Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Troppo Doncic, non abbastanza Italia
08 set 2025
L’eliminazione dell’Italia e le altre storie degli ottavi di finale di EuroBasket 2025.
(articolo)
22 min
(copertina)
IMAGO / Giulio Ciamillo
(copertina) IMAGO / Giulio Ciamillo
Dark mode
(ON)

Uno dei motivi per cui l’Europeo di basket è, a parere di chi scrive, il miglior torneo in assoluto della pallacanestro per Nazionali sta nella capacità di salire di livello dalla fase a gironi a quella a eliminazione diretta. Puoi fare un grande girone, anche senza sconfitte, e uscire per mano di una squadra a te inferiore ma comunque capace di dimostrarsi migliore nel corso di 40 singoli minuti. O l’esatto contrario. Un passaggio, una differenza che può definire generazioni sportive oltre i meriti oggettivi dei protagonisti e l’affidabilità delle circostanze.

Da 24 a 16 a 8. Il gruppo delle squadre che nei prossimi giorni, da qui a domenica 14, si giocheranno le tre medaglie continentali si riduce in modo inappellabile. Ci sono sorprese, ritorni, apparizioni impreviste. Mancheranno favorite, squadre attese o che comunque speravano di essere a quel punto. È davvero difficile analizzare a mente fredda e lucida il perché e l’eredità di due giornate sensazionali di pallacanestro andate in scena a Riga, capitale lettone che in questo fine settimana ha visto anche l’uscita di scena della sua amata nazionale, al verosimile passo d’addio di una generazione difficilmente ripetibile. Non c’è ovviamente stata soltanto l’eliminazione della Lettonia nelle otto partite che hanno animato il weekend cestistico, e partiamo da quella che - come tifosi italiani - ci ha toccato indiscutibilmente di più.

COSÌ VICINI, COSÌ LONTANI
Per la prima volta negli ultimi 12 anni l’Italia non giocherà i quarti di finale di un Europeo maschile di pallacanestro. Una soglia, comunque mai superata dal 2003 come conseguenza delle sconfitte con Lituania (due volte), Serbia e Francia, a cui non arriveremo come conseguenza della sconfitta contro la Slovenia di un Luka Dončić strepitoso, pur non essendo fisicamente al 100%: i dolori all’anca, accusati pure nel finale di primo quarto contro gli azzurri, andranno valutati nelle prossime ore alla vigilia del difficilissimo incrocio di mercoledì contro la Germania campione del mondo in carica.

22 punti (su 29 di squadra) a 11 dell’intera Italia solo nel primo quarto, uno squarcio sulla partita che poi è risultato decisivo, poiché le continue ricucite nel punteggio, frutto delle rimonte azzurre, sono state puntualmente respinte non solo dalle giocate della stella dei Lakers, ma anche da alcuni lampi offensivi “degli altri”. L’energia a rimbalzo offensivo di Omić - dopo che Sekulić aveva puntato inizialmente sulla difesa sotto canestro di Krampelj, giocatore più disciplinato ma con meno picchi positivi soprattutto in attacco dell’ex lungo di Milano, così come un paio di momenti “vintage” di Klemen Prepelić e di Aleksej Nikolić, forse il migliore sloveno contro l’Italia tra tutti quelli che non si chiamano Dončić per quanto espresso sui due lati del campo, al di là di un tabellino non necessariamente pingue.

L’inizio azzurro era stato in verità abbastanza promettente, con una partita impostata sui ritmi forse più congeniali dal girone di Limassol: possessi ai 24”, cambio su tutto in difesa per evitare di esporsi - soprattutto i lunghi, minimizzando il rischio di problemi di falli - agli 1vs1 di Dončić. Il problema è che lo spunto iniziale si è fermato lì: la Slovenia si è messa in ritmo con le seconde opportunità, situazione da cui sono arrivati 5 punti dei primi 7 punti, quelli che hanno girato la partita confezionando il break da 13-0 che ha scavato un fosso sempre più profondo tra le due squadre, che l’Italia è arrivata vicina a colmare senza però riuscirci del tutto. Una volta entrato in ritmo, Dončić ha quasi sempre cercato l’accoppiamento difensivo con uno dei nostri lunghi, puntando sulla sua capacità di creazione (prevalentemente per sé, dato che il primo assist è arrivato quando i punti segnati a referto erano già 22) e soprattutto sulla minore reattività dei piedi dei nostri lunghi, per quanto competenti - molto - difensivamente.

