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Alfredo Giacobbe
Cosa farà Adrian Newey?
06 mag 2024
06 mag 2024
Dopo la separazione con la Red Bull tutti vogliono capire se approderà in Ferrari.
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Alfredo Giacobbe
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Sorprendente fin dagli esordi, così è stato Adrian Newey. Fin da quando la piccola Leyton House, la scuderia della monoposto turchese, la prima Formula 1 che ha disegnato, sfiorava la vittoria al Gran Premio di Francia del 1990, con Ivan Capelli abbandonato dal motore Judd otto cilindri e superato da Alain Prost a tre giri dalla bandiera a scacchi. A ogni generazione di auto, Newey aggiungeva un nuovo giro alla sua fama. Le vittorie alla Williams, nell'era dell’elettronica, con due talenti superbi come Nigel Mansell e Alain Prost; e quelle successive, con due piloti meno brillanti, come Damon Hill e Jacques Villeneuve. Erano sue le McLaren motorizzate Mercedes, che hanno regalato due titoli al finlandese volante Mika Hakkinen in piena era Schumacher. E ancora: le quattro vittorie di Sebastian Vettel con la Red Bull e le quasi quattro di Max Verstappen. Ha coniato massime indimenticabili – per esempio: ha paragonato una F1 a un aereo con le ali alla rovescia per restare incollata a terra – e ha messo in bacheca tredici titoli piloti e dodici mondiali per costruttori. In buona sostanza, stagione dopo stagione, Adrian Newey è diventato una leggenda vivente del motorsport. La sua sarebbe una carriera perfetta, se non fosse per una singola macchia. La racconta Newey nella sua autobiografia How to build a car (HarperCollins, 2017). Pagine e pagine del suo memoir sono dedicate all’analisi dell’incidente che ha tolto la vita ad Ayrton Senna, al settimo giro del Gran Premio a Imola del 1994. I filmati di quell'incidente Newey li avrebbe visti e rivisti per "i mesi seguenti – sono diventati poi anni – a riguardare ancora e ancora". Attraverso lo studio delle immagini e delle poche informazioni recuperate dalle due scatole nere andate distrutte nell’incidente, Newey ragiona, formula ipotesi, prova a togliersi un peso dalla coscienza applicando lo stesso metodo induttivo e razionale che nella vita gli ha portato più di una fortuna. Certo, la lesione al piantone dello sterzo proprio lì, dove i meccanici della Williams avevano lavorato per ridurne la sezione di quattro millimetri dietro sua precisa indicazione; ma anche una probabile foratura a uno pneumatico, per il passaggio su un detrito lasciato a terra dopo l’incidente al via tra una Benetton e una Lotus; l’asfalto particolarmente sconnesso del circuito dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari. Pagine di fredda analisi che, alla fine, sfociano in una confessione. Perché c’è una cosa che più di ogni altra Newey non riesce a perdonarsi, ed è l’instabilità aerodinamica della Williams FW16, uno sbaglio nella parte del progetto di una monoposto che lo coinvolge più da vicino: «La gente continua a chiedermi se mi sento in colpa per Ayrton. Mi ci sento. [...] Ayrton provava a fare cose che la macchina che ho disegnato non era in grado di dargli».

