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Fabio Severo

Guerra di posizione

Djokovic ha dominato l'Australian Open ed è il principale favorito per i restanti Slam della…

 

Nell’ultimo Slam della scorsa stagione, l’US Open, due quasi outsider hanno eliminato in semifinale le prime due teste di serie (Kei Nishikori che batte Novak Djokovic, Marin Cilic che batte Roger Federer); nel primo della stagione successiva, l’Australian Open, a giocare per il titolo sono stati due giocatori, Djokovic e Andy Murray, che a Melbourne hanno disputato uno contro l’altro tre delle ultime quattro finali. Le ha vinte tutte Djokovic, che a inizio 2015 rimane numero uno a enorme distanza dal resto dei contendenti. Tutti vogliono parlare di cambio della guardia, ma da lunedì i primi quattro sono di nuovo Djokovic, Federer, Rafael Nadal, Murray. Come si fa a immaginare il futuro se davanti ci sono sempre gli stessi?

 

La finale

 

“Una situazione nella quale due o più persone (solitamente tre) si tengono sotto tiro a vicenda con delle armi, in modo che nessuno possa attaccare un avversario senza essere a propria volta attaccato”. Così viene definito lo stallo alla messicana, il mexican standoff che fa da scena madre in tanti film. Così accade quando si affrontano Djokovic e Murray, oppure Djokovic e Nadal, oppure Nadal e Murray. I tre migliori giocatori del mondo alla risposta, i tre migliori a difendere la propria linea di fondocampo, i più disposti a correre, a recuperare, a neutralizzare l’offensiva dell’avversario. Nessuno come loro è consapevole di quanto attaccare nel tennis voglia dire scoprirsi, e allora il gioco deve innanzitutto chiudere gli spazi all’attacco altrui, fino a indurre nell’avversario la sensazione che non sia possibile infrangere il muro che si ha di fronte. Così è accaduto per buona parte della finale tra Djokovic e Murray, dove i primi due set, un tie-break ciascuno, si sono conclusi dopo l’aberrante durata di 2 ore e 32 minuti. Se la partita fosse arrivata al quinto set con quel passo sarebbe durata 6 ore e 20 minuti, invece è finita in quattro set e soltanto un’ora e 7 minuti dopo la fine dei primi due, con Djokovic che dal tre pari nel terzo ha vinto gli ultimi 9 game consecutivi. Il quarto set vinto da Djokovic 6-0, così come aveva vinto 6-0 il quinto set della semifinale contro Stanislas Wawrinka.

 

“Al tie-break va in un luogo che non riconosco. Trova una marcia che gli altri giocatori semplicemente non hanno. Vince 7-1.” Così Andre Agassi descrive in Open un momento della sua finale all’US Open 2005 persa contro Federer, e così è accaduto a Murray nella finale di questo Australian Open: Djokovic l’ha portato in un posto sconosciuto dove la fatica diventa di nuovo forza, lucidità tattica, determinazione. Appaiati per ore, all’improvviso uno ha ceduto per sfinimento e l’altro ha continuato, da solo. Durante la finale sulla BBC hanno citato una frase in cui Murray diceva che il problema non è il correre all’infinito, quello che è estenuante sono le decisioni da prendere mentre si corre. Sia lui che Djokovic sono eccellenti nel vanificare l’offensiva, ma Murray sembra come sedotto dal continuare a sventare i piani altrui all’infinito, mentre Djokovic è superiore perché sa molto meglio come attaccare appena ne ha la possibilità. Se si dovesse pronosticare adesso chi vincerà gli altri Slam dell’anno, l’unica scommessa promettente sarebbe lui stesso. Questo è il presente del tennis, il futuro è più o meno ignoto.

 

Rafael Nadal

 

Non ha mai cominciato una stagione mostrando segni di precarietà così forti. A giustificazione ci sono i mesi di inattività per gli infortuni, ma guardare Nadal che gioca male è uno spettacolo piuttosto strano: i gesti sono sempre gli stessi, enfatici, guerrieri, ma la palla cade corta e spesso inoffensiva, e non si capisce più il senso di quel modo di muoversi e di quelle scelte tattiche. A giugno compirà 29 anni, durante il Roland Garros come da tradizione, e sarà molto affascinante vedere se e come adatterà il suo gioco al passare del tempo, all’evolversi degli avversari, alle oscillazioni della sua determinazione a vincere. Mai come quest’anno si ha l’impressione che Parigi avrà un nuovo vincitore, dopo i 9 titoli di Nadal in dieci anni; nel frattempo è sempre il numero tre del mondo.

