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Federico Principi

Come sta andando il mondiale di F1 2019

Un punto della situazione in attesa della seconda parte della stagione.

Con lo splendido inseguimento di Lewis Hamilton a Max Verstappen nel finale del Gran Premio di Ungheria, la Formula 1 ha chiuso la prima parte della stagione. Tra prove di forza schiaccianti e qualche vittoria fortunata, ad Hamilton sono bastati una manciata di mesi per accrescere la propria legacy e mettere in pericolo i grandi ed inattaccabili record di Michael Schumacher, oltre che ad issarsi in una posizione sempre più paritaria nel confronto ideale con il campione tedesco.

 

A questo dominio ha contribuito ovviamente, ancora una volta, la forza del team Mercedes, capace di resistere negli anni all’avanzata della Ferrari – che inizialmente aveva interpretato meglio le nuove regole del 2017 – e di reagire in maniera più rapida e precisa alle modifiche del regolamento di questa stagione, in particolare riguardo la semplificazione degli alettoni anteriori. Ed è proprio da lì che nascono le principali differenze di prestazione tra Ferrari e Mercedes nelle prime gare, con la Rossa che è ancora a secco di vittorie.

 

Uno scenario che non ha messo in crisi la considerazione generale per Charles Leclerc, che anzi ne esce in qualche maniera deresponsabilizzato vista la sua inesperienza ad alti livelli in Formula 1, ma che ha messo invece in serio pericolo la credibilità sportiva di Sebastian Vettel.

 

Le vecchie e nuove difficoltà della Ferrari

Durante i test pre-stagionali di Barcellona, in particolare nella prima settimana, la Ferrari era parsa indiscutibilmente la vettura migliore. Franco Nugnes e Giorgio Piola, in questo articolo per Motorsport, avevano anche sottolineato l’ambiziosa soluzione adottata sull’alettone anteriore, per provare a recuperare il carico perso in virtù dei nuovi regolamenti: attraverso un vero e proprio buco sugli ultimi slot, la Ferrari cercava di convogliare l’aria all’esterno delle ruote anteriori. In questo modo la vettura sarebbe dovuta riuscire nell’intento di mantenere l’ottima stabilità sul posteriore che aveva mostrato nei due campionati precedenti e contemporaneamente non soffrire di sottosterzo, come si temeva alla vigilia dei nuovi regolamenti per la perdita di carico sull’avantreno.

 

La Ferrari si è invece ritrovata immediatamente con una monoposto con molto sottosterzo e questo le ha creato problemi per tutta la prima metà di stagione, almeno fino al Gran Premio di Montecarlo. Anche l’unico weekend trionfale dal punto di vista delle prestazioni, quello di Leclerc in Bahrain, è figlio delle condizioni particolari in cui si correva, con l’assetto della Ferrari maggiormente indicato sul deserto, in quanto in grado di contenere il degrado delle gomme posteriori. Al contrario la stessa Mercedes – da sempre più aggressiva della Ferrari nel consumo anche termico delle gomme posteriori – è stata costretta a rinunciare ad una parte della sua grande direzionalità con l’anteriore per spostare un po’ di più il baricentro dell’assetto verso il posteriore.

 

Il sottosterzo ha fatto in modo che la Ferrari fosse inferiore alla Mercedes soprattutto nelle curve lente, come confermato dal cronometro, che ha visto le monoposto rosse dietro a Mercedes e Red Bull sia nel terzo settore in Spagna – quello più lento – sia ovviamente a Montecarlo, annullando i vantaggi che la Ferrari aveva guadagnato gli anni passati in trazione proprio nelle curve lente. Ma come si è visto in Spagna, la Ferrari soffriva di un po’ di sottosterzo anche nei curvoni veloci: nelle immagini sotto, relative ai giri buoni della qualifica, si può notare come in curva 9 Leclerc sia costretto ad alzare leggermente il piede a differenza di Hamilton che affronta la curva in pieno e con una velocità leggermente superiore – circa 264-265 km/h a centro curva, contro i 260-261 di Leclerc. Anche per questo i due ferraristi erano stati più lenti dei due piloti Mercedes anche nel secondo settore.

 

Sopra Leclerc, sotto Hamilton. Entrambi nel loro rispettivo giro buono della Q3 in Spagna, con il ferrarista costretto ad alzare il piede dal gas in curva 9 a differenza del Campione del Mondo.

 

Le prestazioni in Bahrain erano state possibili anche in virtù di una leggera superiorità della potenza della power unit Ferrari su quella Mercedes in qualifica, oltre che ovviamente sul propulsore Honda montato dalla Red Bull. Lo stesso fattore che ha contribuito alle altre due pole position, quella di Vettel in Canada e quella di Leclerc in Austria. Ma la power unit Ferrari ha continuato a mostrare un difetto già visto, un’inferiorità rispetto a Mercedes sia nell’utilizzo della potenza in gara (forse perché la Ferrari riesce a recuperare meno energia elettrica, o forse perché costretta a girare a mappature meno “spinte” per timori sull’affidabilità) che nella gestione del consumo di benzina. 