In questi giorni fa molto scalpore la notizia che Adrian Newey, a sessantacinque anni suonati, ora lasci la Red Bull. E che l’ufficialità arrivi con un comunicato della scuderia austriaca proprio il primo maggio, il giorno in cui gli appassionati ricordano Ayrton, nel trentesimo anniversario del maledetto Gran Premio di San Marino ‘94. Si pensa che l’uscita di Newey dalla Red Bull possa alterare gli equilibri della Formula 1 di nuovo, tanto quanto aveva fatto nel 2005: uscito dalla McLaren, era andato in una scuderia neonata e con una stramba comunicazione – Newey stesso ha definito la Red Bull di quei tempi «uno scherzo» – che ha finito per definire una nuova era dello sport. Newey è ufficialmente, dal primo maggio e per dodici mesi, in gardening leave. È la perifrasi che si usa per dire che un tecnico è appiedato, tenuto fuori dagli incontri e dai thread di email dei progetti relativi alla Formula 1 del futuro. È un modo, forse antiquato ma ancora efficace, per evitare che qualcuno porti alla concorrenza troppi segreti, se proprio deve andarsene che resti all’oscuro almeno degli sviluppi recenti. Nel 2025 potrà accasarsi dove vorrà e lavorare da quel momento al progetto delle auto dell’anno successivo, il 2026 quando, manco a dirlo, ci sarà una nuova rivoluzione tecnica. A quel punto, presentandosi alla vigilia del Mondiale con indosso una casacca differente dal blu scuro della Red Bull, Newey avrà sessantasette anni. Il fattore anagrafico non è qualcosa da sottovalutare. Newey non è più il rampante ingegnere che vestiva tuta e casco e girava con la monoposto per capire se i piloti gli stessero dicendo o no la verità, come spesso racconta Ivan Capelli in uno dei suoi aneddoti preferiti. Non è nemmeno la persona che fece impazzire Ron Dennis quando ristrutturò completamente il suo ufficio alla McLaren in un weekend, perché lo trovava di un colore deprimente. Il giornalista Giorgio Piola, che lo conosce bene, descrive Newey come un abitudinario, qualcuno che ha bisogno di rimanere barricato nella propria zona di comfort. E per quanto le abitudini lavorative siano importanti per tutti, per un ingegnere inglese devono essere qualcosa di imprescindibile.

Nella puntata del podcast Formula for success registrata lo scorso dicembre, Newey ha parlato di come sarebbe lavorare alla Ferrari. Ma su un’eventuale uscita dalla Red Bull ha detto: «Sarebbe come abbandonare la tua famiglia».

Per tutta la vita, Newey ha lavorato esclusivamente per scuderie inglesi. Per quanto possa sembrare assurdo agli occhi di un profano, la Formula 1 ruota quasi interamente intorno al circuito di Silverstone: la Leyton House, che aveva sede a Bicester, e la Red Bull, che è a Milton Keynes, sono a mezz’ora di macchina dallo storico tracciato; la McLaren è la più distante, Woking è a un’ora di viaggio. Sono lì vicine le sedi della Mercedes, a Brackley, e dell’Alpine, a Enstone. La factory della Aston Martin è addirittura all’interno del complesso del tracciato. L’elefante nella stanza è la Ferrari, che con la svizzera Sauber sono le uniche scuderie nell’attuale Formula 1 ad avere la totalità delle operazioni fuori dall’Inghilterra (l’americana Haas ha una seconda sede sul suolo britannico, mentre la Racing Bulls sta spostando molte funzioni da Faenza a Milton Keynes). Per sua stessa ammissione, Newey è già stato in passato vicino a un trasferimento a Maranello, ma non si è mai deciso per il salto. Perché dovrebbe compiere il salto proprio adesso?L’esperienza di Adrian Newey è indiscutibile. In gioventù si è formato sugli ovali degli speedway americani; quando nel 2022 il regolamento ha riportato in auge le auto a effetto suolo, era l’unico capo ingegnere presente in F1 prima della messa al bando del 1983. La visione di insieme che ha del complesso sistema di forze che insistono su una monoposto è unica al mondo. Non sono solo le vittorie a parlare per lui, è il rispetto che si è guadagnato sul campo a fare la differenza. Nelle dichiarazioni pre-gara a Miami, quando ai piloti è stato chiesto di commentare la notizia che riguardava l’ingegnere inglese, Lewis Hamilton, futuro pilota Ferrari, e Max Verstappen avevano umori completamente opposti.

That smile. That damn smile.

