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Foto di John Peters / Getty Images
Calcio Dario Saltari 28 ottobre 2017 4'

Ha senso chiudere il mercato prima dell’inizio della stagione?

Paolo ci ha chiesto come reagire alla chiusura anticipata del calciomercato in Premier League. Risponde Dario Saltari.

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L’articolo del Guardian messo su questa newsletter discute sulla proposta di chiudere il calciomercato prima dell’inizio della stagione.

Mi sembra una proposta ragionevole; tuttavia mi chiedo: per ovviare ai problemi che emergerebbero, potrebbe essere fattibile creare in agosto una finestra di mercato dedicata ai soli prestiti secchi e gratuiti?

Le squadre avrebbero tempo a sufficienza per sistemare gli esuberi o completare la squadra, senza intaccare sostanzialmente il bilancio né, di conseguenza, la strategia per la stagione.

 

Grazie mille,

 

Paolo

Risponde Dario Saltari.

 

Il calciomercato è un aspetto di questo sport che viene discusso poco al di fuori della frivolezza del gossip estivo e della curiosità dei tifosi riguardo ai nuovi giocatori, quindi ti ringrazio dell’opportunità, caro Paolo. Prima di discutere delle potenziali soluzioni, però, mi sembra doveroso parlare dei problemi che si vogliono affrontare, ed eventualmente eliminare, con queste misure, perché è difficile parlare di una soluzione se non si ha chiaro quale obiettivo si vuole raggiungere.
Richard Scudamore, presidente della Premier League, quando ha annunciato che dalla prossima stagione la sessione estiva non si sarebbe conclusa il 31 agosto ma il 9 (cioè il giovedì precedente alla prima giornata di campionato, come prevede la nuova regola), ha posto l’accento su quello che lui ha chiamato: «integrità della competizione tra le squadre». In sostanza, l’obiettivo che si è voluto raggiungere con questa misura è quello di non vedere più calciatori che, a inizio stagione, giocano una partita con una maglia e dopo una settimana entrano in campo con un’altra. Prima della salvaguardia della programmazione stagionale, quindi, in questo caso c’è stato più che altro una forma di rispetto molto profondo nei confronti dei tifosi e dei club, che prima di questa misura non potevano schierare i giocatori oggetto di trattative, per poi magari ritrovarseli in un’altra squadra una volta che il trasferimento si era concluso (è successo, ad esempio, con Oxlade-Chamberlain nell’ultima sessione, ma sono casi piuttosto frequenti).

 

Quella della Premier League è stata una mossa molto inward looking, cioè attenta a rafforzare gli equilibri interni del campionato, ma forse a discapito della competitività dei club inglesi all’interno del calcio europeo e, in misura minore, mondiale. Innanzitutto perché i club inglesi saranno comunque liberi di vendere i propri giocatori all’estero fino al 31 agosto (primo settembre nel caso si venda in Spagna), e quindi i tifosi più attenti agli altri campionati europei potranno comunque soffrire vedendo un proprio giocatore scendere in campo con un’altra maglia (e in quel caso i club inglesi dovranno trovare una soluzione interna per sostituirlo).

 

In secondo luogo, perché la decisione della Premier League è stata del tutto unilaterale: dopo l’entusiasmo iniziale, nessuna delle altre grandi leghe europee si è allineata alla decisione del campionato inglese, che adesso rischia di rimanere isolato rispetto al resto d’Europa. Nel caso in cui gli altri campionati non si adeguassero alla decisione della Premier League, i club inglesi, avendo circa tre settimane in meno per concludere il proprio mercato, si troverebbero in una situazione di forte asimmetria competitiva, che potrebbe produrre diversi effetti, non per forza positivi: ad esempio, per le grandi squadre sarebbe molto più difficile concludere trattative con club non disposti a vendere, che di solito cercano di portare la trattativa più avanti possibile per alzare il prezzo (come Mbappé quest’anno, ma anche in questo caso parliamo di una casistica molto estesa). Non è un caso, in questo senso, che due delle cinque squadre inglesi che hanno votato contro questa misura siano top club (cioè Manchester City e Manchester United), e che il campionato che sembra più vicino a seguire la Premier League su questa strada sia la Ligue1, che se si esclude il PSG è sostanzialmente una selling league (il Monaco, evidentemente molto scioccato dall’ultima finestra di mercato, ha reiterato il suo appoggio a questa misura solo pochi giorni fa). Quella dell’asimmetria competitiva è un fattore di cui, d’altra parte, sentiamo le conseguenze già oggi: pensa a quanto ormai influisca sul nostro calcio il fatto che la sessione invernale del campionato cinese finisca circa un mese dopo rispetto a quelle dei principali campionati europei.

 

Ho fatto questa lunga introduzione per farti capire come questi temi, soprattutto in tempi di globalizzazione, siano solo in apparenza semplici, e si inseriscono in un contesto in cui gli attori sono tanti e con obiettivi molto diversi. Prendiamo il caso del campionato italiano (finalmente, dirai tu). La Serie A inizia con circa 10-15 giorni di ritardo rispetto alla Premier League e alla Ligue 1, quasi a ridosso della chiusura del mercato estivo, e quindi risente molto meno di quel problema di “integrità della competizione” di cui parla Scudamore. Quali obiettivi dovrebbe porsi quindi con una misura simile? Quali problemi eliminerebbe e quali invece nascerebbero in caso di asimmetria competitiva con gli altri campionati europei?

 

Se la Serie A adottasse il primo agosto come data di chiusura del mercato estivo, ma non la Bundesliga e la Liga, penseresti ancora che una proposta del genere sia ragionevole? Per dire: se l’Atalanta accettasse un’offerta irrinunciabile del Borussia Dortmund per Gomez il 29 agosto e avesse solo prestiti secchi e gratuiti per sostituirlo la riterresti ancora una buona idea? Mi dispiace rispondere alla tua domanda con altre domande, Paolo. Ma purtroppo o per fortuna, il mondo contemporaneo, incluso il calcio, ci pone di fronte a una complessità che non possiamo tagliare con l’accetta, soprattutto da soli.

 

 

Tags : calciomercatola posta del cuorepremier league

Dario Saltari nasce a Frascati nel 1989. Laureato in Relazioni Internazionali, scrive storie di finzione su eventi realmente accaduti per passione e storie vere su eventi di finzione per lavoro.

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