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(di)
Alfredo Giacobbe
Le volte che Senna e la Ferrari si sono sfiorati
01 mag 2024
01 mag 2024
Breve storia di un sogno che non è mai diventato realtà.
(di)
Alfredo Giacobbe
(foto)
IMAGO / HochZwei
(foto) IMAGO / HochZwei
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C’è una vecchia foto che ritrae un bambino dal sorriso timido a bordo della sua automobile giocattolo. Avrà tre o quattro anni e un modo buffo di ciondolare sulle gambe paffute, che gli ha fatto guadagnare il soprannome di Beco. L’auto non è certo una Formula 1 e la foto è in bianco e nero, non si capisce di che colore sia. Ma c’è chi giura che la prima auto di Beco fosse rossa, una diversa non l’aveva voluta. Beco ha tredici anni, lo chiamano così in famiglia. Nel tempo si è allungato nel corpo e nel viso, al punto che non sembra più quello stesso bambino. Stringe il volante di un kart che ha davanti la tabella con il numero uno. La foto è a colori, stavolta si vede bene: le carene del kart sono rosse, come le carrozzerie delle auto che escono da una fabbrica nelle campagne di Modena.Nel 1984 di anni, Beco, ne fa ventiquattro. Non è più timido o dinoccolato come una volta, è un ragazzo forte e sicuro di sé. Il suo nome, il suo vero nome, è conosciuto ai quattro angoli del globo. Ciò che ha fatto nella stagione del debutto in Formula 1 ha del clamoroso. Ha scelto la vetrina più scintillante per mettersi in mostra, il Gran Premio di Monaco, eccezionalmente bagnato nonostante si disputi in giugno. Risalire dal tredicesimo al secondo posto sotto al diluvio non è cosa da tutti, e avrebbe vinto, se il direttore della corsa non fosse arrivato a salvare Alain Prost, con una bandiera a scacchi sventolata con grande anticipo. Quando è arrivato in Formula 1, Beco era già una leggenda dei kart, non c’è una singola persona che lo ha incontrato in quegli anni e che non abbia un aneddoto sul suo conto. Si è dovuto accontentare della piccola Toleman per misurarsi in pista con i migliori piloti del mondo. Aveva provato per la Williams a Donington ed era stato veloce. Solo che il patron Frank non si fidava a mettere un debuttante sotto contratto, non se ne fece niente.Aveva tutt’altro appetito per i piloti non ancora affermati Enzo Ferrari, per un ragazzo che non oscurasse l’immagine delle sue monoposto. Era inevitabile che qualcuno provasse a tirarlo in mezzo. Pino Allievi della Gazzetta dello Sport, in conferenza stampa, chiede di Beco e la risposta del "grande vecchio" è enigmatica al punto giusto: «Senna era un corridore Marlboro. Non abbiamo avuto nessun rapporto diretto, però se io avessi chiesto alla Marlboro Senna, credo che non avrebbe avuto difficoltà a cederlo. Mettiamoci però d’accordo: a noi risulta che Senna abbia un contratto con la Toleman e in qualunque caso noi non lo avremmo preso perché non abbiamo mai portato via un pilota, lusingandolo con ingaggi eccezionali». Beco, con appena cinque Gran Premi disputati alle spalle, è già troppo ingombrante persino per il mito di Maranello.Passano due anni, Beco ha vinto tre GP su una Lotus. In Belgio, sulla difficilissima pista di Spa, deve accontenarsi del secondo posto, ma si è messo dietro entrambe le Ferrari, guidate da Stefan Johansson e Michele Alboreto. Il "grande vecchio", che già era scontento di Johansson, rompe gli indugi e lo invita a Maranello. Beco ci va, incontra Ferrari nel suo ufficio