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Come sta andando l'Italia a Eurobasket
03 set 2025
Cosa ci hanno detto le prime partite dell’Italia di Pozzecco.
(articolo)
14 min
(copertina)
IMAGO / Kostas Pikoulas
(copertina) IMAGO / Kostas Pikoulas
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C’è forse un’immagine che, più di tutte, racconta molto delle prime quattro partite dell’Italia a EuroBasket 2025, chiuse con tre vittorie consecutive - diversissime tra loro - dopo l’iniziale ko contro la Grecia di Giannis Antetokounmpo. Un’istantanea che non descrive bene solo la squadra di Pozzecco ma l’intero ciclo di questa nazionale, nata con Meo Sacchetti e la clamorosa qualificazione a Tokyo 2020 e proseguita poi sotto la gestione dell'attuale CT.

È quella di Gabriele Procida, 0 minuti in tutto l’Europeo (non senza polemiche sui social) prima del secondo tempo contro la Spagna, che si tuffa per due volte contro De Larrea e Puerto su una palla vagante a centrocampo per tenere il possesso azzurro.

Un tuffo da parte del dodicesimo - lo dicono i minuti giocati - uomo di questa squadra, a testimoniare di esserci e di voler dire la sua anche soltanto per un singolo possesso. «Avevo tantissima voglia, sin dal primo giorno. Sapevo di essere pronto e l’avevo detto al Poz, anche a un minuto dalla fine. Mi sono fatto trovare pronto e sono contento», ha detto il neo giocatore del Real Madrid a Sky a fine partita, con Pozzecco che l’ha elogiato («È stato molto bravo dopo tre partite in panchina») rivendicando anche la legittimità delle proprie decisioni: «Alleno io, le scelte le faccio io. Solo i miei assistenti mi possono condizionare».

Il doppio tuffo di Procida è la copertina perfetta per raccontare le prime quattro partite dell’Italia a Limassol - la sfida di giovedì 4 contro una Cipro già eliminata e mai competitiva determinerà il nostro piazzamento, con (almeno) il secondo posto certo in caso di vittoria - perché dimostra come questa sia una squadra che non molla mai. Su nessun possesso, in nessuna situazione di gioco. Non è accaduto nei momenti più difficili, come il primo o il terzo quarto con la Grecia, il secondo parziale con la Georgia o il 13-0 iniziale della Spagna, come non è mai accaduto nemmeno nei tornei degli ultimi anni.

IDENTITÀ E CAPACITÀ DI ADATTAMENTO
Non sono state quattro partite semplici, quelle che hanno aperto l’Europeo azzurro. A partire dall’esordio contro la testa di serie del girone, quella allenata da Vassilis Spanoulis. Una Grecia che ha approcciato l’impegno contro di noi con la dichiarata intenzione di non concedere mai la transizione offensiva, rinunciando del tutto alla possibilità di andare a rimbalzo offensivo - soltanto quattro in 40’, di cui due in una singola azione (chiave) di Thanasis Antetokounmpo - per anestetizzare del tutto ogni possibilità di contropiede azzurro. La scelta di Spanoulis ha pagato dividendi perché contro la Grecia abbiamo sempre inseguito, ma senza mai uscire del tutto dalla partita.

Da un lato le situazioni di gioco, per esempio i pick&roll giocati da Spagnolo che hanno esposto i limiti della frontline greca (la risposta di Spanoulis di partire col duo Antetokounmpo, Kostas-Giannis, sotto canestro a inizio ripresa ha indirizzato la sfida per la Grecia), dall’altro le risposte dei singoli elementi. Lo stesso playmaker brindisino, il cui livello è sceso col passare delle partite anche per le maggiori attenzioni riservategli dalle difese avversarie, ma soprattutto Saliou Niang. La storia, indubbiamente, dell’Europeo azzurro: una continua ascesa che con la Spagna ha toccato il livello finora più alto, ma che ha avuto singoli grandi momenti in ognuna delle quattro partite.

Per esempio, come fermare un 13-0 nei 7’ iniziali.

Il neo giocatore della Virtus Bologna sta vivendo un 2025 da sogno, iniziato con uno spazio sempre più crescente con Trento - con tanto di Coppa Italia vinta in Finale su Milano - e passato anche per una chiamata al Draft NBA e una positiva Summer League con i Cleveland Cavaliers, che sembra aver fatto tanto soprattutto dal punto di vista della consapevolezza e della fiducia nei propri mezzi. Anche nei momenti migliori Niang ha dimostrato il suo essere un diamante grezzo, un giocatore istintivo dalle doti atletiche evidenti ma che necessita ancora di una maggiore lucidità nelle scelte e nella capacità di lettura delle situazioni di gioco.