A proposito delle parole degli addetti ai lavori: certe dichiarazioni, oggi, alla luce della notizia dell’uscita di Newey dalla Red Bull, devono essere interpretate diversamente. Da mesi, nella scuderia austriaca, c’era quasi una corsa a sminuire il coinvolgimento di Newey nel progetto F1. Il team principal Christian Horner diceva che Newey non si vedesse a Milton Keynes per più di due giorni a settimana. Il direttore tecnico Pierre Waché, pur definendolo insostituibile, ha descritto Newey come un corpo estraneo rispetto al resto dei tecnici: «Su base giornaliera, lui non è parte del processo [di progettazione, ndr]. È qualcuno che prova a darci una mano o ci mette alla prova su diversi aspetti». L’unico fuori dal coro in casa Red Bull è stato Jos Verstappen, il papà di Max pronto ad ascoltare le sirene della Mercedes. Con i suoi modi spicci, Jos ha detto che, dopo l’uscita di Newey: «Il team rischia di sgretolarsi». La verità non è in nessuna di queste dichiarazioni, o è da cercarsi in punto intermedio tra tutte. Newey, nella chiacchierata fatta a dicembre con Eddie Jordan e David Coulthard, è sembrato completamente coinvolto nel processo. Certo, lo è a modo suo: ha ammesso di aver mollato le deleghe che afferiscono più direttamente alla gestione del personale; ma sul piano tecnico ha fatto capire di avere ancora le mani in pasta, eccome. È Newey ad andare in giro, scrivania per scrivania, da ciascuno dei duecentocinquanta ingegneri che lavorano in Red Bull, ad ascoltare le soluzioni degli altri e offrire le proprie, ad avere l’ultima parola su tutto.Cos’è allora che ha spinto Newey fuori dalla sua zona di comfort, fuori dall’azienda che lo coccolava da diciannove anni? Alcuni hanno supposto che sia stato infastidito dal clamore mediatico intorno al caso Horner. Che la guerra intestina alla Red Bull tra il management austriaco e la proprietà thailandese abbia provocato tensioni in fabbrica è un fatto, ma l’impatto che può aver avuto sulla psiche di Newey è tutto da valutare. In fondo Horner, che è la persona a cui Newey è più legato, è ancora saldamente in sella alla scuderia. Più concreta è l’ipotesi fatta dal giornalista del Telegraaf Erik van Haren, appena cinque giorni prima dell’ufficialità della separazione. Newey non direbbe tutta la verità, sarebbe invece a tutti gli effetti insoddisfatto del suo coinvolgimento nel team, dato che Waché - direttore tecnico della Red Bull - anno dopo anno, gli ha preso sempre più spazio. Qui un fondo di verità potrebbe esserci, se si pensa che il team principal della Ferrari, Frederic Vasseur, ha corteggiato a lungo proprio Waché, ritenendolo un uomo chiave da strappare alla concorrenza. Certo, Vasseur dava per scontato che Newey dalla Red Bull non si sarebbe mai mosso.

Piero Ferrari, che dal padre Enzo ha imparato che gli uomini talvolta necessitano più cure delle macchine, non fa mancare il suo saluto a Newey.

