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Guida alla Premier League 2018/19
10 ago 2018
13 domande sulla nuova stagione del campionato inglese.
(articolo)
39 min
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1. Tre anni fa la PL ha iniziato a importare i migliori tecnici al mondo. Come è cambiata la situazione rispetto a quando, due anni fa, scrivevamo dei suoi problemi?

Daniele Manusia

Quando abbiamo scritto quel pezzo la Premier League era già il campionato più ricco del mondo, con i giocatori migliori del mondo e alcuni dei migliori allenatori. Ma la nostra non era un’opinione così controcorrente: in molti sottolineavano come in Europa le squadre inglesi ottenessero risultati mediocri e il fatto che il campionato lo stesse vincendo il Leicester di Ranieri, con un gioco semplice semplice, di per sé mostrava la fragilità dell’idea di calcio britannica. Nel frattempo qualcosa è cambiato ma difficilmente si può dire che la Premier League abbia cambiato faccia. O, come si dice di questi tempi, abbia fatto rebranding.

Due anni fa il Manchester United ha vinto l’Europa League - con Mourinho che ha dovuto paradossalmente difendere la prestazione in finale contro l’Ajax - mentre City e Arsenal hanno subito brutte batoste in Champions League: la squadra di Guardiola si è fatta rimontare il 5-3 dell’andata dal Monaco perdendo 3-1 al ritorno, quella di Wenger ha addirittura preso 10 gol dal Bayern di Monaco. E il campionato l’ha vinto Conte al primo anno in Inghilterra, con un gioco ancora una volta speculativo.

La scorsa stagione, invece, tutte e cinque le squadre inglesi sono arrivate agli ottavi di Champions League e sembrava che qualcosa stesse cambiando. Il City di Guardiola ha dominato la Premier con un gioco di possesso offensivo, ma è uscito ai quarti contro il Liverpool di Klopp che era una sublimazione dell’intensità e del gioco diretto. Chelsea e Tottenham sono usciti agli ottavi contro Barcellona e Juve, lo United addirittura contro il Siviglia. L’Arsenal è uscito in semifinale di Europa League e il Liverpool si è arreso davanti al Real Madrid in finale di Champions League.

Oggi il brand del calcio inglese è sempre basato sul proprio primato economico e su un numero abbastanza consistente di giocatori eccellenti, naturalmente in costante aumento. Come unica strategia evolutiva c’è l’importazione di allenatori stranieri, che ha avuto conseguenze anche a livello federale, con la definizione di un “DNA inglese” piuttosto innovativo - costruzione dal basso, gioco di possesso e offensivo - comune a tutte le nazionali giovanili e che ha influenzato la Nazionale di Southgate, in cui c’era anche un po’ di Conte, Guardiola e Pochettino.

Insomma, il campionato inglese si evolve lentamente ma si evolve. E per quanto ogni sessione di mercato sia frenetica e ogni nuova stagione contenga potenziali sorprese il problema di fondo resta sempre lo stesso: come si può conciliare l’intensità e il gusto per giocatori grossi e potenti - che è un po’ frutto della cultura atletica inglese, un po’ dell’evoluzione professionale dei calciatori - con l’esigenza di giocare un calcio tecnico e offensivo, che presuppone la capacità di avere un minimo di controllo sul pallone?

La Premier League sta cercando la risposta internamente ai propri dogmi e anche Guardiola ha dovuto adattarsi per vincere. L’influenza è reciproca e se Sarri, Emery, Nuno Espirito Santo - e Bielsa in Championship - porteranno ulteriori modifiche a come si pensa il calcio in Inghilterra, anche loro dovranno cercare soluzioni nuove e scendere a compromessi. L’arrivo di giocatori capaci di resistere al pressing come Jorginho, Torreira, Fabinho, Joao Moutinho, Seri; di portieri buoni con i piedi pagati carissimo come Alisson e Kepa; di giocatori a loro agio nei ritmi ad alta intensità ma che mantengono comunque il controllo come Naby Keita, Kovacic, Felipe Anderson, sembra confermare l’impressione che la Premier League abbia imparato la lezione del resto d’Europa, del calcio “continentale” (aspettando di vedere gli effetti della Brexit).

Con calma, e con molti soldi, forse anche in Inghilterra si sta andando verso un calcio con più di una velocità, in cui si costruisce dal basso e si organizza la fase offensiva e quella del recupero immediato del pallone. L’unico dubbio riguarda la pazienza di pubblico e dirigenza nei confronti di quelle proposte di gioco che richiedono più tempo. A Sarri, per dire, stanno già dicendo che vuole trasformare il Chelsea in un nuovo Arsenal (e cioè la squadra bella che non ottiene risultati, una storia già sentita).

Emanuele Atturo

Nel pezzo di due anni fa notavo la discrepanza tra l’immagine esteriore della Premier League - ricca, levigata, brillante - e la qualità delle partite - frenetiche, noiose, raffazzonate. «La Premier League somiglia a quei film che bisogna vedere per tenersi aggiornati, ma che non per forza ci appassionano e che non sempre riusciamo a guardare fino alla fine. Ciò nonostante non ne possiamo che riconoscere l’importanza culturale». La bellezza della cornice serviva a mascherare la povertà del quadro.

È incredibile quanto sia cambiata la situazione da quando nel bel vestito della Premier sono entrati i migliori allenatori del mondo. Con l’arrivo di Klopp, Guardiola, Conte e Pochettino la Premier League non si è messa solo all’avanguardia tattica, ma si è anche preoccupata di offrire uno spettacolo calcistico all’altezza della propria cornice. La Premier ha mantenuto le proprie caratteristiche identitarie: rimane un campionato dai ritmi frenetici, dove la dimensione fisica è ancora più importante di quella tecnica e tattica, ma ora esiste una biodiversità e soprattutto una grande complessità. Anche le squadre estremamente fisiche come il Liverpool per esprimersi ad alti livelli hanno dovuto accompagnare l’agonismo a una struttura tattica sofisticata.

La conseguenza più diretta è che abbiamo visto finalmente un quadro all’altezza della cornice, con tante belle partite. Liverpool-Manchester City, finita 4 a 3 per i Reds che è stata una battaglia di pressing e seconde palle; la rimonta del Manchester UTD per 3 a 2 sul City, che ha visto una tensione mentale affilata fino al novantesimo; ma anche molte partite del Burnley reattivo di Sean Dyche, come il 3 a 2 inflitto al Chelsea di Conte.