È per questo che il ruolo cucitogli addosso dallo staff azzurro, quello dell’elemento che porta energia e versatilità - con la capacità di giocare e difendere su tre ruoli - in uscita dalla panchina sembra perfetto. Le prossime saranno ore d’attesa per saperne di più sul problema alla caviglia destra accusato su una situazione senza contatto: dopo l’impegno con Cipro gli azzurri voleranno a Riga dove giocheranno domenica il loro ottavo di finale, contro un’avversaria da definire in quanto la situazione di classifica nel gruppo di Katowice (come quello di Limassol) è estremamente fluida. Le prime dichiarazioni riportate da Sky, però, autorizzano un timido ottimismo.

La capacità di trovare soluzioni e risorse - oltre allo Spagnolo delle prime partite e a Niang è impossibile non citare Momo Diouf, che col passare dei minuti in campo è stato sempre più prezioso sotto canestro contro avversari di pedigree NBA - per far fronte alle difficoltà viste nell’attacco a metà campo è una dimostrazione di come il punto di partenza di questa squadra sia la propria identità, la consapevolezza nei propri mezzi e delle proprie caratteristiche. Elementi che hanno portato l’Italia a reinventarsi rispetto al suo recente passato, andando oltre la necessità di fare affidamento eccessivo sul tiro da tre punti e sulla volontà di correre il campo, aumentando i giri della circolazione di palla.

Momo Diouf ha sempre risposto presente.

Come la Grecia, anche Georgia e Bosnia hanno tentato - con limiti difensivi più evidenti rispetto agli ellenici - di snaturarci e allontanarci dai percorsi a noi più congeniali e non è un caso che gli azzurri siano una delle ultime squadre (la quintultima) per numero di possessi medi. In queste due occasioni l’Italia è stata capace di sapere soffrire, superando i momenti più complessi soprattutto con le coperture sotto canestro su Bitadze prima e Nurkić poi, continuando a giocare la sua pallacanestro adattata alle circostanze presentate dall’avversaria di giornata. Con i georgiani la chiave di volta è stata la line-up composta contemporaneamente da Alessandro Pajola e Darius Thompson: non solo i nostri migliori difensori sugli esterni, ma anche due giocatori poliedrici e versatili che sanno assumersi responsabilità in campo. Il 29-6 di parziale contro i georgiani potrebbe essere ricordato come punto di svolta non solo di quella partita, ma del nostro intero EuroBasket, anche perché da quel momento le rotazioni sono cambiate sensibilmente, riflettendo meglio le necessità della propria (nostra) squadra prima di adattarci sugli altri.

Siamo lontani dall’essere un prodotto finito in situazioni di ritmo lento e pochi possessi, ma la traccia di partenza è importante e i risultati arrivati dopo la sfuriata di Giannis Antetokounmpo nella giornata inaugurale stanno lì a testimoniarlo. La prova di maturità sarà sicuramente la fase a eliminazione diretta, ma rispetto al passato è pacifico sostenere come ci approcceremo alla situazione di partite senza un domani. Anche perché in tutto questo scenario di novità c’è un punto focale a cui possiamo sempre agganciarci: la nostra difesa. Mai oltre gli 80 punti subiti - siamo quinti per Defensive Rating a 97.9, e a differenza delle migliori quattro non abbiamo ancora affrontato squadre a secco di vittorie in questo Europeo - e sempre in controllo a livello mentale, è nella metà campo difensiva che abbiamo sempre trovato il ritmo necessario per mutare il nostro vestito offensivo.

TANTO (MA NON TUTTO), COMUNQUE, PARTE DA FONTECCHIO E MELLI
Ovvero i due giocatori più attesi e discussi di questa squadra, elementi di categoria superiore e non soltanto perché parliamo di uno che gioca in NBA da anni e di un altro fresco di vittoria dell’Eurolega. Simone Fontecchio vanta una gara da leggenda, i 39 punti alla Bosnia - migliore prestazione di sempre per un giocatore italiano nelle fasi finali di un Europeo, a -6 dal record assoluto di Antonello Riva - e tre partite segnate da difficoltà marcate al tiro, per poco ritmo in primis ma anche per efficaci e aggressive difese avversarie.