Da parte sua, la Slovenia ha risposto con una scelta difensiva simile alla nostra, quella di cambiare su ogni accoppiamento approfittando della staticità dei nostri possessi offensivi nel primo quarto. Particolarmente importante in questo senso è stato l’apporto del lungo di Bilbao Martin Krampelj, mai così impiegato in tutto l’Europeo - 17’ in campo - nonostante i problemi di falli. Se Omić si è preso la copertina per il lavoro a rimbalzo offensivo nel terzo quarto, nel momento che ha verosimilmente deciso la partita, perché alla mancanza di punti segnati dagli azzurri gli sloveni hanno risposto con canestri da seconde opportunità (16-11 il bottino finale) e in generale una maggiore energia data anche dalla tranquillità conseguente al largo vantaggio, il lavoro nelle piccole cose di Krampelj è stato determinante per la squadra di Sekulić.

Nel secondo quarto l’Italia ha approfittato dei momenti in cui Dončić era a riposo (per i sopracitati problemi all’anca) per ritrovare ritmo soprattutto in attacco: i 29 punti prodotti nei secondi 10’ sono stati il miglior dato del nostro Europeo, frutto di ottime percentuali al tiro e una costruzione finalmente fluida ed efficace che ci ha permesso di tornare anche sotto la doppia cifra di svantaggio, seppur momentaneamente. Quando all'inizio del terzo quarto siamo arrivati a -6 la partita sembrava poter girare, ma poi sono arrivati 4 minuti pesantissimi, in cui il problema non è stato tanto difensivo - la Slovenia ha creato poco, segnando solo a giochi rotti o dalla lunetta - ma offensivo. Una secca rotta da due triple consecutive di Melli e Fontecchio, a cui i nostri avversari hanno risposto con i jolly trovati soprattutto da Prepelić e Nikolić oltre al già citato momento di Omić.

Un momento in cui la rimonta sembrava possibile, prima dell’ultimo quarto.

È nell’ultimo quarto, e in particolare in un per certi versi commovente 17-3 di parziale nello spazio di oltre 7’, che questa squadra ha mostrato il suo carattere, il suo fuoco dentro. Non è stata una rimonta fatta necessariamente di momenti di grande pallacanestro, quella condotta dall’improbabile coppia formata dal più giovane e dal più vecchio, Saliou Niang e Danilo Gallinari. Che il Gallo potesse avere un momento “scintilla” nel suo Europeo d’addio era lecito aspettarselo, e sperarlo: è avvenuto per Datome al Mondiale - i 10 punti che ispirarono la rimonta contro la Serbia nella fase a gironi - ed è accaduto anche per quello che nel post partita di Riga è stato riconosciuto dai compagni di squadra come uno dei migliori giocatori italiani - se non il migliore - di sempre. Un break in cui Niang ha dimostrato grandi lampi di agonismo ma anche l’altra faccia della medaglia della sua gioventù, con qualche palla persa o fallo speso male assolutamente perdonabile visto quanto fornito complessivamente di positivo alla causa.

Dall’altra parte Gallinari ha fatto quanto ci si aspettava potesse fare idealmente in un gruppo simile: il centro di gravità permanente della second unit, quello da cui fare passare (in post o in punta) i possessi offensivi a giochi rotti, puntando sulla sua capacità di assorbire falli e di attirare le attenzioni avversarie, scaricando eventualmente su un compagno libero. Una formula che ha funzionato (anche grazie a un bonus raggiunto in fretta dalla Slovenia), portandoci sino al -1 e avendo a più riprese il pallone per pareggiare la partita, ma che non è bastata per completare una rimonta che sarebbe stata la più ampia nel corso di questa edizione di EuroBasket 2025. Ragionandoci a mente fredda, cosa poteva essere fatto diversamente?