Come dimostra l’arrivo di Sarri, o quello di Nuno Espirito Santo, le squadre di Premier ora sembrano interessate ad avere tecnici con un’identità di gioco proattiva e potenzialmente spettacolare. L’estetica sembra persino più importante dei risultati, in una certa misura. Come ha sottolineato Michael Cox in questo pezzo su ESPN, c’è un ragionamento di marketing alla base: la disperata ricerca del miglioramento di immagine da parte dei club, per conquistare un mercato ormai globale, è arrivata a condizionare la dimensione sportiva.

La conseguenza per la Premier League è che ora il prodotto venduto sembra finalmente all’altezza del suo impacchettamento e per i tifosi, banalmente, è diventato più interessante guardare una partita.

Forse la partita più divertente dello scorso campionato.

2. Il Manchester City è la squadra più forte d’Inghilterra?

Daniele Manusia

Ogni sessione di mercato promette rivoluzioni. Ma forse siamo noi a dare troppa importanza alle novità in quanto tali. Il City quest’anno è stata solo la nona squadra a spendere di più nel mercato estivo, investendo praticamente nel solo Mahrez. Il Manchester United, secondo lo scorso anno, ha speso meno di Fulham, West Ham ed Everton. Il Tottenham, arrivato terzo, non ha comprato nessuno. Solo il Liverpool tra le prime sei ha speso molto - ha speso più di tutti, cioè - e sembra effettivamente aver provato a colmare la distanza con la squadra di Guardiola. Sulla carta il Manchester City resta la squadra da battere e solo Klopp - che lo ha eliminato “bene” in Champions League - sembra intenzionato a sparigliare le carte in cima alla classifica.

Guardiola quest’anno è chiamato per forza di cose a fare qualcosa di più dello scorso ma non può sottovalutare la competizione interna, perché il suo stile di gioco resta un azzardo in Premier League e richiede massima attenzione ai propri giocatori. La passata stagione il City ha avuto un buco lungo tre partite - le due con il Liverpool in Champions e la sconfitta nel derby con lo United - in cui ha mostrato i limiti di una squadra che non può permettersi nessun calo di concentrazione o di forma. Nelle amichevoli estive e nel Community Shield Guardiola ha confermato una difesa asimmetrica in fase di impostazione, con Walker a destra che resta più basso e Mendy sulla linea del centrocampo, l’intenzione di costruire dalla difesa e far salire molti giocatori nella metà campo avversaria anche contro avversarie al proprio livello. Questo ovviamente significa che i pericoli più grandi li correrà in transizione, e bisogna tenere conto che moltissime squadre, anche non di primissima fascia hanno giocatori autosufficienti, o quasi, in conduzione (per fare un paio di esempi: Sessegnon nel Fulham, Adama Traoré nei Wolves, Bernard e Richarlison nell’Everton).

Ci sono molte squadre attrezzate quest’anno per colpire il City nei suoi punti deboli e non è escluso che perda qualche punto anche in partite sulla carta più facili. Ma una squadra pensata come il City per forza di cose ha dei problemi anche a difendere posizionalmente (perché, semplicemente, non sono abituati a difendere nella propria area) e non giocherà partite facili contro squadre come Chelsea e Tottenham - forse Liverpool - che le contenderanno il pallone. Il City, però, resta la squadra con il gioco più spettacolare ed efficace, con più qualità in mezzo al campo e in attacco, e un equilibrio basato interamente sul possesso del pallone: l’unico aspetto del gioco che una squadra possa davvero controllare. In questo senso forse la vera nemesi di Guardiola non è neanche Mourinho e il suo United, che difende aspettando che l’avversario compia un errore, quanto piuttosto Tottenham e Liverpool, cioè due squadre a proprio agio senza palla, che l’errore lo inducono. Guardiola dovrà confermare di settimana in settimana la supremazia della propria squadra, contro stili di gioco diversi e allenatori che ormai lo conoscono a memoria.

3. Guardiola non ha comprato un regista per sostituire Fernandinho, vi aspettate qualcosa di diverso dal gioco del City e come giudicate il loro mercato?

Francesco Lisanti

Dare un giudizio netto al mercato del City è impossibile perché impossibile era la missione di partenza: migliorare una squadra giovane che ha vinto il campionato a marzo toccando quota 100 punti. Io sono rimasto deluso dalla strategia conservativa, ma solo perché vorrei che tutti i giocatori del mondo fossero allenati da Guardiola.

Ho atteso per tutta l’estate che il mercato gli consegnasse nelle mani un nuovo centrocampista da immergere nei ritmi e nelle geometrie del City come Achille nelle acque dello Stige. Mi aveva incuriosito l’ipotesi Fred, per le analogie con lo stile di gioco e con la parabola di Fernandinho, mi aveva stuzzicato l’ipotesi Kovacic, a cui per qualche motivo mi sento emotivamente legato, e mi aveva emozionato l’ipotesi Jorginho, per l’occasione più unica che rara di vedere un giocatore della Nazionale allenato da Guardiola.

Invece Chelsea e United hanno anticipato le mosse del City, che si è accontentato del solo Mahrez. Guardiola però si è già detto sicuro di poter colmare il “vuoto” nel ruolo di vertice alto del rombo di prima costruzione: «Abbiamo Fernandinho e Gündogan che possono giocare in quella posizione, c’è Zinchenko, c’è anche Fabian Delph». Alla fine del mercato ha poi aggiunto di ritenere Stones pronto a ricoprire il ruolo, sebbene non abbia mai giocato lì e avrebbe bisogno di tempo per impararlo.

Durante il precampionato ha invece utilizzato moltissimo il 18enne Claudio Gomes, soffiato all’Academy del PSG, che ai ritmi della Premier è tutto da verificare, ma è già sorprendente per la capacità di proteggere il pallone, orientare il primo controllo e trovare gli uomini tra le linee (so good, so good, per usare le parole di Guardiola). Mentre le rivali spendono soldi e tempo per imitare i segreti del successo del City, il progetto tattico di Guardiola ha già gettato le basi per il futuro.

