1. Tre anni fa la PL ha iniziato a importare i migliori tecnici al mondo. Come è cambiata la situazione rispetto a quando, due anni fa, scrivevamo dei suoi problemi?
Daniele Manusia
Quando abbiamo scritto quel pezzo la Premier League era già il campionato più ricco del mondo, con i giocatori migliori del mondo e alcuni dei migliori allenatori. Ma la nostra non era un’opinione così controcorrente: in molti sottolineavano come in Europa le squadre inglesi ottenessero risultati mediocri e il fatto che il campionato lo stesse vincendo il Leicester di Ranieri, con un gioco semplice semplice, di per sé mostrava la fragilità dell’idea di calcio britannica. Nel frattempo qualcosa è cambiato ma difficilmente si può dire che la Premier League abbia cambiato faccia. O, come si dice di questi tempi, abbia fatto rebranding.
Due anni fa il Manchester United ha vinto l’Europa League – con Mourinho che ha dovuto paradossalmente difendere la prestazione in finale contro l’Ajax – mentre City e Arsenal hanno subito brutte batoste in Champions League: la squadra di Guardiola si è fatta rimontare il 5-3 dell’andata dal Monaco perdendo 3-1 al ritorno, quella di Wenger ha addirittura preso 10 gol dal Bayern di Monaco. E il campionato l’ha vinto Conte al primo anno in Inghilterra, con un gioco ancora una volta speculativo.
La scorsa stagione, invece, tutte e cinque le squadre inglesi sono arrivate agli ottavi di Champions League e sembrava che qualcosa stesse cambiando. Il City di Guardiola ha dominato la Premier con un gioco di possesso offensivo, ma è uscito ai quarti contro il Liverpool di Klopp che era una sublimazione dell’intensità e del gioco diretto. Chelsea e Tottenham sono usciti agli ottavi contro Barcellona e Juve, lo United addirittura contro il Siviglia. L’Arsenal è uscito in semifinale di Europa League e il Liverpool si è arreso davanti al Real Madrid in finale di Champions League.
Oggi il brand del calcio inglese è sempre basato sul proprio primato economico e su un numero abbastanza consistente di giocatori eccellenti, naturalmente in costante aumento. Come unica strategia evolutiva c’è l’importazione di allenatori stranieri, che ha avuto conseguenze anche a livello federale, con la definizione di un “DNA inglese” piuttosto innovativo – costruzione dal basso, gioco di possesso e offensivo – comune a tutte le nazionali giovanili e che ha influenzato la Nazionale di Southgate, in cui c’era anche un po’ di Conte, Guardiola e Pochettino.
Insomma, il campionato inglese si evolve lentamente ma si evolve. E per quanto ogni sessione di mercato sia frenetica e ogni nuova stagione contenga potenziali sorprese il problema di fondo resta sempre lo stesso: come si può conciliare l’intensità e il gusto per giocatori grossi e potenti – che è un po’ frutto della cultura atletica inglese, un po’ dell’evoluzione professionale dei calciatori – con l’esigenza di giocare un calcio tecnico e offensivo, che presuppone la capacità di avere un minimo di controllo sul pallone?
La Premier League sta cercando la risposta internamente ai propri dogmi e anche Guardiola ha dovuto adattarsi per vincere. L’influenza è reciproca e se Sarri, Emery, Nuno Espirito Santo – e Bielsa in Championship – porteranno ulteriori modifiche a come si pensa il calcio in Inghilterra, anche loro dovranno cercare soluzioni nuove e scendere a compromessi. L’arrivo di giocatori capaci di resistere al pressing come Jorginho, Torreira, Fabinho, Joao Moutinho, Seri; di portieri buoni con i piedi pagati carissimo come Alisson e Kepa; di giocatori a loro agio nei ritmi ad alta intensità ma che mantengono comunque il controllo come Naby Keita, Kovacic, Felipe Anderson, sembra confermare l’impressione che la Premier League abbia imparato la lezione del resto d’Europa, del calcio “continentale” (aspettando di vedere gli effetti della Brexit).
Con calma, e con molti soldi, forse anche in Inghilterra si sta andando verso un calcio con più di una velocità, in cui si costruisce dal basso e si organizza la fase offensiva e quella del recupero immediato del pallone. L’unico dubbio riguarda la pazienza di pubblico e dirigenza nei confronti di quelle proposte di gioco che richiedono più tempo. A Sarri, per dire, stanno già dicendo che vuole trasformare il Chelsea in un nuovo Arsenal (e cioè la squadra bella che non ottiene risultati, una storia già sentita).