 

Roger Federer

 

Ha perso contro Andreas Seppi al terzo turno, dopo aver raggiunto almeno la semifinale per undici anni consecutivi. Una sconfitta in quattro set, con numeri abbastanza ravvicinati tra i due avversari e Federer che ha vinto un punto in più di Seppi; una sconfitta simile a quella contro Sergiy Stakhovsky al secondo turno di Wimbledon nel 2013: lì c’erano stati tre tie-break su quattro set, qui due; a Londra Federer aveva perso perché non era stato in grado di rispondere in modo efficace al servizio dell’avversario e perché il continuo attacco a rete di Stakhovsky gli aveva tolto ogni forma di ritmo; a Melbourne è stato sconfitto dall’esatto opposto, dalla maggiore voglia di Seppi di confrontarsi da fondocampo, dalla sua capacità di sbagliare meno nell’occasione.

 

Tennisti stagionati spesso parlano di come la tarda età di un professionista non si manifesta tanto nella perdita progressiva di qualità della propria performance, ma piuttosto nel fatto che un giorno ci si sveglia e si riesce a fare tutto, un altro non c’è verso di far funzionare il proprio gioco. 33 anni, 1230 partite giocate, tutto qui.

 

Nick Kyrgios

 

Viene criticato per il taglio di capelli gangsta, l’eccesso di imprecazioni, i cuffioni che indossa entrando in campo, ma intanto a 19 anni ha raggiunto due quarti di finale Slam, il primo a riuscirci dopo Federer nel 2001. Ha giocato solo 29 partite a livello ATP ed è già numero 35, statistiche eccezionali: molti riassumono dicendo che gioca con l’incoscienza della gioventù, ma in realtà già dimostra di capire quando dover attendere, rallentare lo scambio, per poi forzare e vincere i punti con accelerazioni nate in modo del tutto inaspettato. Non si tratta di immaturità creativa, è questa la base per essere giocatori eccellenti nel futuro. Solo un tratto del suo modo di stare in campo forse gli nuoce davvero: perde la calma quando giocatori oggettivamente più forti e maturi lo frustrano e si impongono sul suo gioco, lasciandosi andare a stizza, improperi e lanci di racchette quando subisce la semplice superiorità altrui. Rispettare l’avversario non è questione di etichetta, è una lezione di realismo. Capito anche questo, Kyrgios potrà diventare uno dei più forti giocatori dei prossimi dieci anni.

 

Stanislas Wawrinka

 

Riuscire ad arrivare in semifinale dopo la vittoria dell’anno scorso non era affatto scontato, Wawrinka non è un giovane in ascesa ma un giocatore stagionato, e il pensiero dell’essere campione in carica avrebbe potuto nuocergli. Invece ha giocato benissimo fino ai quarti, dove ha gestito Kei Nishikori impedendogli di prendere il controllo del gioco, vincendo in tre set una partita che doveva essere molto più combattuta, visto l’avversario. In semifinale contro Djokovic una partita molto altalenante, con i due che si sono dati il cambio a sbagliare molto, oppure condurre per qualche game, e raramente hanno dato il meglio nello stesso momento. Fino a quando sono arrivati al quinto set, per il terzo anno consecutivo a Melbourne e per la quarta volta consecutiva in uno Slam: lì Wawrinka deve aver sentito una sorta di pace interiore, la serenità di aver confermato quello che aveva fatto l’anno scorso vincendo il titolo; ha preso 6-0 al quinto e ha stretto la mano a Djokovic sorridendo. Ha raccontato che prima del match si sentiva “mentalmente svuotato, senza batterie”: la Coppa Davis di novembre, l’off-season accorciata, tutte spiegazioni valide, ma l’Australian Open di Wawrinka non è stato particolarmente duro, e tirare i remi in barca perché comunque si è arrivati in semifinale non è un ottimo presagio per il resto della stagione.

