadra di Mancini non agevoli particolarmente il possesso. Kondogbia, Medel e Eder sono fermi sulle gambe e non sanno dove e come ricevere.

 

Il Trenza, la differenza

È evidente che la fase offensiva dell’Inter pecchi di coordinazione: capita spessissimo che per mancanza di idee si perda il tempo della giocata. Il numero di occasioni create (3) contro le 8 della Fiorentina, è di per sé abbastanza eloquente. Un’immagine simbolo è l’affondo del terzino sulla fascia, che però poi in mancanza di uno sviluppo codificato del gioco deve fermarsi, alzare la testa, puntare l’avversario, tornare indietro o crossare da fermo.

 

In questi casi Palacio è stato molto più utile di Éder, meno brillante nelle letture dei movimenti senza palla. L’argentino è stato certamente il migliore in campo per l’Inter, risultando addirittura leader di squadra sia alla voce contrasti vinti (2), sia in quella delle palle recuperate (8). Ha subito 5 dei 13 falli conquistati dall’Inter, più di chiunque altro in campo, e ha completato tutti e 3 i dribbling tentati. Un apporto costante, in entrambe le fasi.

 

Oltretutto, nell’azione del gol del vantaggio di Brozovic ci sono almeno tre intuizioni individuali di Palacio di qualità superiore alla media: lo scavetto a servire orizzontalmente Kondogbia, il taglio diagonale in profondità, la protezione della palla che gli permette contemporaneamente di aggirare Astori. Per Mancini tutti i calciatori sono sullo stesso piano, e alla luce della partita di ieri ha perfettamente senso che il “Trenza” sia preferito a Ljajic, Perisic o Jovetic.

 

L’Inter poco prima di subire il gol del pareggio, bassa a protezione della propria area di rigore. Come già accaduto quest’anno, vedere la doppia parata di Handanovic contro il Torino, la linea difensiva si dimostra incapace di coprire lo spazio alle spalle sul cross dalla trequarti.

 

Di contro, l’Inter ha perso ormai definitivamente la solidità difensiva, che per la prima metà della stagione equivaleva sostanzialmente alla capacità di non subire gol. Un’ingenuità abbastanza grossolana ha messo Borja Valero (grande tempismo nell’inserimento) in condizione di segnare l’1-1 in completa solitudine, in seguito ad un canonico cross dalla trequarti.

 

La pazienza, virtù dei forti

 

Paulo Sousa è stato premiato dal grande impatto di Zárate sulla partita, che ha sostituito Tello e si è posizionato sulla trequarti relegando nuovamente Bernardeschi sulla fascia. L’argentino ha garantito corsa, cross dalla fascia, contrasti e palle recuperate. Il suo insidioso tiro a rientrare, che aveva già deciso nel recupero la gara contro il Carpi, ha in qualche modo indirizzato nello stesso minuto anche questa partita.

 

Le ambizioni dell’Inter in chiave Champions League risultano decisamente ridimensionate. Per quanto gli episodi stiano influenzando pesantemente la seconda parte della stagione (come avevano influenzato positivamente la prima), la loro somma offre comunque un’immagine migliore del quadro nel suo complesso, e Mancini e il suo staff proveranno probabilmente a lavorare su questo.

 

La Fiorentina invece, come sottolineato da Paulo Sousa, ha scoperto che la pazienza può essere una virtù. Se la squadra di Montella e poi quella di Sousa rimanevano spesso ingolfate nel tentativo di controllare i ritmi della partita, adesso i viola riescono a conservare la fiducia per convertire gli episodi in proprio favore. Gli episodi positivi, però, come insegna proprio l’Inter, non si ripetono per sempre, e quando si trasformeranno in negativi servirà la stessa, identica, pazienza.

 

 

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Francesco Lisanti è nato a Matera nel 1994, a Torino si è laureato ingegnere, a Milano ha iniziato a lavorare. Deve tutto al blog di Wannabe Radio. Al momento si divide tra la passione per il calcio e la pianificazione della produzione.