Emanuele Atturo
Nel pezzo di due anni fa notavo la discrepanza tra l’immagine esteriore della Premier League – ricca, levigata, brillante – e la qualità delle partite – frenetiche, noiose, raffazzonate. «La Premier League somiglia a quei film che bisogna vedere per tenersi aggiornati, ma che non per forza ci appassionano e che non sempre riusciamo a guardare fino alla fine. Ciò nonostante non ne possiamo che riconoscere l’importanza culturale». La bellezza della cornice serviva a mascherare la povertà del quadro.
È incredibile quanto sia cambiata la situazione da quando nel bel vestito della Premier sono entrati i migliori allenatori del mondo. Con l’arrivo di Klopp, Guardiola, Conte e Pochettino la Premier League non si è messa solo all’avanguardia tattica, ma si è anche preoccupata di offrire uno spettacolo calcistico all’altezza della propria cornice. La Premier ha mantenuto le proprie caratteristiche identitarie: rimane un campionato dai ritmi frenetici, dove la dimensione fisica è ancora più importante di quella tecnica e tattica, ma ora esiste una biodiversità e soprattutto una grande complessità. Anche le squadre estremamente fisiche come il Liverpool per esprimersi ad alti livelli hanno dovuto accompagnare l’agonismo a una struttura tattica sofisticata.
La conseguenza più diretta è che abbiamo visto finalmente un quadro all’altezza della cornice, con tante belle partite. Liverpool-Manchester City, finita 4 a 3 per i Reds che è stata una battaglia di pressing e seconde palle; la rimonta del Manchester UTD per 3 a 2 sul City, che ha visto una tensione mentale affilata fino al novantesimo; ma anche molte partite del Burnley reattivo di Sean Dyche, come il 3 a 2 inflitto al Chelsea di Conte.
Come dimostra l’arrivo di Sarri, o quello di Nuno Espirito Santo, le squadre di Premier ora sembrano interessate ad avere tecnici con un’identità di gioco proattiva e potenzialmente spettacolare. L’estetica sembra persino più importante dei risultati, in una certa misura. Come ha sottolineato Michael Cox in questo pezzo su ESPN, c’è un ragionamento di marketing alla base: la disperata ricerca del miglioramento di immagine da parte dei club, per conquistare un mercato ormai globale, è arrivata a condizionare la dimensione sportiva.
La conseguenza per la Premier League è che ora il prodotto venduto sembra finalmente all’altezza del suo impacchettamento e per i tifosi, banalmente, è diventato più interessante guardare una partita.
Forse la partita più divertente dello scorso campionato.
2. Il Manchester City è la squadra più forte d’Inghilterra?
Daniele Manusia
Ogni sessione di mercato promette rivoluzioni. Ma forse siamo noi a dare troppa importanza alle novità in quanto tali. Il City quest’anno è stata solo la nona squadra a spendere di più nel mercato estivo, investendo praticamente nel solo Mahrez. Il Manchester United, secondo lo scorso anno, ha speso meno di Fulham, West Ham ed Everton. Il Tottenham, arrivato terzo, non ha comprato nessuno. Solo il Liverpool tra le prime sei ha speso molto – ha speso più di tutti, cioè – e sembra effettivamente aver provato a colmare la distanza con la squadra di Guardiola. Sulla carta il Manchester City resta la squadra da battere e solo Klopp – che lo ha eliminato “bene” in Champions League – sembra intenzionato a sparigliare le carte in cima alla classifica.
Guardiola quest’anno è chiamato per forza di cose a fare qualcosa di più dello scorso ma non può sottovalutare la competizione interna, perché il suo stile di gioco resta un azzardo in Premier League e richiede massima attenzione ai propri giocatori. La passata stagione il City ha avuto un buco lungo tre partite – le due con il Liverpool in Champions e la sconfitta nel derby con lo United – in cui ha mostrato i limiti di una squadra che non può permettersi nessun calo di concentrazione o di forma. Nelle amichevoli estive e nel Community Shield Guardiola ha confermato una difesa asimmetrica in fase di impostazione, con Walker a destra che resta più basso e Mendy sulla linea del centrocampo, l’intenzione di costruire dalla difesa e far salire molti giocatori nella metà campo avversaria anche contro avversarie al proprio livello. Questo ovviamente significa che i pericoli più grandi li correrà in transizione, e bisogna tenere conto che moltissime squadre, anche non di primissima fascia hanno giocatori autosufficienti, o quasi, in conduzione (per fare un paio di esempi: Sessegnon nel Fulham, Adama Traoré nei Wolves, Bernard e Richarlison nell’Everton).