 

Grigor Dimitrov e Milos Raonic

Continuano a scorrere via gli Slam per le giovani promesse che dovrebbero comandare il tennis del futuro. Soltanto una semifinale raggiunta a Wimbledon l’anno scorso per entrambi, a Melbourne Dimitrov eliminato agli ottavi da Murray e Raonic da Djokovic ai quarti. Giovani che hanno già 23 e 24 anni, e che quasi sicuramente vinceranno qualcosa, ma soltanto quando gli attuali primi quattro lasceranno la vetta. Ormai è chiaro che i cosiddetti Big Four non verranno superati da una nuova generazione, ma lasceranno naturalmente il posto a chi sarà in giro per prendersi i trofei divenuti all’improvviso disponibili; il cambiamento sta accadendo molto di più sulla base dell’anagrafe che negli scontri in campo, e l’ascesa delle young guns come Dimitrov e Raonic sta prendendo sempre più i tratti di un’attesa che i padroni attuali se ne vadano, per poi sbrigarsi a prendere tutto quello che si può per il resto delle proprie carriere. Dimitrov è un giocatore più bello e vario, Raonic è ingabbiato dalla sua altezza, dal rovescio un po’ carente ma è supportato da un servizio ingovernabile per qualsiasi ribattitore. Per quanto dotato di meno risorse di Dimitrov, nell’era della massimizzazione dei colpi fondamentali in cui siamo, potrebbe vincere più lui che l’estro dell’erede stilistico di Federer.

 

Feliciano Lopez

Non si spiega come l’ultimo giocatore di serve & volley del circuito possa raggiungere a 33 anni la sua migliore classifica di sempre, eppure Feliciano Lopez dopo l’ottavo di finale raggiunto a Melbourne è al numero 14 del ranking mondiale. Praticamente un esemplare unico, è riuscito a evolversi in controtendenza rispetto a tutti i suoi avversari, migliorandosi a fine carriera con il gioco più inadatto alle superfici uniformate e alle racchette ultraperformanti di oggi. Mancino, ha tutte le caratteristiche dell’attaccante vintage: servizio a uscire strettissimo, dritto con poca rotazione, rovescio slice giocato ogni due-tre colpi, volée vere, non gli appoggi dopo aver buttato l’avversario fuori dal campo che si fanno oggi. Volée basse, profonde, tese, come quelle che faceva Michael Llodra, che si è ritirato alla fine dell’anno scorso. Insieme qualche anno fa hanno giocato questo punto, uno scambio così bello che vale un intero torneo.

 

Lo Slam di Fabio Fognini e Simone Bolelli

Sono la prima coppia italiana maschile a vincere uno Slam nell’era open, ed è un bel risultato, anche se difficile da leggere negli scenari confusi del doppio contemporaneo: poche coppie stabili, età media sempre più alta e crisi profonda di ricambio generazionale. Il singolare e il doppio sono ormai due mondi separati, e se la specialità continua a essere trattata come un condimento del singolare è difficile che future generazioni investano nel diventare campioni di doppio. Jonathan Marray e Frederik Nielsen nel 2012 hanno vinto Wimbledon entrando in tabellone con una wildcard e poche settimane dopo aver cominciato a giocare in coppia, poi non hanno più disputato nessun torneo insieme. Il doppio ormai è uno sport di episodi che durano un torneo, si fa fatica a creare un percorso più articolato salvo che per poche coppie stabili, e per quanto quella di Bolelli e Fognini sia un’impresa notevole, è avvenuta in un contesto talmente variabile che potrebbe anche non ripetersi più.

 

La volée di Leander Paes

 

Il punto dell’anno potrebbe venire da una delle competizioni meno significative del tour, il doppio misto che si disputa solo durante i quattro Slam. I vincitori sono stati Martina Hingis, ex numero 1 rientrata in competizione nel doppio dall’anno scorso, e Leander Paes, specialista dotato di un gioco di volo tra i più sofisticati in assoluto. Qui, tra i pacati scambi di una velocità ridotta e i livelli minimi di stress agonistico, può accadere che il tennis ritorni a esprimersi in condizioni da laboratorio, senza variabili ambientali, guerra di attriti e si manifesti come una pura sequenza di gesti liberi. Ecco come Paes, 41 anni e la testa già agli esordi di una nuova carriera di attore cinematografico, è riuscito a pensare e a eseguire con successo una volée dietro le spalle di difficoltà estrema, in quel bel clima di gioco in cui la partita più che sembrare una competizione appare quasi una coreografia per produrre graziose evoluzioni tecniche.

 
 

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Fabio Severo scrive di tennis, di cinema, di cultura, ma non solo, per la carta e per il web. Copre eventi sportivi e non per agenzie e network internazionali e ha curato per anni il blog di fotografia contemporanea hippolytebayard.com.