«Quando inizi così è dura, complicata», ha detto in zona mista a Riga Simone Fontecchio. «Quando un giocatore di quel tipo prende fiducia da subito è tutto in salita: abbiamo combattuto ancora una volta, provando a rientrare alla fine, ma quando rincorri per tutta la partita è difficile». Sempre dalla Lettonia, Marco Spissu sottolinea un aspetto: «Abbiamo provato dalla panca a mettere un po’ di energia una volta in campo, correre un po’ di più e fare dei canestri facili generando pressione. Stava andando nel verso giusto, anche se quando Luka si accende è difficile da spegnere. È andata un po’ meglio quando abbiamo fatto show sui suoi pick&roll, l’ha mollata un po’ mentre sui cambi ci stava ammazzando tutti».

«Abbiamo difeso bene, rischiando un po’ sugli altri che hanno segnato dei canestri difficili. Fa malissimo, perché ci credevamo, dal primo giorno di lavoro il 23 luglio in montagna», continua il play di Saragozza. «I doppi tiri, i liberi, queste cose ci hanno fatto male e hanno pesato tantissimo: quando devi recuperare un varco così grande ogni dettaglio fa la minima differenza. Ce l’abbiamo messa tutta, possiamo recriminare poco. Non siamo stati fortunati nel tabellone ma si gioca per vincere e non per fare calcoli. Fa male perché ci credevamo, abbiamo dato l’anima per una medaglia che ancora non arriva. Il futuro è roseo e sono sicuro che nei prossimi tornei ci toglieremo grandissime soddisfazioni, perché i giovani hanno un talento incredibile».

Non è sbagliato affermare come questa sconfitta contro la Slovenia abbia mostrato in modo evidente i pregi e i difetti di questa squadra. Non è mancata (mai, nemmeno sul -17 con 7’ da giocare) la voglia di non mollare, di provare a dire sempre la propria. Questa è una cosa che non va data per scontata e non perché sia giusto celebrare una sconfitta, ma perché la capacità di restare connessi e di spendere il massimo delle proprie risorse è una delle caratteristiche fondamentali per costruire una squadra vincente.

La determinazione non è bastata, però, per sovvertire un risultato maturato per bravura degli avversari - quella di Dončić è semplicemente una delle migliori prestazioni nella storia del torneo, e non è da sottovalutare l’impatto che ha avuto sui propri compagni nel portarli a elevare i propri limiti - come per mancanze proprie, soprattutto in avvio di partita. Come è tradizione nell’analisi di un risultato sportivo, e questa nazionale non fa certamente eccezione vista la sua capacità di generare analisi forti e talvolta anche ingenerose a caldo, si sono aperti i “processi ai colpevoli”. Ammesso che questi servano davvero, però.

DA DOVE (E CHI) PARTIRÀ IL FUTURO AZZURRO
Sicuramente non da due elementi importanti della storia del nostro basket, che hanno annunciato o confermato un addio nel post partita di Riga. Che l’Europeo 2025 sarebbe stato l’ultimo giro in azzurro di Danilo Gallinari era noto da mesi, e il Gallo - che contro la Slovenia ha giocato la sua migliore partita a EuroBasket - è stato omaggiato alla sirena finale anche dal presidente di FIBA Europe Jorge Garbajosa per una carriera comunque importante a livello internazionale nonostante sia stata priva di vittorie e grandi soddisfazioni.

«Volevamo fare meglio nell’ultima estate del Gallo», ha detto Saliou Niang, mentre Nicolò Melli ha aggiunto: «È un peccato che non ci sia stato un epilogo migliore. Sono orgoglioso di avere condiviso spogliatoio e campo con lui. È stato sfortunato con gli infortuni e avrebbe potuto fare molto di più, ma deve comunque essere orgoglioso di quanto ha raggiunto».

La vita azzurra dopo Italia-Slovenia non riguarderà nemmeno Gianmarco Pozzecco, che ha dopo la partita ha rassegnato le dimissioni. «Dispiace, perché ha continuato quanto aveva fatto Meo (Sacchetti, ndr) riportando il divertimento, la gioia, la voglia di venire in Nazionale», ha detto di lui capitan Nicolò Melli nella conferenza stampa successiva alla partita. «È un peccato che non ci sia stata la ciliegina sulla torta, tre anni fa ci siamo andati molto vicini. Abbiamo dimostrato molto carattere ma non è bastato: le nuove leve sono molto promettenti e spero che loro riescano a togliersi più soddisfazioni di noi».