al pianterreno, nei pressi della reception. Di Ferrari deve averne avuto una gran impressione, se da quel giorno, a ogni Natale, Beco gli farà avere un suo biglietto di auguri. Lo stesso non si può dire al contrario, se a un anno dal loro incontro Enzo Ferrari si lascerà andare così davanti ai taccuini di Autosprint: «Senna è indubbiamente un gran bel pilota. Che sia simpaticissimo… ma… così sono un po’ perplesso sull’uomo. Sul pilotaggio è un uomo di valore». Ferrari era noto per essere sospettoso come contadino e abile come un mercante, la stretta di mano poteva giungere in pochi secondi o non arrivare mai, ma nessuno poteva sapere cosa avesse davvero in mente. Gilles Villeneuve, nei primi giri di prova a Fiorano, a momenti gli spacca in due una delle sue preziose monoposto. Quando torna ai box, tutti si aspettano che Ferrari lo metta alla porta, invece Ferrari gli allunga un contratto e una penna. L’ambizione smodata di Beco può aver dato fastidio a Ferrari? Questo sembrano dire le parole del figlio Piero: «Senna non poteva cambiare scuderia, doveva rispettare impegni già presi e inoltre forse puntava già sulla McLaren. Lui andava a caccia della monoposto migliore. In quel momento, dico nel 1986, la Ferrari certo non lo era». E aggiunge: «Prima o poi sarebbe venuto».Enzo Ferrari muore il 14 agosto del 1988, l’anno in cui Beco vince il titolo mondiale all’età di ventotto anni. Il timone della Squadra Corse Ferrari ce l’ha tra le mani il direttore sportivo Cesare Fiorio. È un momento decisivo per la sopravvivenza della Rossa, ogni scelta è importante. Nel 1990 Beco sembra in rotta con la McLaren. Ha buttato giù un pilastro come Alain Prost e ora la scuderia sembra crollare sulla sua testa. Fiorio apprezza Beco, lo giudica il pilota più forte. Lo sente al telefono, lo incontra in segreto. A pochissimi Fiorio confida che l’accordo è fatto, è stato persino stilato un contratto, c’è la firma di Beco su un foglio di carta intestata con il logo del cavallino rampante. Un corteggiamento, alle volte, finisce per diventare maldestro. Nonostante lo stretto riserbo intorno all’operazione, tutti comprendono ciò che sta accadendo. Lo vede anche Prost, che dalla McLaren ha riparato proprio in Ferrari siglando un contratto annuale. L’accordo salta, all’inizio non si sa perché, Fiorio ci metterà vent’anni per additare il colpevole: è stata una decisione del presidente della Ferrari, Pietro Fusaro. Che a sua volta si scagionerà dalle pagine di Quattroruote: quella volpe di Prost ha scavalcato tutta la gerarchia del Cavallino, la garanzia che avrebbe avuto un rinnovo di contratto l’ha ricevuta direttamente da Gianni Agnelli. Di mettere di nuovo i due galli nello stesso pollaio, dopo quello che è successo in McLaren, non se ne parla; di smentire la parola data dell’Avvocato, men che meno. Prost resta, ma i suoi giorni sono contati: alla fine del 1991 la Ferrari lo mette alla porta, a Maranello sostengono di avere un audiovisivo in cui Alain paragonerebbe la Rossa a un camion. Prost chiede di vedere il filmato, ma la cassetta non gli viene mostrata. Secondo il francese non è mai realmente esistita. Dal canto suo, Beco alla Ferrari non vuol rinunciare. A Imola, dove da nemico giurato dei ferraristi ha raccolto più fischi che applausi, al giornalista Alberto Sabbatini, indicando fuori dai box dice: «Vedi quelle tribune là? Quando correrò per la Ferrari verranno giù dall’entusiasmo».