Fontecchio ha però avuto pazienza, forzando poche conclusioni e in generale lasciando che la partita potesse venire a lui. Al di là degli storici 39 punti segnati contro la Bosnia, il neo giocatore dei Miami Heat si è segnalato quindi per ottimi spunti difensivi: il migliore di questi, senza ombra di dubbio, è stato quello contro un giocatore decisivo nella vittoria contro la Spagna nel turno inaugurale, ovvero Sandro Mamukelashvili. Dopo il lavoro di sacrificio e abnegazione sul giocatore degli Spurs - pure in una nuova serata dove il tiro dall’arco non entrava, con Fontecchio che si è comunque reso utile in attacco con diverse soluzioni vicine al ferro - è arrivato l’exploit contro Nurkić e compagni, i 39 punti che hanno fatto il giro del mondo.

Simone ha superato i 36 punti messi a segno da Bargnani nell’edizione 2011 contro la Lettonia, una delle spedizioni più amare nella recente storia azzurra.

È chiaro che i nostri destini in questa competizione sono legati a un miglioramento delle percentuali di tiro di Fontecchio (al momento della scrittura di questo articolo siamo al 38.5% complessivo dal campo, su 13 tentativi di media), ma la capacità di essere maggiormente finalizzatore di una manovra offensiva non costruita da lui, di limitare i momenti in cui costruire per se stesso - non tanto per caratteristiche sue, quanto per come questo aspetto lo esponga a una maggiore aggressività difensiva degli avversari - possa pagare ottimi dividendi a lungo andare. È stato importante, poi, vivere momenti in cui gli altri elementi del roster hanno saputo a turno prendersi maggiori responsabilità offensive.

Un esempio è quello del capitano, Nicolò Melli. Togliendo dall’equazione la proverbiale virgola con cui si è chiusa la sfida alla Spagna (0/3 al tiro in una serata difficile anche per problemi di falli), il giocatore fresco di titolo europeo col Fenerbahce ha flirtato con la doppia cifra di media, con il punto più alto rappresentato dai 15 punti segnati alla Grecia, partita che ha messo in scena diversi momenti di brillantezza offensiva propri di un’altra fase della carriera del lungo reggiano, che nel suo CV vanta anche una delle migliori prestazioni messe a segno in una Finale di Eurolega.

Quei 28 punti non bastarono per conquistare un titolo poi raggiunto 7 anni dopo.

Sulla copertina del libro di EuroBasket di Melli c’è finora il matchup difensivo con Toko Shengelia, totalmente tolto dai giochi nella sfida con la Georgia al di là dello stato di forma deficitario dell’ex giocatore della Virtus Bologna. Una sfida nella sfida che si è più volte riproposta negli ultimi anni - soprattutto in Finale Scudetto tra le Vu Nere e l’Olimpia Milano - e che ha reso Melli una sorta di kriptonite del giocatore georgiano, spesso rebus di difficile soluzione per le difese europee. Non c’è solo il rendimento sul parquet, però. Parliamo di un punto di riferimento focale per tutto il gruppo, di un leader che ha saputo indirizzare anche l’amalgama tra coloro che sono veterani più avvezzi alle logiche di questa squadra - il pensiero va a due elementi come Ricci e Spissu, cresciuti tanto con l’avanzare dell’Europeo - ai nuovi innesti, che questi siano giovani o più esperti come Thompson o Gallinari. Un gruppo sano, che gioca per un obiettivo non solo sportivo (la “presenza” di Achille Polonara è meno “dichiarata” rispetto alla preparazione, ma c’è) ed è il risultato delle scelte del suo allenatore.

CHIUNQUE HA UN'OPINIONE SU GIANMARCO POZZECCO
Non è mai stato sbagliato definire il CT azzurro come l’unica vera rockstar della pallacanestro italiana. Da sempre generatore e alimentatore di pensieri esterni, opinioni, pareri e pregiudizi, Gianmarco Pozzecco è sempre stato discusso. Lo è stato da giocatore, in una carriera vincente ed esaltante che forse avrebbe meritato maggiori soddisfazioni e considerazioni, lo è da allenatore in un percorso che in un decennio abbondante ha riservato più luci che ombre. «Oggi io alleno esattamente come avrei voluto essere allenato»: la frase che Pozzecco ci diceva in un’intervista qualche anno fa è indubbiamente attuale, e non è un caso come tutti i suoi gruppi abbiano il minimo comune denominatore di una connessione profonda con l’appassionato e competente staff che lo accompagna.