Gomes è entrato anche nell’ultimo secondo di Community Shield, inaugurando la media di 1 trofeo vinto ogni secondo giocato tra i professionisti.

4. Qual è il miglior acquisto della Premier League quest’estate?

Dario Saltari

Frederico Rodrigues de Paula Santos, detto Fred, è stato uno dei giocatori più sorprendenti della scorsa Champions League, apparendo subito come la punta di diamante dell’altrettanto sorprendente Shakhtar Donetsk di Paulo Fonseca. Dopo la fine della stagione sembrava impossibile che potesse rimanere un altro anno ad invecchiare in Ucraina e infatti durante il Mondiale è passato un po’ a sorpresa al Manchester United, dopo un lungo corteggiamento del Manchester City, arricchendo l’incredibile batteria di centrocampisti a disposizione di José Mourinho. L’aspetto più interessante di questo acquisto non sta tanto nella dote di qualità tecnica nella gestione del possesso e nella creazione del gioco che Fred porta con sé, né nell’esplosività fisica sui primi passi che lo rende contemporaneamente un ragno recuperatore di palloni. L’inserimento del giocatore brasiliano, infatti, potrebbe portare a benefici tattici collettivi all’intero Manchester United, a partire ovviamente del centrocampo. È curioso notare, a questo proposito, che, dal momento in cui è arrivato, nelle amichevoli giocate questa estate, Fred sia partito quasi sempre da titolare in un 4-3-3 nel ruolo di mezzala. Il calcio di luglio e agosto finisce spesso per essere smentito da quello dei mesi successivi, è vero, ma c’è l’impressione che Fred possa dare a Mourinho la possibilità di rovesciare il triangolo di centrocampo, dato che la scorsa stagione ha quasi sempre giocato con il 4-2-3-1, con benefici a cascata per tutto il resto della squadra. Con Fred a fare da mezzala (o, perché no, regista, come di fatto faceva già allo Shakhtar), infatti, Mourinho potrebbe finalmente avanzare il raggio d’azione di Paul Pogba, in questi anni relegato a fare il mediano di fatica di una squadra che aveva abdicato a un qualunque controllo sul gioco che non fosse quello mentale. L’avanzamento di Pogba, le sue connessioni con Fred e Matic prima per far risalire il pallone e poi per entrare in area senza passare per i cross, potrebbero essere finalmente la chiave di volta di un Manchester United finalmente associativo, o quanto meno creativo, nella zona nevralgica del gioco. Un mix unico tra sensibilità tecnica e fisicità, persino nel panorama del calcio europeo d’élite.

Daniele V. Morrone

Prima o poi doveva succedere che il mercato dei portieri esplodesse. Quattro anni fa il Barça ha speso 12 milioni per acquistare uno dei giovani portieri più promettenti al mondo, cioè Ter Stegen. Quest’anno nell’arco di poche settimane quest’anno prima il Liverpool e poi il Chelsea hanno battuto il record storico per un portiere per prenderne uno dello stesso livello di Ter Stegen. I 62 milioni spesi dal Liverpool per Alisson (a cui si aggiungono i 10 mln di bonus futuri) però sono un prezzo totalmente accessibile alle casse del Liverpool. I Reds hanno acquistato uno dei migliori interpreti al mondo, proprio nel ruolo più debole della rosa. Alisson è un portiere poi dalle caratteristiche perfette per il gioco del Liverpool, per la sua capacità balistica che con quei rilanci di cui è dotato può trovare il giocatore che vuole all’altezza che vuole sul campo. Difficilmente lo vedremo fare gli errori di concentrazione di Karius e sulle 38 partite questo significa sicuramente qualche punto in più in classifica, magare il numero decisivo per lottare per la Premier fino alla fine.

Emanuele Atturo

Lo scorso anno eravamo tutti su di giri nell’immaginare Mohamed Salah in un attacco insieme a Sadio Mané e a Roberto Firmino, e i risultati sono andati ben oltre le aspettative. Anche in questa stagione il Liverpool ha comprato un giocatore che si sposa alla perfezione col sistema di gioco della squadra, e cioè Naby Keita, un centrocampista che sembra affilare la propria forza man mano che i ritmi di gioco si alzano. Fenomenale nel correre dei corridoi verticali, nel mangiarsi gli spazi di cui la Premier League è sempre generosa. Il Liverpool, insomma, continua a comprare i migliori interpreti del proprio calcio a disposizione nel menù mondiale, e ogni anno ci offre la possibilità di essere eccitati.

Daniele Manusia

Ryad Mahrez era l’unico giocatore in grado di migliorare il gioco offensivo del Manchester City di Guardiola. Può venire verso il centro e ricevere tra le linee così come restare largo e minacciare l’uno contro uno con il terzino opposto, può aiutare in fase di rifinitura e in transizione può aggiungere quel pizzico di “effetto Salah” che tutti invidiano al Liverpool. Se tutto andrà per il verso giusto potremmo ritrovarci a parlarne come uno tra i più forti al mondo.

5. Cosa vi aspettate da questo terzo anno di Mourinho?

Francesco Lisanti

Di fronte alle tabelle di Wikipedia, il discorso sul football heritage non fa una grinza: i 66 punti raccolti dallo United nell’ultimo anno di Van Gaal sono diventati 69 e poi 81, e nel frattempo la società ha messo in bacheca tre trofei che fanno da argine ai malumori di tifosi e opinionisti. Mourinho ha sempre usato le vittorie come scudo dalle critiche, e ha continuato a farlo anche quando ha smesso di vincere: con il discorso sull’eredità calcistica ha virtualmente fissato l’asticella per questa stagione sopra il secondo posto e gli ottavi di Champions raggiunti nella passata.

In realtà la sensazione che gli ultimi due anni allo United siano stati in assoluto deludenti non deriva tanto dai risultati sportivi, né dall’identità tattica intorno a cui è stata plasmata la rosa. Piuttosto, dall’impressione che Mourinho abbia disperso il vantaggio competitivo che lo rendeva un manager speciale. In primo luogo la capacità di cementare il gruppo intorno a un obiettivo e di trasmettergli una granitica solidità mentale (N’Zonzi, Vázquez e Banega hanno palleggiato per 90 minuti all’Old Trafford di fronte ad una squadra inerme), in secondo luogo la cura maniacale di tutti quegli aspetti del gioco in grado di determinare l’esito di una partita (l’individuazione delle zone di influenza, le assegnazioni in marcatura, la creazione di accoppiamenti favorevoli).

