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Emanuele Atturo

La decadenza della Germania

L'eliminazione di una squadra ambiziosa e fragile.

​​Nonostante arrivasse alla sua ultima partita con appena un punto, sembrava tutto apparecchiato per un passaggio del turno col minimo sforzo, per la Germania di Hansi Flick. Bastava che nell’ultimo turno i pronostici venissero rispettati, e quindi che la Spagna battesse il Giappone e che loro battessero la Costa Rica. Le cose sono andate così per un tempo. La Spagna è andata in vantaggio, mentre la Germania ha segnato il suo primo gol alla terza occasione chiara in dieci minuti. Gnabry ha recuperato il pallone dalla rete volitivo. La Germania sembrava partita con l’idea di vincere 8 a 0 e a colmare la differenza reti con la Spagna. Non sarebbe stata la prima volta che i tedeschi piegavano la realtà a una loro razionalità perversa.

 

Poi però la Spagna ha subito due gol in cinque minuti e le narrazioni fra i due campi si sono intrecciate l’una all’altra in modo più stretto, creando un clima psichico condiviso. Il Giappone si è asserragliato attorno all’area di rigore e con attenzione assoluta ha spremuto una vittoria dalla più bassa percentuale di possesso palla della storia dei Mondiali, 17%.

 

La Germania nel frattempo si lascia andare. Subisce un paio di gol che rappresentano piuttosto bene l’ingenuità e la leggerezza con cui la squadra di Flick ha affrontato questo Mondiale.

 

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Nel primo gol, una palla persa banalmente, i giocatori del Costa Rica che corrono dritti per una transizione facile. La linea difensiva che scappa all’indietro e lascia uno spazio tra Raum e Rudiger. Un tiro centrale, un errore di Neuer, la ribattuta in rete. Nel secondo, una mischia piena di dettagli sfortunati, un’altra giocata approssimativa di Neuer, che in questo Mondiale ha avuto il posto garantito più per meriti storici che reali. Due gol in cui c’è tutto il lato oscuro della Germania: poco equilibrio difensivo, inclinazione patologica all’errore, fragilità diffusa. Non è mai sembrato così semplice segnare alla Germania.

 

Gli ultimi venti minuti sono invece espressione del lato luminoso che questa squadra ha mostrato in questi Mondiali. I movimenti sempre affilati di Kai Havertz, la tecnica di Gnabry, Sané e soprattutto Musiala, che anche in questa partita ha attraversato gli ultimi metri di campo danzando col pallone seguendo  equilibri e coordinazioni zidanesche. La Germania ha segnato tre gol, dando l’impressione che tutto sommato avrebbe potuto farne davvero nove o dieci.

 

È stata una partita che ha messo in mostra i limiti di una Nazionale con così alte ambizioni offensive in un torneo governato spesso dal caos come i Mondiali.

 

Da una parte una squadra – la Germania – che abbracciato totalmente il gioco di posizione per assecondare la propria storica vocazione razionalista. Quindi una squadra organizzata fin nei minimi dettagli offensivi, che costruisce occasioni a ripetizione, e a cui al contempo manca sempre un tantino di precisione per concretizzare quanto costruito. Dall’altra una squadra dall’organizzazione in confronto amatoriale, che cerca di svoltare i momenti uno alla volta, che non crea pattern di efficienza del tutto replicabili. Una Nazionale però che ha già mostrato una capacità prodigiosa di cavalcare il caos dei Mondiali, che contro il Giappone ha ottenuto la sua vittoria col suo unico tiro in porta. Se volete dargli una dimensione statistica, beh, la Costa Rica ha creato 0,12 xG nelle sue prime due partite, da cui comunque è uscita con 3 punti. Per quei tre celebri tre minuti, ha rischiato di passare il turno con una differenza reti di -5.

 

Guardare le statistiche della Germania invece fa venire i brividi. Viene eliminata col maggior numero di Expected Goals creati, 7,16, nettamente più di Francia e Inghilterra, e con 0.95 subiti, non pochi, ma comunque in linea con quelli che hanno fronteggiato squadre come Croazia, Giappone o Senegal, che hanno tutte subito meno gol. La Germania è la squadra che ha prodotto più tiri “chiari”, cioè presi con solo il portiere davanti: 17, 8 più dell’Argentina seconda. Quella che ha generato più tiri da riconquista alta in pressing. D’altra parte la Germania è una delle squadre che ha concesso le occasioni più semplici (0,11 xG per tiro).