Il capitano azzurro ha più volte dichiarato, in passato, la volontà di continuare a inseguire un sogno chiamato Los Angeles 2028 - eguagliando la madre Julie, olimpionica nella pallavolo ai giochi del 1984 - e nulla lascia presagire che Melli non sarà il primo a confermare la voglia di continuare a esserci, per coltivare questo sogno e continuare a tramandare i valori e l’identità di un gruppo che ha tanto di buono che non può essere dimenticato sotto la patina della delusione per il risultato sportivo.

«Da questo Europeo esco sicuramente più forte di prima, la fiducia di Pozzecco mi ha aiutato e dato molto», ha detto in zona mista Saliou Niang, che contro la Slovenia ha confermato il suo essere la storia di questo europeo azzurro. La prova generale della prima esperienza con la nazionale maggiore è ampiamente superata e alle porte, per il classe 2004, c’è una stagione di grande formazione cestistica con la prima esperienza in Eurolega alla Virtus Bologna. Una squadra che verosimilmente punterà tanto - in termini di minuti e responsabilità crescenti nel corso della stagione - su Niang come su Momo Diouf, altro elemento più che promosso di questa spedizione a EuroBasket. «Abbiamo lottato, le esperienze sono fatte di alti e bassi. Cercheremo di imparare da questa lezione e di fare meglio», ha detto il centro bianconero. «Vogliamo rappresentare bene questa nazionale negli anni a venire. Ho imparato tantissimo da Simo, è un giocatore da cui si può solo apprendere perché è un esempio per noi giovani, che aspiriamo ad arrivare ai suoi livelli».

Fontecchio sarà parte importante di questo gruppo soprattutto nel quadriennio olimpico in corso, che per l’Italia vedrà la corsa prima al Mondiale in Qatar e poi all’Olimpiade di Los Angeles. Come saranno pienamente coinvolti gli altri giovani di questo gruppo tra presenti - oltre al duo virtussino, anche elementi come Spagnolo e Procida, attesi entrambi da una stagione ad alto livello in ACB ed Eurolega, rispettivamente con Baskonia e Real Madrid - e assenti, come per esempio Dame Sarr. Un giocatore la cui disponibilità era già stata sondata per questa estate azzurra, precedente all’annata inaugurale in NCAA con la maglia di Duke. Le aspettative su di lui sono alte - si parla già di una possibile posizione in lottery nel prossimo Draft - e l’opinione dell’ambiente azzurro dopo le prime esperienze con la maggiore negli scorsi mesi è eccellente.

Il futuro sarà di alcuni che fanno già parte del gruppo azzurro, come chi nella maggiore deve ancora esordire: dai giovani campioni d’Europa con l’Under 20 (su tutti Francesco Ferrari), a elementi persino più giovani - tipo la leva del 2007 - attesi da una stagione fondamentale tra NCAA, ABA Liga (Luigi Suigo col Mega Bemax) e Germania (Diego Garavaglia a Ulm). Il futuro è indubbiamente interessante e saranno le prossime stagioni dei più giovani a determinare quanto roseo sarà, ma le prime indicazioni sono senz’altro positive, se si pensa ai profili dei giocatori che stanno emergendo e a come questi sembrano in linea con ciò che viene richiesto a una pallacanestro ambiziosa in età contemporanea. Fisico, velocità nel correre il campo, abilità e range di tiro: le nuove leve azzurre possiedono questi mezzi e nei prossimi anni - cruciali per le proprie carriere - avranno la possibilità di svilupparli in contesti di alto livello per formazione e opportunità di mettersi in gioco.

Ci sono anche elementi importanti della cosiddetta generazione di mezzo di cui tenere conto, perché in grado di fornire contributo concreto e ben più che utile nelle prossime manifestazioni internazionali, dalle fasi finali ai mai scontati cammini di qualificazione. Da Pajola, Thompson (una possibile alternativa per lo spot di naturalizzato, in attesa di Donte DiVincenzo, è Grant Basile di Cantù, atteso dalla sua prima stagione nella massima serie) e Spissu - tutti capaci di generare diversi momenti positivi nel corso di un torneo che, va ricordato, ci ha comunque visto vincere quattro partite su sei - a ragazzi che fanno parte del giro azzurro e sono stati tagliati alla vigilia del torneo come Caruso, Severini, Bortolani, Rossato, Flaccadori e Baldasso. Senza dimenticare i più esperti (Pippo Ricci in primis) o chi emergerà dalla nuova stagione di Serie A.