In Ferrari, Newey troverebbe un gruppo di aerodinamici sotto la guida di Enrico Cardile. Un gruppo già affiatato da anni di lavoro insieme e rimpolpato di recente dalla campagna acquisti di Vasseur. Pur avendo tratto ispirazione da alcuni concetti di marca Red Bull, che è il progetto dominante in questa era della Formula 1, a Maranello stanno provando a portare avanti una propria impostazione originale. In un contesto del genere, Newey potrebbe funzionare bene come advisor, una sorta di super consulente da interpellare nelle fasi critiche del progetto, più che come l’uomo che posa la prima pietra della cattedrale. Non avrebbe la necessità stringente di vivere nei dintorni di Maranello, potrebbe visitare la fabbrica alla bisogna, e raggiungere il team ai Gran Premi. Potrebbe persino prolungare la sua permanenza in Sud Africa, dove ha una tenuta e relazioni familiari stabili – la moglie Mandy è una cittadina sudafricana – e dove spende il suo tempo libero nella off-season. Peraltro il Sud Africa ha il vantaggio di essere sullo stesso fuso orario europeo. Meglio che in Inghilterra.Già in passato la Ferrari aveva tentato l’avventura inglese, fondando a migliaia di chilometri da Maranello il Ferrari Design & Development di Guilford. Il tutto per tenersi buono il genio bizzoso John Barnard, l’ingegnere strappato alla McLaren. Newey lo si vede ancora sulla griglia di partenza, aggirarsi tra le monoposto in attesa di prendere il via del Gran Premio con la proverbiale cartellina sotto al braccio. Barnard, nel lasciare l’Inghilterra, aveva ancora più idiosincrasie di Newey, a un certo punto degli anni Novanta aveva persino smesso di andare ai Gran Premi. L’avventura di Barnard in Ferrari non aveva portato profitti e una delle prime mosse di Jean Todt, appena assunta la carica di team principal nel 1993, fu la chiusura e la dismissione del FDD. Oggi i tempi sono cambiati e le tecnologie che permettono il lavoro da remoto sono molto più avanzate di una volta. Prima di Vasseur, Mattia Binotto aveva assoldato il vecchio Rory Byrne, l’aerodinamico preferito da Michael Schumacher, per permettergli di dare un’occhiata ai progetti delle Ferrari da affidare alle cure di Sebastian Vettel e Charles Leclerc. Insomma, non è detto che un matrimonio a camere separate tra Ferrari e Adrian Newey non possa funzionare.

Ma Adrian Newey avrà voglia di una nuova avventura in Formula 1? Al microfono di Martin Brundle si è detto stanco e desideroso di riposo. Parole simili sono uscite anche dalla bocca di Eddie Jordan, che conosce Newey da tutta la vita ed è un suo vicino di casa nel buen retiro sudafricano. Christian Horner, a Sky Sport Italia, ha lasciato intendere che un ritiro dalle competizioni per l’ingegnere, ora come ora, è una possibilità concreta. Newey sarà comunque costretto a riposare a causa del gardening leave, e il periodo senza lavoro gli permetterà di ricaricare le batterie. Non gli avrà fatto bene essere al centro delle attenzioni, com’è accaduto in questi giorni. Newey non è un topo da biblioteca, ma non è nemmeno uno showman. Una persona schiva può amare starsene in disparte, e contemporaneamente essere guidata nelle proprie motivazioni da un’ambizione smodata.Decidere di affrontare una nuova avventura e farlo con la Ferrari non è la più semplice delle scelte, anche per un pluridecorato ingegnere. Nel caso di un fallimento in rosso, la sua reputazione subirebbe comunque un colpo notevole, Newey questo lo ha bene in mente. Per l’inglese sarebbe più semplice uscire dai cancelli della Red Bull, attraversare la strada e finire in Aston Martin, una scuderia che continua a fare investimenti massicci per rinforzare l’organico tecnico, e per la quale Newey avrebbe già rifiutato un quadriennale da cento milioni di euro. Inoltre, non è un segreto che Adrian abbia altre passioni oltre all’automobilismo, lui stesso ha rivelato di essere attratto da una sfida in America’s Cup. Se nonostante tutto riuscisse a mettere sotto contratto Newey, dopo l’arrivo già annunciato di Hamilton, la Ferrari farebbe molto rumore, un’espressione attribuibile secondo alcuni a John Elkann, il regista dietro al deciso cambio di passo della Scuderia di questi mesi. Due nomi di prestigio assoluto che, oltre a portare la propria esperienza, potrebbero fare da volano per dare nuove energie al team e attrarre altri talenti dall’Inghilterra. Perché, come ha raccontato Andrea Stella, oggi team principal della McLaren e, una volta, veicolista alla Ferrari ai tempi di Schumacher, i tecnici di Formula 1 alle volte scelgono mansioni e contratti inferiori alle loro ambizioni, pur di stare nel posto giusto, al momento giusto.

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