Nella recente finale di FA Cup, il Chelsea è entrato in campo con la stessa strategia di gioco dello United ma con le idee più chiare. L'azione che ha deciso la partita è esemplare del terreno perso da Mourinho rispetto alla fluidità del calcio contemporaneo: il centrocampo è rimasto fermo sulla transizione del Chelsea, Fabregas ha potuto lanciare senza pressione, e sul ribaltamento di fronte Phil Jones si è ritrovato solo contro Hazard, finendo per stenderlo in area di rigore. A fine partita, con un tono che sarà suonato particolarmente beffardo alle orecchie del suo rivale, Conte si è definito «un vincitore seriale», concedendosi di firmare in bella grafia il finale che Mourinho aveva scritto per sé.

Quest’anno lo United deve innanzitutto dimostrare di essere una squadra più sicura delle sue idee, e di avere un centrocampo funzionale a metterle in pratica. Ai Mondiali, Pogba ha occupato con sorprendente naturalezza la fascia mediana davanti alla difesa. Dal suo infinito repertorio di colpi e movimenti ha tirato fuori tutto quello che è richiesto a un volante a questi livelli: tamponare gli inserimenti avversari fin dentro l’area di rigore, alzare la testa e lanciare in profondità gli attaccanti, accompagnare a sua volta l’azione offensiva per arrivare sempre primo sulle seconde palle.

L’acquisto di Fred, “sottratto” alla lista della spesa del City, aggiunge un’altra opzione con tecnica e visione in verticale che possa condividere con Pogba il peso delle responsabilità creative. Nello scenario migliore possibile, il brasiliano convince Mourinho a smettere di usare uno slot a centrocampo al solo scopo di eliminare dalla partita un trequartista avversario (una direttiva che ha già rovinato lo sviluppo di Herrera). In fondo, gli attaccanti che possano correre negli spazi non mancano - persino la telenovela Martial si è risolta con una conferma, stando alle ultime notizie. Questo è l’anno in cui Mourinho deve dimostrare di aver lasciato un’eredità in dote allo United, ma prima dobbiamo capire su quali basi poggia.

6. Liverpool a parte, le squadre di prima fascia non si sono mosse troppo sul mercato e il Tottenham non ha comprato nessuno. Non è che i tantissimi, costosissimi, acquisti degli ultimi anni ha bloccato il mercato?

Francesco Lisanti

Necessaria premessa: con una mossa all’avanguardia sulle abitudini del calcio europeo, la Premier League ha fissato la deadline del mercato in entrata in anticipo sull’inizio del campionato. Solo la Serie A - per troppo tempo rimasta a osservare perplessa le decisioni strategiche delle altre leghe - ha deciso di accodarsi, mentre le squadre spagnole, tedesche e francesi avranno ancora la possibilità di fare acquisti per tutto il mese di agosto.

Secondo il Guardian ci sarebbe soprattutto questo disallineamento alla base delle difficoltà ad acquistare delle squadre inglesi. In effetti, se il mercato in entrata ha registrato pochi colpi di scena, quello in uscita è drammaticamente fermo: esclusi gli svincolati per contratto in scadenza (Can, Wilshere, Touré), e il consueto manipolo di giovani partito in prestito verso le più disparate destinazioni, le uniche cessioni di vaga rilevanza sono state quelle di Maffeo e Blind (rispettivamente valse 9 e 16 milioni).

Non sono finiti i soldi di sponsor e televisioni, dunque (del resto, è la stessa lega in cui una neopromossa può permettersi di spendere 50 milioni per Seri e Mitrovic). Piuttosto, in attesa di quella finestra di venti giorni in cui le inglesi dovranno cedere gli esuberi con scarsissimo potere contrattuale, il mercato vive una situazione di stallo: le grandi inglesi non possono rischiare di ingolfare la rosa, le altre grandi d’Europa attendono pazienti.

Dario Saltari

La motivazione che dà Francesco rappresenta una parte della realtà, quella che spiega la forte contrazione del giro d’affari del mercato della Premier League nonostante un saldo netto quasi invariato (l’anno scorso si è toccata quota -842 milioni di euro; quest’anno siamo intorno ai -835). Quest’anno le squadre inglesi hanno speso e incassato molto di meno con il player trading: una contrazione di quasi il 44% per gli acquisti (1,20 miliardi contro i 2,10 dell’anno scorso) e di circa il 72% per le cessioni (da 1,26 miliardi agli attuali 350 milioni). D’altra parte, era ampiamente prevedibile che l’anticipazione della chiusura del mercato estivo rispetto agli altri principali campionati europei avrebbe potuto portare a degli effetti depressivi.

Secondo me, però, c’è anche una motivazione tecnica, se può essere chiamata in questo modo. Le squadre inglesi più ricche e disposte a spendere il loro incredibile budget, infatti, quest’anno o avevano l’intelaiatura già pronta dall’anno scorso (City e United), e dovevano quindi fare pochi ritocchi; o hanno cambiato allenatore molto tardi (Chelsea), e quindi sono state costrette a ritardare la programmazione del mercato; oppure si sono mosse all’incirca come nel mercato estivo della passata stagione (Liverpool).

In questo senso, il Chelsea mi sembra la conferma più chiara: una volta cambiato allenatore, infatti, ha iniziato a muoversi in maniera molto aggressiva sul mercato com’è solita fare, acquistando Jorginho e Kepa, e spendendo una somma totale di circa 130 milioni di euro.

Anche al di fuori di questi quattro club il pattern mi sembra simile: l’Arsenal, che ha cambiato gestione tecnica dopo 22 anni, si è mosso molto per cambiare pelle alla squadra, anche se spendendo con più oculatezza; l’Everton, che ha messo sulla panchina il promettente Marco Silva, ha acquistato Richarlison e Digne per oltre 60 milioni; il West Ham, che invece ha puntato su Pellegrini, ha speso poco meno di 100 milioni solo in costi dei cartellini.

Insomma, per arrivare a conclusioni più generali bisognerà aspettare ancora qualche anno.