Ci sono molte squadre attrezzate quest’anno per colpire il City nei suoi punti deboli e non è escluso che perda qualche punto anche in partite sulla carta più facili. Ma una squadra pensata come il City per forza di cose ha dei problemi anche a difendere posizionalmente (perché, semplicemente, non sono abituati a difendere nella propria area) e non giocherà partite facili contro squadre come Chelsea e Tottenham – forse Liverpool – che le contenderanno il pallone. Il City, però, resta la squadra con il gioco più spettacolare ed efficace, con più qualità in mezzo al campo e in attacco, e un equilibrio basato interamente sul possesso del pallone: l’unico aspetto del gioco che una squadra possa davvero controllare. In questo senso forse la vera nemesi di Guardiola non è neanche Mourinho e il suo United, che difende aspettando che l’avversario compia un errore, quanto piuttosto Tottenham e Liverpool, cioè due squadre a proprio agio senza palla, che l’errore lo inducono. Guardiola dovrà confermare di settimana in settimana la supremazia della propria squadra, contro stili di gioco diversi e allenatori che ormai lo conoscono a memoria.
3. Guardiola non ha comprato un regista per sostituire Fernandinho, vi aspettate qualcosa di diverso dal gioco del City e come giudicate il loro mercato?
Francesco Lisanti
Dare un giudizio netto al mercato del City è impossibile perché impossibile era la missione di partenza: migliorare una squadra giovane che ha vinto il campionato a marzo toccando quota 100 punti. Io sono rimasto deluso dalla strategia conservativa, ma solo perché vorrei che tutti i giocatori del mondo fossero allenati da Guardiola.
Ho atteso per tutta l’estate che il mercato gli consegnasse nelle mani un nuovo centrocampista da immergere nei ritmi e nelle geometrie del City come Achille nelle acque dello Stige. Mi aveva incuriosito l’ipotesi Fred, per le analogie con lo stile di gioco e con la parabola di Fernandinho, mi aveva stuzzicato l’ipotesi Kovacic, a cui per qualche motivo mi sento emotivamente legato, e mi aveva emozionato l’ipotesi Jorginho, per l’occasione più unica che rara di vedere un giocatore della Nazionale allenato da Guardiola.
Invece Chelsea e United hanno anticipato le mosse del City, che si è accontentato del solo Mahrez. Guardiola però si è già detto sicuro di poter colmare il “vuoto” nel ruolo di vertice alto del rombo di prima costruzione: «Abbiamo Fernandinho e Gündogan che possono giocare in quella posizione, c’è Zinchenko, c’è anche Fabian Delph». Alla fine del mercato ha poi aggiunto di ritenere Stones pronto a ricoprire il ruolo, sebbene non abbia mai giocato lì e avrebbe bisogno di tempo per impararlo.
Durante il precampionato ha invece utilizzato moltissimo il 18enne Claudio Gomes, soffiato all’Academy del PSG, che ai ritmi della Premier è tutto da verificare, ma è già sorprendente per la capacità di proteggere il pallone, orientare il primo controllo e trovare gli uomini tra le linee (so good, so good, per usare le parole di Guardiola). Mentre le rivali spendono soldi e tempo per imitare i segreti del successo del City, il progetto tattico di Guardiola ha già gettato le basi per il futuro.
Claudio Gomes.
1 Second. 1 Trophy.
Legend.
— Dave Calaz🐝 (@TheDaveCalaz) 5 agosto 2018
Gomes è entrato anche nell’ultimo secondo di Community Shield, inaugurando la media di 1 trofeo vinto ogni secondo giocato tra i professionisti.