 

Insomma, la Germania è una squadra che ha bisogno di costruire molto per fare gol, ma a cui basta davvero poco per subirne. Una squadra a cui basta un piccolo dettaglio fuori posto per veder crollare un’edificio dalla grandiosa architettura. Contro il Giappone, nella prima partita, ha sostanzialmente dominato. Dopo essere passata in vantaggio, ha creato più e più volte i presupposti per andare due a zero. Ha colpito un palo con Gundogan, aveva costretto al miracolo il portiere Gonda su Gnabry. Poi aveva preso due gol in cinque minuti che sono costati la qualificazione.

 

Al Mondiale del resto arrivava con queste premesse, quelle di una squadra dal grande talento offensivo e dalle feroci ambizioni tattiche, ma che non sembrava avere i giusti contrappesi per sostenere il proprio gioco. Alla Germania mancano mediani dalle sviluppate letture difensive, in grado di assorbire gli squilibri della squadra; e mancano giocatori di grande dinamismo in grado di recuperare nelle transizioni difensive. Hansi Flick nel suo Bayern Monaco che ha vinto la Champions, per esempio, aveva Thiago Alcantara a tenere corta la squadra in possesso, ad abbassare i ritmi; in più aveva prodigi atletici in grado di ricucire gli spazi aperti in transizione, Alphonso Davies e Lucas Hernandez per esempio. Questa Germania non aveva questo tipo di atletismo. Prima del Mondiale si era fatta rimontare due gol di vantaggio dall’Inghilterra, per poi terminare la partita con un pazzo tre a due. Aveva pareggiato e poi perso contro l’Ungheria. Si sentivano degli scricchiolii che in questo Mondiale hanno generato crolli.

 

Foto di Sven Simon / IPA.

 

La Germania viene eliminata ai gironi per la seconda edizione consecutiva, dopo la vittoria al Mondiale del 2014, e non sembra esserci nulla di casuale. Come sappiamo, dal 2006 la Germania ha avviato una rivoluzione culturale nel proprio calcio, cercando di abbandonare la propria reputazione storica di Nazionale brutta, fredda e difensiva. La Nazionale della frase di Lineker, per cui «il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine vincono i tedeschi». Una Nazionale che quindi vince quasi per eccesso di efficienza, di durezza fisica e morale. Una Nazionale che spreme ogni piccola goccia di talento dalle proprie rose, capace di arrivare sempre in fondo con poco.

 

Nei primi anni 2000 le scuole giovanili tedesche hanno cominciato a guardare anche alla tecnica e all’intelligenza, non solo alla forza. «Ci servono meno panzer e più generali» dichiarò Rumenigge. Dal 2006 in avanti la Germania diventa una squadra piacevole, che anche attraverso le seconde generazioni mette in mostra grandi talenti tecnici, in grado di giocare un calcio spettacolare. Una rivoluzione culminata la vittoria del Mondiale del 2014. È un momento di egemonia culturale del calcio tedesco. Nel 2013 la finale di Champions League era stata tra il Bayern di Heynckes e il Borussia Dortmund di Klopp. Da quel momento la Germania è sembrata inseguire i suoi ideali di gioco con sempre meno compromessi. Il movimento ha prodotto tanti centrocampisti tecnici, nessun centravanti di alto livello, pochissimi difensori. A tratti sembra una squadra che ricerca una brillantezza offensiva senza nessuno spirito, troppo fragile e senza equilibri.  Questa Germania somiglia alla fase terminale della Repubblica di Weimar, che aveva esasperato i tratti di frivolezza e gioia di vivere della Belle Époque fino a portarli alla decadenza vera e propria. Cosa c’è di più inquietante di Thomas Muller che sbaglia i gol, privato dei suoi poteri diabolici, incapace di esercitare il suo astuto cinismo. Ha segnato 10 gol e servito 6 assist nelle prime due edizioni dei Mondiali a cui ha partecipato; poi niente nelle altre due edizioni. Ieri ha annunciato che non giocherà più con la Nazionale.

 

Tuttavia questa sembra una squadra tutt’altro che morente; è una decadenza comunque lussuriosa e piena di vitalità. Lo abbiamo visto nella notevole prestazione offerta contro la Spagna o nella sua vetrina di giovani. Jamal Musiala è stato finora il talento più folgorante di questo Mondiale. Accanto a lui ci sono altri giovani dalle qualità evidenti come Havertz, Moukoko e Wirtz (che non ha partecipato al Mondiale per infortunio). Hansi Flick ora rischia il posto, ma i problemi della Germania sembrano più che altro identitari. Dal 2006 rincorrono un’idea ben precisa di come dovrebbe giocare una Nazionale per arrivare al successo, ora che l’efficienza di quell’idea è sbiadita cosa fare?

 

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).