7. Il Liverpool è la squadra che si è mossa di più sul mercato. Può essere il suo anno?

Dario Saltari

Per capire se il Liverpool abbia colmato o meno il gap con il Manchester City, bisogna prima quantificare quanto ampio fosse, operazione che secondo me non è facile. Se è vero che l’anno scorso la squadra di Klopp è probabilmente quella che più ha messo in difficoltà quella di Guardiola, battendola tre volte su quattro tra Premier League e Champions, è anche vero che la distanza a fine anno è stata di 25 punti, e cioè un’enormità.

Penso che questa discrepanza tra il confronto nelle gare secche e il confronto all’interno di un intero campionato sia spiegabile principalmente attraverso la diversa continuità che hanno avuto City e Liverpool contro le squadre di media e bassa classifica. Di quei 25 punti, infatti, ben 17 sono stati persi contro squadre come Watford, Burnley, Newcastle, Swansea, Everton, Stoke City e West Brom (contro cui il Liverpool l’anno scorso non è mai riuscito a vincere, raccogliendo 2 pareggi e una sconfitta tra Premier League e FA Cup).

Il diverso rendimento di Liverpool e City contro le piccole e medie squadre deriva a mio modo di vedere dalla diversa idea di calcio che portano in campo: se la squadra di Guardiola è pensata per eliminare l’imprevedibilità e dominare l’avversario cercando di controllare tutte le possibili variabili, quella di Klopp cerca al contrario di aumentare l’entropia, portandola dalla propria parte per aumentare la propria pericolosità. E se la filosofia dell’allenatore tedesco sembra pagare molto in sfide di 90 o 180 minuti, in cui le squadre devono massimizzare il peso dei singoli episodi, contro squadre chiuse che hanno tutto un campionato davanti invece spesso finisce per essere inefficiente. In questo senso, è interessante notare che in quei 17 punti persi contro le medio-piccole ci sono ben tre 0-0.

Gli acquisti di Alisson, Keita e Fabinho riusciranno a risolvere queste debolezze? Sicuramente l’acquisto del portiere brasiliano, il migliore in Serie A non solo per percentuale di parate su tiri da dentro l’area ma anche per quello che gli inglesi chiamano Keeper Sweepings, aiuterà molto il Liverpool ad essere meno instabile, a far sì che l’entropia prodotta con il pressing e il gegenpressing non gli si rivolti contro. Alisson sarà fondamentale nella gestione del primo possesso e nella copertura dello spazio alle spalle della difesa, che spesso sarà con i piedi sulla linea del centrocampo.

Prevedere la buona riuscita degli investimenti su Keita e Fabinho invece è più difficile, non tanto per il potenziale tecnico, enorme per entrambi, quanto proprio nella loro capacità di aiutare la squadra nel superare i propri limiti. Keita aumenterà se possibile l’intensità fisica in mezzo al campo e la pericolosità in area con i suoi inserimenti, mentre Fabinho è un regista atipico che fa della progressione in verticale uno dei suoi punti di forza. Basterà contro un Burnley chiuso dentro la propria area in un piovoso sabato d’inverno?

Considerando chiuso il mercato del Liverpool, Klopp dovrà più che altro sperare in un ulteriore salto di qualità del suo tridente, che più del resto della squadra dovrà prendersi la responsabilità delle grandi giocate per arrivare dove i meccanismi tattici non possono. Purtroppo per l’allenatore tedesco, migliorare un attacco composto da Firmino, Salah e Mané è un’operazione troppo costosa persino per il Liverpool.

8. Pensate che il Chelsea possa essere competitivo già quest’anno o, come ha detto Sarri, possiamo solo aspettarci belle partite?

Emanuele Mongiardo

Forse il processo di apprendimento per il Chelsea potrebbe essere più veloce del previsto. Ad aiutare Sarri ci sarà il materiale tecnico a disposizione. I sistemi come quelli del tecnico toscano nascono per potenziare la tecnica del singolo e non, come lascerebbe immaginare il presunto dominio del collettivo sull'individuo, per mortificarla. Anzi, il talento straordinario in dote a giocatori come Hazard o Willian gli permette di adattarsi più facilmente e più velocemente alle nuove richieste. In più, parliamo di calciatori in grado di squilibrare lo schieramento avversario e ampliare le potenzialità del collettivo con un controllo orientato o con un dribbling. Se a Napoli era quasi sempre il sistema a moltiplicare la tecnica dei singoli, questa volta il rapporto tra talento e schemi potrebbe essere più equilibrato, con ricadute positive sia sui principi dell'allenatore che sulla crescita dei singoli.

Prendiamo come esempio il centrocampo, il reparto potenzialmente con più margini di crescita. Kovacic (così come in misura minore anche Barkley e Loftus-Cheek) è una mezzala in grado di rompere le linee sia in conduzione, sia con i passaggi. Negli ultimi anni era stato sfruttato da Zidane in maniera più difensiva che associativa. Sarri dovrà risvegliare la sua tecnica, per restituire, assieme all'intelligenza di un giocatore migliorato fisicamente e in fase di non possesso, quell'idea di leggerezza palla al piede che lo accompagnava nelle prime uscite con la maglia dell'Inter. Non dimentichiamo poi Kanté. Il Napoli negli ultimi due anni attuava in maniera quasi perfetta il pressing, che nei suoi momenti migliori ha tolto certezze a squadre come Juvenutus, City o Real Madrid. Per ora l'aggressione alta sembra essere il punto debole del Chelsea di Sarri, sicuramente il dettaglio più difficile su cui lavorare per tempistiche e precisione. Se i “Blues” raggiungessero la stessa efficienza del Napoli, Kanté vedrebbe moltiplicate le proprie qualità di borseggiatore: un pressing alto esercitato all'unisono in stile Napoli, con l'aggiunta del francese, diventerebbe la prima arma offensiva per i londinesi.

Christensen e Pedro, oltre che Jorginho, sembrano invece tagliati su misura per le idee del nuovo allenatore, mentre Morata e Batshuayi, per quanto ancora troppo istintivi, hanno la tecnica per rispondere all'esigenza di palleggio del Chelsea. Sicuramente Sarri ha tra le mani un patrimonio tecnico su cui, potenzialmente, potrebbe non essere così difficile innestare i propri principi.