 

In gara, sia in Canada che in Austria, le velocità massime di Ferrari e Mercedes nei principali rettilinei si equivalevano, mentre in qualifica quelle della scuderia di Maranello erano state decisamente più rapide (in Canada: Vettel 333,3 km/h, Leclerc 329,3 km/h, Bottas 327,7 km/h, Hamilton 326,1 km/h; in Austria: Leclerc 325,7 km/h, Vettel, senza aver effettuato la Q3, 321,5 km/h, Hamilton 319,5 km/h, Bottas 319,0 km/h).

 

Nel testa a testa in qualifica in Canada, al tornantino Hamilton era addirittura in vantaggio su Vettel. Non appena inizia il lunghissimo rettilineo che monopolizza il terzo settore, Vettel surclassa Hamilton in velocità di punta (come si nota dal confronto tra le due vetture stilizzate al centro della grafica).

 

Hamilton ha ormai surclassato Vettel

I problemi emersi hanno spinto la Ferrari ad un’importante rivisitazione dell’asse anteriore della monoposto, per combattere il sottosterzo. Come ben spiegato in questo pezzo, le graduali modifiche effettuate a partire dal Gran Premio di Francia hanno avuto come conseguenza lo spostamento del baricentro della vettura maggiormente verso l’asse anteriore. In questo modo è stato enormemente sfavorito lo stile di guida di Vettel, che nei suoi anni migliori – quelli alla Red Bull per via degli scarichi soffianti, ma anche nel 2017 in Ferrari – ha sempre tratto beneficio da vetture con il posteriore molto solido, a prescindere dall’efficacia dell’anteriore.

 

Il maggiore sovrasterzo della Ferrari dopo Le Castellet si è visto soprattutto in una piccola modifica nello stile di guida da parte dei due piloti: sia Vettel che Leclerc hanno iniziato a compiere molto spesso lo shortshift, ovvero la cambiata anticipata per salire prima di marcia e diminuire così la coppia e la trazione delle ruote posteriori in uscita dalle curve lente – qui si può vedere come Leclerc, nel tempo record delle FP2 in Germania, lo faccia in uscita di curve 6, 8 e 13. 

 

È proprio dal Gran Premio di Francia che si è avuta una netta inversione di tendenza in qualifica nel confronto tra Vettel e Leclerc, almeno dal punto di vista statistico: prima del weekend di Le Castellet il tedesco conduceva il duello per 6-1, da quel momento in poi invece ha perso la lotta interna nelle successive 5 qualifiche. Il dubbio guardando questi numeri è che Vettel sia sì un grande pilota, ma che abbia troppo bisogno di alcuni riferimenti, senza i quali non rende al suo massimo, come era avvenuto nella stagione 2014. 

 

Questo lo pone forse definitivamente al di sotto – sul piano storico – del suo grande rivale Lewis Hamilton. Al di là delle statistiche, il pilota britannico più volte in carriera ha dimostrato di essere competitivo in ogni situazione: dalle staccate di Monza e Montréal, alle curve lente dei circuiti cittadini, passando per la capacità di pennellare i curvoni veloci a Silverstone e Suzuka.

 

Il talento e la completezza di guida consentono a Hamilton di disporre di una capacità praticamente sconfinata di adattamento a qualsiasi situazione. Nell’estate del 2018 Franco Nugnes spiegava come la Mercedes avesse lavorato sull’altezza da terra, ma così facendo aveva dovuto irrigidire il telaio, complicando la guida. Da quel momento in poi, non casualmente, Hamilton aveva ulteriormente aumentato il suo gap da Valtteri Bottas, con l’eccezione del Gran Premio di Sochi che da sempre è il preferito del finlandese.

 

Quest’anno Hamilton ha dato prova di essersi definitivamente affermato anche come gestore del degrado degli pneumatici. In Francia, nello stint finale, il grande carico aerodinamico e la grande direzionalità dell’anteriore della Mercedes avevano causato blistering proprio sugli pneumatici anteriori, ma mentre Hamilton sfiorava il giro record all’ultimo passaggio, Bottas stava invece provando a fatica ad arginare la rimonta di Leclerc. Anche nell’ultima gara in Ungheria, nonostante la Mercedes avesse un assetto più preciso sull’anteriore rispetto alla Red Bull – e quindi più propenso al degrado delle gomme posteriori in gara (come si vede bene da questo confronto), Hamilton ha conservato molto meglio rispetto a Verstappen le gomme medie nel primo stint, nonostante le turbolenze generate dalla vettura dell’olandese.