Chi ha fatto la guerra a Prost non resiste a lungo. Nel 1993 la Ferrari è affidata a Jean Todt. Intanto, la situazione in McLaren è precipitata, dopo che il loro motorista giapponese ha deciso di abbandonare la Formula 1. Dal momento in cui apprende la notizia per bocca del fondatore Soichiro Honda, dopo tre titoli mondiali vinti, Beco è in cerca di una via di fuga. Con Todt c’è più di un abboccamento, ma i contratti di Gerhard Berger e Jean Alesi per il 1994 sono blindatissimi, e a Maranello non hanno una monoposto vincente. Non è ancora il momento di andare in Ferrari. Beco, in fondo, non è più lo stesso, la guerra che ha dichiarato a Prost ha finito per avvelenarlo. Non riesce più a coniugare la tremenda lucidità che lo contraddistingueva al fuoco della passione che ora brucia senza controllo. Con caparbietà ottiene un volante alla Williams campione del mondo. Il vecchio Frank aveva di che farsi perdonare, se ha accettato di mettere alla porta due campioni come Mansell e Prost per fare spazio al suo nuovo pilota.Il tempo scorre, Beco ha trentaquattro anni, sono pochi per un giovane uomo, ma iniziano a essere tanti per un pilota. Di suo, Beco, ha una fretta del diavolo, per di più la gente del suo Paese aggiunge altra pressione: in estate c’è il Mondiale di calcio americano, se la Seleçao vincesse e anche lui vincesse, sarebbero entrambi tetracampeões, quattro volte campioni. La Williams del ‘94, però, non è l’auto fenomenale che gli avevano promesso. Il campionato non è nemmeno partito che Beco vede la possibilità di lottare per il titolo già lontana. Non è solo una monoposto poco competitiva a dargli preoccupazione. Scrive Giorgio Terruzzi in Suite 200 (66thand2nd, 2014): "Ma c’era dell’altro: la sensazione persistente di aver scelto comunque una famiglia non adatta a lui, al suo carattere. Il sospetto di aver commesso un errore passando alla Williams gli toglieva energie, accentuava i punti critici. Ogni gioia, ogni frenesia, pregiudicate. Come si sentiva in quella squadra? Frustrato, infelice. Preoccupato". Comprende l’errore fatto pochi mesi prima, tenta di porre rimedio con un azzardo dei suoi, spericolato negli affari quanto in pista. Prima del Gran Premio di Imola del 1 maggio incontra il presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, nella sua casa di Bologna. Beco gli dice che vuol venire subito a Maranello, che i contratti sono solo fogli di carta, e i fogli possono essere strappati. Si salutano con la promessa di rivedersi più avanti, quando Beco avrà chiarito la sua posizione con Frank Williams, con cui è legato da un accordo biennale.Il primo maggio Beco chiude gli occhi per non riaprirli più. Tra i primi in lutto, i tifosi della Ferrari che non lo vedranno mai su un’auto rossa. Un anno dopo, Todt, che intanto ha rivoltato i reparti della Squadra Corse come un guanto, decide che è tempo di accendere le micce. Ora serve il pilota. In Ferrari arriva Michael Schumacher, l’accordo si fa in estate e lo si annuncia al Gran Premio d’Ungheria. Un mese dopo, a Monza, i tifosi espongono uno striscione: «Meglio un Alesi oggi che 100 Schumacher domani». Il tedesco non piace al pubblico che aveva fatto la bocca all’arrivo di Beco. Un anno dopo la sua morte, la gente della Formula 1 ancora non riesce a dimenticarlo.Le imprese di Schumi alla Ferrari saranno consegnate alla Storia. Jock Clear, che è un marinaio di lungo corso della Formula 1, ha odiato e amato il tedesco come hanno potuto fare in pochi. Lo ha odiato quando, nel ‘97, gli contestava il titolo mondiale, lui ingegnere di pista di Jacques Villeneuve alla Williams; ha imparato ad amarlo, tredici anni dopo, quando si sono ritrovati, lui e Michael, a lavorare gomito a gomito in Mercedes. Clear, una volta, di Schumacher disse: «Andava in giro per il circuito come se pensasse di avere il diritto divino di stare lì. Era senza dubbio una delle sue forze e una delle ragioni per cui è rimasto forte a lungo. Diciamocelo pure: era esattamente uguale a Senna».

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