Daniele Manusia

Faccio l’avvocato del diavolo e lascio parlare il mio scetticismo. Sarri ha una pressione enorme e dal mercato, a parte Jorginho, non è arrivato nessuno che possa migliorare quel Chelsea che già lo scorso anno ha fatto una fatica enorme. In difesa non so quanto si riusciranno a nascondere le lacune individuali con i meccanismi collaudati, e anche in attacco, salvo Hazard, non ci sono giocatori del livello tecnico richiesto da Sarri (almeno in fase di rifinitura). Morata è un animale ed è più tecnico di quello che si dica, ma gioca prevelantemente negli ultimi metri di campo (quando non parte in conduzione palla al piede) e Pedro dovrebbe compiere un salto enorme per diventare un giocatore con un’influenza paragonabile a quella di Hazard. Il rischio è quello di diventare prevedibili, come è capitato anche al Napoli. Secondo me Sarri dovrà inventarsi qualcosa con la rosa a disposizione per far brillare le proprie idee. Ovviamente non solo gli auguro di riuscire ma spero anche di sbagliarmi sulle qualità di alcuni giocatori. Se Sarri facesse salire di livello una squadra di questo tipo mostrerebbe ancora una volta che il valore pedagogico di un allenatore non può essere trascurato neanche ad altissimo livello.

9. L’Arsenal è al primo anno post-Wenger. Cosa dobbiamo aspettarci dai Gunners di Unai Emery?

Daniele V. Morrone

L’impronta lasciata da Wenger in questi anni è stata talmente profonda che l’Arsenal sta ripensando il suo posto nel mondo e lo sta facendo su tutte le latitudini, oltre la semplice presenza di Unai Emery, preso in estate per essere solo allenatore di campo e non più manager totale come Wenger. Raul Sanllehi (ex Barça) e Sven Mislintat (ex Dortmund) con ruoli diversi hanno collaborato con Gazidis per individuare la strategia di mercato. Hanno agito per colmare le due lacune con nomi su cui il capo osservatori, Mislintat, è pronto a scommettere per rendimento immediato, considerando Emery in grado di modellare il gruppo a disposizione secondo le sue idee. Le due lacune erano il ruolo di regista (dov’è arrivato Torreira per 30 mln e la promessa Guendouzi per 8 mln) e la linea difensiva (dove sono arrivati Leno, Sokratis e Lichtsteiner): è stata spesa una cifra attorno ai 70 mln. Ovvero praticamente il budget pensato inizialmente senza le cessioni.

Con le lacune evidenti quanto meno affrontate e il potenziale offensivo enorme di una squadra che può schierare contemporaneamente Ramsey, Özil, Mkhitaryan, Aubameyang e Lacazette, il compito di Emery è quello di portare la barca in porto. Dotare la squadra di un sistema più sofisticato e all’avanguardia di quello dell’ultimo Wenger: nelle amichevoli estive ad esempio si è vista molta più attenzione ai meccanismi dall’uscita della palla dalla difesa e della transizione difensiva. Vedremo se effettivamente la mediocrità dorata raggiunta sotto Wenger possa essere superata con questi piccoli aggiustamenti. Va detto però che Emery è un allenatore di campo, in grado di lavorare molto giorno per giorno, a patto che gli venga concessa questa libertà. Ora che non dovrà più avere a che fare con l’ego e le aspettative del PSG potrà dare libero sfogo alla sua vena ossessiva nella preparazione tattica, proprio quello che gli chiede l’Arsenal.

È lecito aspettarsi una stagione di buon livello, con un Arsenal che rimane nella parte alta della classifica togliendosi le sue soddisfazioni in alcune partite con le altre big e che non cade in troppi tonfi a sorpresa con le piccole come la scorsa stagione. L’aspettativa, insomma, è quella di lottare per un posto in Champions League fino alla fine. Difficilmente ci sarà un grande balzo in avanti in grado di colmare il gap con il Manchester City, ma questa stagione può essere vista come un punto di partenza per un nuovo progetto sportivo al passo con i tempi. Quello che alla fine chiedeva da anni la maggioranza dei tifosi.

10. Il Tottenham è rimasto fermo sul mercato, puntando di nuovo sullo stesso gruppo di talenti. Sarà un problema o la continuità rimane la migliore strategia?

Francesco Lisanti

«La cosa più importante sarà identificare i nostri obiettivi e fare in modo che il 3 luglio, quando inizierà il nostro pre-campionato, loro siano qui con noi. Se non lo faremo, sarà difficile per loro aiutare la squadra, e dopo, durante la stagione, finiremo per pagare questo ritardo». Rilette oggi, le parole pronunciate da Pochettino a dicembre dello scorso anno assumono una vena di malinconia e delusione, come del resto molte delle foto che ritraggono Pochettino.

Eppure, soltanto pochi giorni fa, lo stesso tecnico argentino ha detto che è arrivato il momento del salto di qualità, e che, al contrario di quanto spesso gli rinfacciano, è rimasto al Tottenham per sollevare trofei. In fondo già l’anno scorso il Tottenham si era trovato in una situazione simile, quando era riuscito a comprare Sánchez, Aurier e Llorente soltanto nell’ultima settimana di mercato (proprio quello che Pochettino avrebbe volentieri evitato quest’anno). Allora il presidente Levy aveva risposto puntualizzando che «alcune delle operazioni portate avanti ultimamente sono proprio impossibili da sostenere, qualcuno sta spendendo 200 milioni più di quanto ricava, e prima o poi dovrà farci i conti».

In questa dialettica interna si inseriscono anche i costi di costruzione del nuovo stadio, inizialmente stimati intorno ai 450 milioni di euro, che nel frattempo hanno ampiamente sforato il miliardo (secondo Pochettino c’entra anche la Brexit). Ai tifosi che temevano che un investimento simile potesse frenare il percorso di crescita del club, un po’ come è successo ai rivali dell’Arsenal negli ultimi dieci anni, il direttore esecutivo Cullen ha risposto «non necessariamente», aggiungendo che le difficoltà ad acquistare del Tottenham non sono diverse da quelle che stanno incontrando gli altri club inglesi.