Un pool ampio di giocatori, perché i prossimi step non sono solo importanti e cruciali nell’ottica di spezzare il digiuno di medaglie - destinato a proseguire per almeno altri due anni - quanto nell’affrontare un difficile cammino di qualificazione al prossimo Mondiale, percorso che inizierà a fine novembre in una finestra in cui il contributo dei giocatori di Eurolega sarà quantomeno fortemente limitato dal calendario. Soltanto tre squadre tra Serbia, Turchia, Bosnia, Svizzera, Gran Bretagna, Italia, Islanda e Lituania giocheranno nel 2027 in Qatar, e sarà fondamentale far bene sin da subito nel primo gironcino che ci vedrà contrapposti a britannici, islandesi e lituani anche perché ogni partita (e risultato) conta.

Come detto, alla guida dell'Italia non ci sarà Pozzecco. La sua esperienza si chiude dopo quattro estati e altrettanti tornei disputati: due Europei, un Mondiale e un Preolimpico. Un’esperienza con più momenti positivi che negativi se parliamo di risultato sportivo, con i momenti migliori rappresentati dal ritorno azzurro - con merito - tra le prime otto di un Mondiale dopo 25 anni e una semifinale continentale sfiorata a Berlino nel 2022. L’era Pozzecco è stata discussa a lungo e in maniera anche stancante sui social più per le opinioni generate dal personaggio (e dall’allenatore) che per gli effettivi pregi e difetti espressi dalla sua squadra.

L’eredità azzurra di Pozzecco è riscontrabile nella grande quantità di giocatori fatti esordire nel giro azzurro, e coinvolti da lui e dal suo staff in tornei e finestre di qualificazione, oltre a quelle qualità umane sottolineate da Melli e in continuità con la gestione Sacchetti. Un’eredità importante, di cui il prossimo allenatore dovrà tenere conto nel costruire la squadra che proverà a dire la sua tra Qatar e Stati Uniti nel prossimo triennio. Le prime voci dei giornali danno forte il nome di Luca Banchi, che ha lasciato la Lettonia dopo l’eliminazione maturata per mano della Lituania ed è libero anche da impegni con il Club. Parlando con la Gazzetta dello Sport, il presidente FIP Gianni Petrucci ha sottolineato come si confronterà «con Gigi Datome e Salvatore Trainotti, che hanno la responsabilità del Settore Squadre Nazionali maschili».

CHI HA RISPETTATO (ANCHE A FATICA) LE ATTESE
Come tre anni fa a Berlino, gli ottavi di finale non sono stati certamente privi di colpi di scena e risultati sorprendenti. L’aria che tirava a Riga era intelligibile già dalle prime ore del sabato, e dai due incroci posizionati nella mattina (e primo pomeriggio) lettone. Turchia-Svezia e Germania-Portogallo erano due sfide altamente sbilanciate, forse le più distanti come livello delle contendenti stando alle indicazioni emerse dai gironi di Riga e Tampere. In verità sono state sfide apertissime per 38’ in un caso e 30’ nell’altro, partite in cui due squadre arrivate agli ottavi da imbattute hanno sicuramente rischiato la pelle.

A destare l’impressione peggiore è stata sicuramente la Turchia di Ataman. Indolenti, abbastanza passivi al di fuori di un Osman in ritmo - ma con problemi di falli - i turchi si sono portati a contatto fino a due minuti dal termine una Svezia ordinata, continua e abbastanza scolastica nella sua pallacanestro pur sempre valsa una sola vittoria nelle cinque partite giocate a Tampere. Il maggior talento complessivo e la fisicità superiore ha permesso ai turchi di portarla a casa, al costo però di un extra sforzo di Larkin (37’ in campo) e Şengün (35’), con Ataman che ha ridotto all’osso le rotazioni pescando comunque buone risposte da Hazer in uscita dalla panchina.

A sfidare la Turchia ai quarti ci sarà la Polonia, che ha “rispettato il pronostico” rimontando un brutto avvio contro la Bosnia trascinata da Jusuf Nurkic. La squadra di Milicic ha sfruttato - come tre anni fa - un tabellone amico (costruito con merito dopo aver chiuso al secondo posto il girone casalingo di Katowice) confermando il valore aggiunto rappresentato dall’inserimento eccellente di Jordan Loyd: l’esterno del Monaco è l’unico a non giocare in NBA nella Top 10 dei migliori realizzatori di questo Europeo, e aver risollevato morale e coesione tattica di una squadra partita malissimo in preparazione tra brutte prestazioni in amichevole e l’assenza di Jeremy Sochan.