4. Qual è il miglior acquisto della Premier League quest’estate?
Dario Saltari
Frederico Rodrigues de Paula Santos, detto Fred, è stato uno dei giocatori più sorprendenti della scorsa Champions League, apparendo subito come la punta di diamante dell’altrettanto sorprendente Shakhtar Donetsk di Paulo Fonseca. Dopo la fine della stagione sembrava impossibile che potesse rimanere un altro anno ad invecchiare in Ucraina e infatti durante il Mondiale è passato un po’ a sorpresa al Manchester United, dopo un lungo corteggiamento del Manchester City, arricchendo l’incredibile batteria di centrocampisti a disposizione di José Mourinho. L’aspetto più interessante di questo acquisto non sta tanto nella dote di qualità tecnica nella gestione del possesso e nella creazione del gioco che Fred porta con sé, né nell’esplosività fisica sui primi passi che lo rende contemporaneamente un ragno recuperatore di palloni. L’inserimento del giocatore brasiliano, infatti, potrebbe portare a benefici tattici collettivi all’intero Manchester United, a partire ovviamente del centrocampo. È curioso notare, a questo proposito, che, dal momento in cui è arrivato, nelle amichevoli giocate questa estate, Fred sia partito quasi sempre da titolare in un 4-3-3 nel ruolo di mezzala. Il calcio di luglio e agosto finisce spesso per essere smentito da quello dei mesi successivi, è vero, ma c’è l’impressione che Fred possa dare a Mourinho la possibilità di rovesciare il triangolo di centrocampo, dato che la scorsa stagione ha quasi sempre giocato con il 4-2-3-1, con benefici a cascata per tutto il resto della squadra. Con Fred a fare da mezzala (o, perché no, regista, come di fatto faceva già allo Shakhtar), infatti, Mourinho potrebbe finalmente avanzare il raggio d’azione di Paul Pogba, in questi anni relegato a fare il mediano di fatica di una squadra che aveva abdicato a un qualunque controllo sul gioco che non fosse quello mentale. L’avanzamento di Pogba, le sue connessioni con Fred e Matic prima per far risalire il pallone e poi per entrare in area senza passare per i cross, potrebbero essere finalmente la chiave di volta di un Manchester United finalmente associativo, o quanto meno creativo, nella zona nevralgica del gioco. Un mix unico tra sensibilità tecnica e fisicità, persino nel panorama del calcio europeo d’élite.
Daniele V. Morrone
Prima o poi doveva succedere che il mercato dei portieri esplodesse. Quattro anni fa il Barça ha speso 12 milioni per acquistare uno dei giovani portieri più promettenti al mondo, cioè Ter Stegen. Quest’anno nell’arco di poche settimane quest’anno prima il Liverpool e poi il Chelsea hanno battuto il record storico per un portiere per prenderne uno dello stesso livello di Ter Stegen. I 62 milioni spesi dal Liverpool per Alisson (a cui si aggiungono i 10 mln di bonus futuri) però sono un prezzo totalmente accessibile alle casse del Liverpool. I Reds hanno acquistato uno dei migliori interpreti al mondo, proprio nel ruolo più debole della rosa. Alisson è un portiere poi dalle caratteristiche perfette per il gioco del Liverpool, per la sua capacità balistica che con quei rilanci di cui è dotato può trovare il giocatore che vuole all’altezza che vuole sul campo. Difficilmente lo vedremo fare gli errori di concentrazione di Karius e sulle 38 partite questo significa sicuramente qualche punto in più in classifica, magare il numero decisivo per lottare per la Premier fino alla fine.
Alisson is set to make his #LFC debut tonight! 🔴🔴 pic.twitter.com/K5bM6jMT1x
— Liverpool FC (@LFC) 4 agosto 2018
Emanuele Atturo
Lo scorso anno eravamo tutti su di giri nell’immaginare Mohamed Salah in un attacco insieme a Sadio Mané e a Roberto Firmino, e i risultati sono andati ben oltre le aspettative. Anche in questa stagione il Liverpool ha comprato un giocatore che si sposa alla perfezione col sistema di gioco della squadra, e cioè Naby Keita, un centrocampista che sembra affilare la propria forza man mano che i ritmi di gioco si alzano. Fenomenale nel correre dei corridoi verticali, nel mangiarsi gli spazi di cui la Premier League è sempre generosa. Il Liverpool, insomma, continua a comprare i migliori interpreti del proprio calcio a disposizione nel menù mondiale, e ogni anno ci offre la possibilità di essere eccitati.
Daniele Manusia
Ryad Mahrez era l’unico giocatore in grado di migliorare il gioco offensivo del Manchester City di Guardiola. Può venire verso il centro e ricevere tra le linee così come restare largo e minacciare l’uno contro uno con il terzino opposto, può aiutare in fase di rifinitura e in transizione può aggiungere quel pizzico di “effetto Salah” che tutti invidiano al Liverpool. Se tutto andrà per il verso giusto potremmo ritrovarci a parlarne come uno tra i più forti al mondo.