A differenza dell’Arsenal di Wenger, costretto a rinnovarsi dopo la fine del ciclo degli Invincibili, questo Tottenham parte da una situazione di partenza decisamente migliore. Il nucleo attuale è lo stesso che ha portato gli Spurs tra le prime quattro nelle ultime tre stagioni, e che nell’ultima Champions ha chiuso il girone sopra il Real Madrid, giocando poi gli ottavi alla pari con la Juventus. I sei giocatori più rappresentativi (Kane, Alli, Eriksen, Son, Dier, Sánchez) hanno un’età compresa tra i 22 e i 26 anni, e guardando al resto della rosa spiccano le eccellenti prestazioni ai Mondiali di Lloris, Alderweireld e Trippier. Il salto di qualità s’ha da fare, con o senza nuovi acquisti.

11. Tra la squadre di medio-bassa fascia chi si è mossa meglio sul mercato?

Daniele V. Morrone

Voglio sottolineare il mercato coraggioso del Fulham nell’anno del suo ritorno in Premier League. Ha confermato in blocco la squadra della promozione, allenatore compreso (con tanto quindi di conferma del wonderboy Sessegnon e dell’acquisto della punta Mitrovic per 20 mln la scorsa stagione in prestito), ma poi ha immesso nel mercato l’enorme quantità di soldi guadagnati proprio dalla promozione per aggiungere giocatori con già esperienza alle spalle ma ancora in fase ascendente di carriera. L’obiettivo era alzare il livello dell’undici titolare. Il Fulham ha preso sia profili per potenziare l’idea di gioco della scorsa stagione in Championship, quella di essere proattivi con il pallone, che alternative nel caso in cui dovesse servire un calcio diverso per sopravvivere: ad esempio sono arrivati quindi sia il regista Seri per 30 milioni dal Nizza (uno che era stato cercato dal Barcellona), che il centrocampista Anguissa dall’OM per 33. Due centrali bravi nel passaggio lungo come Mawson dallo Swansea e Chambers in prestito dall’Arsenal e uno più fisico come Fosu-Mensah, in prestito dallo United. Un giocatore offensivo con esperienza in Premier League come Schürrle e la scommessa Vietto. Sono stati spesi tantissimi soldi, i 113 mln netti sono il budget di una squadra che punta all’Europa ed è un approccio rischioso, ma da apprezzare proprio per questo.

Fabrizio Gabrielli

Paul Winstanley è a capo del settore recruitment & analysis del Brighton Hove & Albion da quattro anni, e oltre ad essere ossessionato dal suo lavoro, come dice nella sua bio di Twitter, sa farlo discretamente bene. La scorsa stagione, con un budget di 40 milioni di sterline, ha individuato per i Seagulls otto giocatori, tutti molto incisivi (Gross è stato il miglior assistman al di fuori delle squadre qualificate in Europa, e Jurgen Locadia un buon investimento di gennaio), più che colpi a effetto elementi funzionali a una progettualità a lungo raggio, perfetti per giocare nel 4-4-2 del tecnico Hughton.

Quest’anno, seguendo la stessa linea strategica, ha portato sulla costa del Sussex un centrale messosi in vista al Mondiale come Balogun, un centrale di centrocampo dinamico come Bissouma, una punta di movimento come Florin Andone (7 gol in 16 presenze col Depor la scorsa stagione), una scommessa interessante come il sudafricano Percy Tau e soprattutto Alireza Jahanbakhsh, l’iraniano capocannoniere dell’Eredivisie acquistato per poco meno di 20 milioni di sterline.

Il presidente del BHA, Tony Bloom, è un giocatore di poker, che ha costruito un impero sulle sue società di scommesse: eppure il mercato della squadra che presiede è tutto l’opposto, e forse - per orientamento strategico - uno dei più interessanti della Premier League.

Daniele Manusia

Va tenuto d’occhio l’Everton, che dopo aver speso una fortuna per Richarlison ha fatto arrivare all’ultimo giorno di mercato Yerry Mina, André Gomes e soprattutto Bernard. Può sembrare una squadra fatta a caso e all’ultimo momento, ma in panchina c’è Marco Silva, che dopo le 24 partite deludenti al Watford lo scorso anno - influenzate dalle voci che già lo davano all’Everton - dovrà dare una struttura difensiva chiara e solida a una squadra che in transizione potrà fare a quasi tutte le altre squadre del campionato.

12. Ci dobbiamo aspettare un ritorno della classe media o di nuovo una classifica spezzata tra le prime 6 e le altre?

Emanuele Atturo

In Premier League sono prima arrivati i soldi, poi le idee. Fino a pochi anni fa denunciavamo come l’abbondanza di soldi avesse impigrito i club di Premier: i migliori giocatori erano tutti lì a portata di mano, bastava pagarli. La ricchezza aveva portato l’idea, falsa, che non ci fosse bisogno di lavorare con un progetto coerente dal punto di vista tecnico, tattico e finanziario.

Oggi la situazione è migliorata e quasi tutti i club di Premier League possiedono un progetto sportivo-economico di ampio respiro. Nel mercato attuale le squadre che hanno speso di più sono una neopromossa come il Fulham (110 milioni di bilancio netto tra entrate e uscite), un club che cerca il consolidamento in Premier come il Brighton (60 milioni di bilancio netto) e due decadute della classe media come Southampton (il cui progetto rimane precario, va detto) e West Ham.

Il caso del West Ham è paradigmatico. Dopo un’annata disastrosa che ha visto alternarsi Bilic e Moyes, sulla panchina è arrivato Manuel Pellegrini, forse l’allenatore dal curriculum migliore della storia del club, e con lui è anche aumentata l’attenzione a prendere dei giocatori coerenti con il suo gioco. Yarmolenko e Felipe Anderson potrebbero rivelarsi due flop, ma almeno sulla carta fanno del West Ham la squadra più talentuosa fuori dalle prime sei.

Oltre alle squadre citate c’è poi il peculiare caso del Wolverhampton portoghese, che lo scorso anno ha distrutto la Championship con Nuno Espirito Santo in panchina e Ruben Neves e Diogo Jota in campo. Forse il primo caso in cui un procuratore diventa (ufficiosamente) direttore sportivo di una squadra (parliamo di Jorge Mendes, ovviamente). Sarebbe stato semplice aspettarsi una distopia finanziaria, e invece i “Wolves” si sono dimostrati un progetto interessante e sportivamente solido. Quest’anno sono arrivati anche Rui Patricio e Joao Moutinho a offrire un po’ di esperienza a una squadra che dovrà comunque assorbire il salto di categoria.