Un quarto di finale apparentemente sbilanciato che però può riservare sorprese, se la Turchia peccherà negli stessi errori visti contro la Svezia - ma anche, per fare un esempio, nella partita di girone contro la Repubblica Ceca priva di vittorie a Riga - perché rispetto ai disciplinati e coesi svedesi la Polonia ha decisamente più frecce in faretra. Dicevamo prima di Germania-Portogallo, partita il cui risultato finale - +27 per i campioni del mondo - dice assai poco di quanto emerso nei primi 30’ di una sfida in cui entrambe le squadre hanno fatto una fatica gigantesca a trovare continuità offensiva.

È assai difficile che le pessime percentuali di tiro nei primi tre quarti della squadra di Mumbrú possano ripetersi anche contro la Slovenia, ma la squadra di Dončić presenta caratteristiche diverse dalle avversarie finora incrociate dai tedeschi tra Tampere e Riga, e per quanto il pronostico sia abbastanza indirizzato non è necessariamente da ritenersi chiuso.

Un altro quarto di finale sarà quello tra Lituania e Grecia, arrivate tra le prime otto dopo avere avuto la meglio di Lettonia e Israele. Più convincente, al netto dello scarto finale, il successo lituano nonostante le diverse assenze: su tutte, quella di Rokas Jokubaitis, grande protagonista nel girone fino all’infortunio che condizionerà a lungo anche la sua stagione col club. A prenderne minuti e responsabilità è stato Arnas Velička, visto anche in Italia con la maglia di Napoli e capace di produrre una doppia-doppia da 21 punti e 11 assist tanto inattesa quanto decisiva.

Da sottolineare anche la vittoria delle scelte di coach Kurtinaitis, che ha ridimensionato ruolo e minuti di Valančiūnas (in campo per soli 9’47”) preferendo affidarsi ad alternative come Marek Blaževič, recuperato dopo l’assenza nell’ultima partita del girone. Alla Lettonia non è bastato il losing effort di Kristaps Porziņģis (34 punti e 19 rimbalzi) per una squadra troppo spuntata dalle assenze e indisponibilità di due elementi chiave, per allungare le rotazioni, come Gražulis e Strautiņš. Pronostico rispettato anche per la Grecia, che ha faticato un po’ troppo contro un Israele mai domo che chiude il suo EuroBasket col bicchiere sicuramente mezzo pieno. Sempre avanti per 40’, ma mai del tutto capace di ammazzare la partita, la squadra di Spanoulis ha avuto il solito ottimo Giannis Antetokounmpo (37 con 10 rimbalzi e 18/21 da 2) e poco altro da un gruppo che complessivamente ha chiuso con un 4/25 da 3. Dato che andrà sicuramente migliorato per raggiungere una semifinale europea che manca dal 2009.

CHI, INVECE, HA STUPITO IL MONDO
È impossibile non partire, in ordine di tempo, dalla prima grande sorpresa. Quella prodotta dalla Finlandia, che ha raggiunto i quarti di finale di un Europeo per la seconda edizione consecutiva imponendo un nuovo e beffardo upset alla Serbia - fuori all’inizio dell’eliminazione diretta come per mano dell’Italia a Berlino - e conquistandosi la possibilità di inseguire la prima semifinale nella sua storia. Un risultato raggiunto costruendo sulla scia del girone casalingo, dove in verità il rendimento era stato meno brillante rispetto al precedente del 2017: al di là della netta sconfitta contro la Germania, comunque da mettere in preventivo, i finnici hanno rischiato soprattutto contro l’Estonia in un ko che avrebbe potuto complicare i conti in ottica passaggio del turno.