 

La stagione di Leclerc

Forse l’argomento più dibattuto della stagione è stato quello sul valore di Leclerc, alla prima stagione in un team di prestigio. Se l’opinione pubblica si è fin troppo schierata in favore di una sua presunta superiorità generale nei confronti di Vettel, questa è dovuta come abbiamo visto ad un maggiore adattamento del monegasco a una monoposto con più sovrasterzo. «Preferisco sempre il sovrasterzo, però a inizio anno era troppo esagerato», aveva detto in questa intervista a metà della stagione scorsa.

 

Non è però soltanto a una vettura più puntata sull’anteriore che Leclerc deve la sua graduale crescita. Dopo le prime gare, ad esempio, ha iniziato a farsi sentire di più nel box, rivendicando in modo sempre più forte una propria linea di assetto. In almeno tre occasioni ha dimostrato di essere molto forte nel corpo a corpo: a Montecarlo, dove ingiustamente gli si è imputata la colpa per l’incidente con Hülkenberg; in Austria, dove Verstappen per batterlo è dovuto ricorrere a un sorpasso teoricamente irregolare e a Silverstone, nuovamente con l’olandese. Tutti episodi che hanno alimentato il grande dibattito sulla gestione dei regolamenti in Formula 1.

 

La durissima e spettacolare lotta tra Leclerc e Verstappen a Silverstone.

 

Leclerc ha però continuato a mostrare un difetto che si porta dietro da quando gareggiava in GP3 e in Formula 2, ovvero la gestione del degrado delle gomme. Soprattutto nei primi stint, in particolare in Ungheria e Silverstone, Vettel ha gestito meglio del francese gli pneumatici, riuscendo così a prolungare la vita del set di gomme e ritardando il pit stop. In Ungheria il pilota tedesco ha mostrato una sapiente gestione elettronica del differenziale durante la gara – a volte modificandola curva dopo curva – per contenere il degrado degli pneumatici, cosa che Leclerc non è riuscito a fare per via dell’inesperienza.

 

Puntare il dito su questo limite sarebbe però ingeneroso: Leclerc è uno dei piloti più giovani della storia della Ferrari e avrà tempo per imparare a gestire i rischi e le altissime aspettative, anche andando oltre il limite. Fa parte del necessario processo di apprendimento che sta ancora svolgendo, prima di gettarsi nella mischia per tentare di vincere il Campionato del Mondo.

 

La Red Bull e l’andamento opposto dei suoi piloti

Oltre alla sempre più dominante Mercedes, che a Hockenheim ha portato un nuovo pacchetto aerodinamico capace di migliorare le prestazioni in gara, anche la Red Bull in questa stagione sta confermando la bontà del grande carico aerodinamico già visto negli scorsi anni. Se la Mercedes comanda anche in questo aspetto, come si è visto nelle curve lente di Montecarlo e Budapest, il leggero blistering subìto in Austria dalla Red Bull  sulle gomme anteriori è un segno dei progressi riguardo il carico e la direzionalità sull’anteriore, superiori a quelli della Ferrari.

 

Proprio in Austria la Honda, che produce la  nuova power unit della Red Bull, ha permesso di usare in gara la mappatura a massima potenza, con l’obiettivo di provare a vincere la gara di casa, mettendo da parte i timori per l’affidabilità. La risposta del propulsore è stata positiva e con ogni probabilità il manettino delle mappature da quel momento in poi è stato alzato a un livello di potenza maggiore rispetto ai precedenti Gran Premi, portando Verstappen al successo in Germania e alla pole position in Ungheria.

 

L’argomento delle principali discussioni alla Red Bull non è però meccanico, ma riguarda la gestione dei piloti. Max Verstappen – dopo l’errore in FP3 a Montecarlo dello scorso anno che gli aveva impedito di partecipare alla qualifica – ha inanellato una serie impressionante di risultati, andando spesso anche oltre le potenzialità della vettura. Dal Gran Premio di Ungheria 2018 all’edizione 2019, il pilota Red Bull ha sempre concluso la gara nelle prime 5 posizioni, per 21 appuntamenti consecutivi. Dimostrando anche di essere migliorato sotto l’aspetto emotivo, che nella prima fase della carriera lo aveva portato a una serie di errori derivanti dagli scarsi compromessi nel suo stile naturale di guida.

 

Alle sue spalle, invece, Pierre Gasly ha vissuto una parabola opposta, finendo per venir declassato in Toro Rosso e scambiato con Alexander Albon. Gasly, che nel suo periodo in GP2 si era conquistato il titolo platonico di miglior pilota in qualifica della categoria, ha pagato proprio lo scarto tra la competitività sul giro secco del passato – lo scorso anno in qualifica fu quinto in Bahrain e sesto davanti alle due Red Bull sul bagnato in Ungheria – con quella estremamente deficitaria di questa stagione, oltre che qualche difficoltà nel passo gara.