Insomma, mentre le prime sei della classe non si sono mosse troppo sul mercato, un po’ per consolidare il proprio progetto e un po’ per una specie di saturazione del loro sviluppo, la seconda parte del tabellone ha fatto di tutto per non ripetere il disastro dello scorso anno. Tutto insomma lascia immaginare il ritorno della classe media in Premier League.

13. Quale acquisto passato sotto traccia dobbiamo tenere d’occhio?

Emanuele Atturo

Raramente ormai le squadre di Premier League acquistano dei talenti fuori dai radar. La disponibilità economica spinge ad arrivare sui prodotti già finiti, o a strapagare quelli dal potenziale conclamato. Per questo è particolarmente interessante l’acquisto dell’Arsenal di Matteo Guendouzi, centrocampista arrivato dal Lorient, una squadra che lo scorso anno galleggiava nella mezza classifica della Ligue 2 francese, per una cifra inferiore ai 10 milioni di euro. Nonostante ciò, nelle amichevoli pre-campionato Guendouzi è stato sempre titolare del centrocampo a 2 di Emery.

Se gli togliamo i capelli alla David Luiz, non rimane molto del fisico di Guendouzi, che non sembra prontissimo per la Premier a livello fisico. In compenso usa già bene il corpo ed è deciso nei contrasti. È un centrocampista ordinato e razionale, che ha nella semplicità del gioco il suo punto di forza. È bravo a leggere lo scaglionamento dei compagni e a trovare corridoi di passaggi diagonali interessanti. A volte sembra troppo conservativo, ma sembra più un problema di sicurezza nei propri mezzi. Quest’anno dovrebbe essere la riserva di Torreira, con cui condivide lo stile di gioco, ma potrebbe anche giocare insieme a lui, perché no. In una Premier che ha importato registi cerebrali come Jorginho e Torreira sarà - tra le altre cose - interessante vedere anche come se la caverà Guendouzi.

Fabrizio Gabrielli

Sono un po’ in fissa con il mercato del Brighton, che mi pare un po’ una pecora nera in quanto a modalità e conformazione dei suoi acquisti nel panorama della Premier, perciò indico due giocatori dei “Seagulls”. Uno è Alireza Jahanbakhsh, che era già nel mirino Premier visto che poteva finire al Leicester o al West Ham, e invece ha scelto secondo me un contesto a lui più congeniale: la sua capacità di partire dall’esterno e tagliare verso l’area è esattamente il tipo di movimento che Hughton chiede alle sue punte. Credo possa esaltarsi anche fuori dall’Olanda e di fronte a difese più performanti di quelle dell’Eredivisie. Ma il colpo migliore penso finisca per essere, in prospettiva, quello di Percy Tau, che riporta il calcio sudafricano in Premier. Non è detto che quest’anno non vada in prestito (ha alcuni problemi con il permesso di lavoro), ma i suoi mulinelli e il suo gioco intenso, quasi frenetico, sembrano fatti per spezzare le difese lunghe della Premier.

Daniele Manusia:

Penso che Felipe Anderson abbia tutte le qualità per brillare anche in Premier League e magari alla fine del prossimo anno ci sembrerà che il West Ham sia troppo poco ambizioso per lui. Dal punto di vista fisico probabilmente avremo la percezione di un giocatore “più normale” di quello visto in Serie A, dove a volte sembrava sceso da una navicella spaziale, ma tecnicamente non ci sono molti giocatori al suo livello. Staremo e vedere, dipenderà anche dal West Ham che ha fatto un mercato abbastanza pazzo (Wilshere, Yarmolenko, Lucas Perez, Chicharito, Arnautovic, tutti nella stessa squadra? Perché no) ma anche dallo spirito con cui Felipe Anderson affronterà questa nuova occasione. La Premier League può essere un ottimo trampolino di lancio, ma non guarda in faccia né aspetta nessuno.

Dario Saltari

Dopo un’estate passata tra la corte della Roma e del Barcellona possiamo ancora definire Jean Michaël Seri come un acquisto sotto traccia? Forse sì, visto che ha finito per accasarsi ad una neopromossa come il Fulham per la cifra relativamente contenuta (almeno per gli standard della Premier League) di 30 milioni di euro, senza fare troppo rumore. Seppur nella stagione scialba del Nizza (che ha concluso il campionato ottavo, a 23 punti dal quarto posto), Seri si è confermato come uno dei principali leader tecnici della squadra con uno score di 2 gol e 8 assist in tutte le competizioni, mantenendo le solite ottime statistiche in quanto creazione di gioco e gestione del possesso (2.2 passaggi chiave per 90 minuti, 91% di passaggi completati). Certo, bisognerà vedere come si adatterà il suo stile compassato e riflessivo all’intensità adrenalinica della Premier League, e soprattutto se la sua qualità nel gestire il pallone riuscirà a splendere in una squadra che per forza di cose dovrà convivere con la privazione del possesso. Ma non è detto che il Fulham non possa azzeccare questa scommessa: molto passerà dalle capacità dell’allenatore serbo Slavisa Jokanovic di trovare un modo di farlo brillare anche in queste condizioni.

Daniele V. Morrone

Max Meyer ha 22 anni e la scorsa stagione è stato arretrato dalla trequarti a davanti alla difesa. Ad avere l’intuizione è stato Domenico Tedesco, tecnico dello Schalke 04. A quel punto Meyer è esploso come uno dei migliori interpreti del ruolo in Bundesliga. Parliamo di un giocatore molto tecnico, preciso nei passaggi e in grado di resistere alla pressione grazie all’uso del corpo e al controllo del pallone. Un giocatore che potrebbe giocare anche in Champions League, insomma. Meyer ha deciso di non rinnovare il contratto in Germania e si è liberato a 0. Poteva andare a giocare ovunque, ma ha scelto i quasi 10 milioni a stagione del Crystal Palace, che quindi si è assicurato una gemma ben al disopra del valore di una squadra da mezza classifica. Il rischio è che il mega contratto e le poche prospettive di classifica impigriscano Meyer, come successo a suo tempo a Cabaye proprio al Crystal Palace, ma dovesse affrontare l’avventura trovando gli stimoli giusti e pensandola magari come step intermedio per una grande della Premier allora potremmo parlare di uno dei migliori acquisti del campionato.

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