Tutt’altro discorso, invece, una volta arrivati a Riga. La squadra di Lassi Tuovi ha prodotto 40’ di altissima intensità, esponendo i limiti difensivi di una Serbia messa nei guai anche dalle discutibili rotazioni di Svetislav Pešić. Un pur positivo Jokić (33 punti e 8 rimbalzi, ma “solo” 4 assist) ha trovato un valido aiuto soltanto dal quasi omonimo Nikola Jović (20 alla sirena per il giocatore di Miami). Con il poco spazio dato ad Avramović che apre qualche interrogativo sulla gestione tecnica, sul banco degli imputati ci sono sicuramente due veterani come Micić (non al meglio) e Marko Gudurić, non nuovo ad una prestazione opaca in una partita da dentro o fuori con la nazionale (1/8 da 3). Una squadra resa nuda dall’infortunio di Bogdanović non ha patito soltanto per il rendimento degli esterni ma anche per l’inadeguatezza nella difesa sotto canestro. La clamorosa vittoria finlandese a rimbalzo è stata anche frutto delle 20 seconde opportunità conquistate in attacco, di cui ben sei “di squadra”: palloni vaganti a rimbalzo non catturati da nessuna delle due squadre ma capaci di produrre una rimessa offensiva. Un aspetto che dice più dei demeriti serbi che dei meriti finlandesi, comunque copiosi.

Oltre a uno splendido Markkanen al di là dell’1 su 8 da 3 e al solito Jantunen di questa meravigliosa stagione che continua per l’ex giocatore di Treviso, è da sottolineare il contributo del supporting cast che non ti aspetti. Da un lato il giovane - classe 2004 - Miro Little, che non è andato lontanissimo dalla tripla doppia (13+8+6) contro avversari dal grande pedigree, dall’altro il match winner nel finale, quell’Elias Valtonen che si è preso la scena con gli otto punti consecutivi che hanno spalancato le porte del paradiso per i finlandesi. Un exploit, quello del giocatore di Granada, reso ancora più sorprendente dal fatto che a Tampere aveva chiuso con soltanto una tripla segnata (su 8 tentate) in cinque partite.

A sfidare la Finlandia mercoledì pomeriggio (dalle 16 ora italiana) ci sarà l’altra squadra che non ti aspetti, l’unica arrivata quarta nel proprio girone a superare la vincitrice di un raggruppamento. Dopo la sorprendente e splendida vittoria iniziale sulla Spagna, la Georgia aveva sofferto negli atti successivi del girone di Limassol anche a causa delle rotazioni ridotte e delle condizioni deficitarie di Shengelia. I netti ko contro Italia (nel secondo tempo) e Grecia (mai in partita) erano stati seguiti dalla vittoria su Cipro e da una sconfitta amara contro la Bosnia, sempre a inseguire nel punteggio ma respinta nel finale dopo una grande rimonta dal -16. Arrivata a Riga grazie al ko della Spagna contro la Grecia, la squadra di Džikić (e dell’italiano Marco Esposito, da due anni nel coaching staff dell’allenatore serbo) ha fatto valere la sua superiorità fisica e sotto canestro contro una Francia resa ancora più spuntata da inesperienza dei suoi giovani e assenze tra i lunghi, aspetto amplificato dopo l’infortunio a Katowice di Sarr.

Cruciale per il raggiungimento di un risultato storico è stato l’avere ritrovato il miglior Shengelia, capace di dominare il confronto diretto con Yabusele e attingere alle stille di energia residua dopo una preparazione resa complicata dai problemi cardiaci accusati in estate. All’MVP delle ultime Finali Scudetto italiane si è aggiunto il miglior Kamar Baldwin visto finora con la maglia georgiana: l’ex Trento è stato finalizzatore eccellente (24 con 8/10 al tiro) e ha aggiunto pericolosità sugli esterni a una squadra che non può vivere solo dei suoi (ottimi) lunghi per essere competitiva. La differenza nelle percentuali dall’arco (10/18 la Georgia, 6/36 la Francia) è stata chiaramente decisiva, ma la squadra di Fauthoux ha condotto per soltanto 3’51” del pomeriggio lettone, complicandosi la vita e subendo un’uscita anticipata dal torneo che non fa necessariamente male ma che dimostra come il lavoro da fare, in ottica 2027 e 2028, sia comunque tanto. E che soprattutto, con due squadre che mercoledì giocheranno per la prima semifinale europea nella loro storia, come nulla di questo EuroBasket 2025 possa essere dato per scontato.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura
Troppo Doncic, non abbastanza Italia – Ultimo Uomo