 

In dieci Gran Premi, Gasly ha avuto uno sconcertante distacco medio da Verstappen sul giro secco in qualifica, oltre mezzo secondo (529 millesimi), pur non avendo mai avuto guasti tecnici. Le sue difficoltà derivano da più fattori: uno stile di guida caratterizzato da frenate violente con rapidissime scalate che lasciano molto alti i giri del motore, l’uso eccessivo del freno motore e le normali difficoltà psicologiche nell’entrare in nuovo team di alto livello, accentuate dalle dichiarazioni di inizio stagione di Helmut Marko, secondo cui Gasly non era a livello di Verstappen a causa di alcuni errori nei test. 

 

Le nuove Formula 2 hanno enormemente favorito gli esordienti in Formula 1

L’arrivo Alexander Albon in un top team dopo appena 12 gare in Toro Rosso è uno dei principali motivi di interesse della seconda parte della stagione. La rapida ascesa professionale del thailandese è anche uno dei segnali che i piloti esordienti, arrivati dalla scorsa stagione della Formula 2, si sono adattati molto più velocemente alla Formula 1 di quanto abbiano fatto i loro predecessori che avevano guidato le GP2 o le Formula 2 fino al 2017, Leclerc compreso.

 

Dopo la rivoluzione del regolamento di F1 del 2017, con il forte aumento del carico aerodinamico, tutti i piloti arrivati dalle categorie minori da poco tempo fecero fatica ad adattarsi, soffrendo il confronto con i compagni di squadra più esperti: Ocon contro Perez, Vandoorne contro Alonso, Stroll contro Massa. Lo stesso Giovinazzi, seppur non avesse sfigurato in qualifica contro Marcus Ericsson nei due Gran Premi iniziali, aveva commesso degli errori in sovrasterzo, dimostrando come la novità del motore turbo fosse difficile da gestire per la forte coppia trasmessa alle ruote posteriori – il turbo lag – lo stesso problema patito da Leclerc nei primi tre Gran Premi del 2018.

 

Proprio il turbo è stata la grande novità del motore Mecachrome della nuova Formula 2 del 2018. Ora sono proprio i piloti debuttanti della Formula 2 – come raccontato anche da Mick Schumacher – a patire questa nuova problematica, che si ripercuote anche nella gestione delle gomme posteriori. Familiarizzare in anticipo con il turbo e con il maggiore carico aerodinamico, invece, ha permesso a Russell, Norris e Albon – arrivati tutti e tre insieme dalla Formula 2 – di mettere a segno risultati importanti fin dalle prime gare, anche in circuiti che non conoscevano, come Melbourne e Shanghai. 

 

Norris ha conquistato subito la Q3 in Australia, Russell è avanti 9-3 nel confronto in qualifica contro Kubica (era 4-0 dopo i primi quattro weekend),  Albon ha battuto Kvyat nella prima qualifica a Melbourne ed è andato a punti nelle due gare successive, in Bahrain e Cina. Avendo già sperimentato il turbo questi piloti hanno avuto un apprendimento più facile delle monoposto e risultati sempre migliori, come il giro capolavoro con cui Russell in Ungheria ha battuto entrambe le Racing Point, oltre che il compagno di scuderia e Ricciardo ( che però ha avuto problemi nell’ultimo tentativo in Q1).

 

 

Il confronto in Williams nei giri buoni della Q1 in Bahrain. Siamo al secondo appuntamento e Russell, su una pista che aveva conosciuto solo nel 2018, fa ancora fatica a gestire il sovrasterzo in uscita praticamente da tutte le curve. Batte comunque Kubica, e ben più pulito e veloce sarà invece il giro che gli è valso la sedicesima posizione in qualifica a Budapest.

 

Il nuovo pacchetto vettura-motore Dallara-Mecachrome, in vigore per la Formula 2 nel 2018 e nel 2019, ha portato a un innalzamento dei costi di circa il 10-15% in più rispetto al vecchio ciclo fino al 2017. Costi che ovviamente i team riversano sui piloti, chiamati ora a spendere circa 2-300 mila euro in più a stagione rispetto a prima, passando dagli 1.7-1.8 milioni a stagione ai 2 milioni attuali. Ma, seppur più costose inizialmente, queste vetture possono probabilmente permettere a chi poi arriverà in Formula 1 un ritorno maggiore, sotto forma di maggiori possibilità di non finire bruciato dopo una sola stagione. Per un pilota debuttante convincere fin dall’inizio è importante: permette di allungare la carriera in Formula 1 e di conseguenza ampliare le possibilità di ulteriori guadagni.

 

 

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Federico Principi nasce nel 1992 e si ammala di sport. È telecronista della Serie C su Eleven Sports Italia. Ha scritto "Formula 1 2016: The review", un libro completo sulla stagione 2016 di Formula 1.