Tra le cose che fanno discutere maggiormente di Pozzecco sui social e sui media ci sono le sue interviste post partita, indubbiamente inusuali se pensiamo allo standard degli allenatori. Ma che dicono molto, in realtà, dell’intensità con cui vive le partite e fanno trasparire una sorta di svuotamento emotivo appena queste finiscono, un essere esausto.

Un punto di merito di Pozzecco è stato l’aver saputo inserire i nuovi elementi senza forzarne l’ingresso nelle geometrie - e nelle gerarchie - di squadra. Pensiamo a Darius Thompson, elemento entrato in punta di piedi nel gruppo e con un rendimento non esaltante nelle amichevoli di preparazione, come anche nella partita contro la Grecia. L’americano, azzurro per amore, ha saputo aspettare il suo momento che è arrivato nel secondo tempo contro la Georgia. Non tanto per il rendimento offensivo (quello è risultato più evidente nei numeri contro la Bosnia, e pure contro la Spagna Thompson ha trovato canestri importanti), quanto per le sue capacità difensive e le abilità da handler sui pick&roll, punto dolente dell’attacco azzurro: nelle prime due partite l’Italia ha viaggiato ad appena 0.39 punti per possesso nelle 18 situazioni in cui un p&r è stato concluso dal creatore di gioco.

La situazione è migliorata col passare delle partite e non soltanto per l’apporto crescente dal punto di vista offensivo di Diouf, quanto per una crescita del rendimento di Thompson e Spissu - oltre a un consolidamento in fase di creazione di Pajola, forse meno brillante difensivamente rispetto agli altissimi livelli a cui ci ha abituato con la maglia della Virtus ma sicuramente più propositivo e attivo in fase di creazione. Sono state molto discusse, in giro, le scelte a livello di rotazione del nostro CT. Una possibile spiegazione, a ripensare ai 160’ effettivi trascorsi sul parquet, sta nella necessità dell’Italia di avere in campo due creatori di gioco in pressoché ogni momento quando ci ritroviamo a giocare a ritmi bassi e a metà campo: situazione che ha portato al “gioco delle coppie” per quanto riguarda Pajola, Thompson, Spissu e Spagnolo (in ordine di minuti giocati).

Tutto questo, con l’esplosione di Niang che ha conquistato i minuti alle spalle (ma anche al fianco) di Fontecchio ha ridotto lo spazio per il tanto invocato Procida, giocatore dal sicuro avvenire ma dalle caratteristiche da un lato troppo simili allo stesso Niang e dall’altro difficile da gestire col pallone in mano. La partita contro Cipro può servire in questo senso (anche alla luce di un possibile rodaggio, se non proprio mancato impiego, dell’ala della Virtus dopo il problema alla caviglia accusato con la Spagna), a fare entrare definitivamente in ritmo Procida in vista della fase a eliminazione diretta. Pozzecco è poi finito nell’occhio del ciclone anche per i falli tecnici rimediati nel corso del torneo: indubbiamente tanti, col picco dell’espulsione per doppia penalità ricevuta contro la Bosnia, due occasioni di invasione di campo immediatamente ravvisate dalla terna arbitrale.

Per quanto le decisioni in sé siano difficilmente discutibili, è altrettanto vero che il metro arbitrale sul nostro CT è sicuramente meno permissivo rispetto a quello adottato su altri allenatori, dallo status maggiore, pure in questo Europeo. L’eventuale pregiudizio arbitrale è sicuramente inferiore, però, a quello che si legge sui social network dove è indubbiamente rilevante (e forse pure maggioritario) il coro di critiche che accompagna ogni sua osservazione, dichiarazione, perfino inquadratura quando esulta per un canestro azzurro o reagisce a un errore o gestisce un minuto di sospensione. Gianmarco Pozzecco polarizza la discussione attorno a questa squadra molto di più di quanto non sia in grado di fare qualsiasi allenatore del basket italiano - forse le ultime annate difficili della Milano di Ettore Messina ci si avvicinano - e questa situazione fa perdere di vista uno degli aspetti più importanti per capire e comprendere questa squadra.

L’Italia che da domenica giocherà partite senza un domani per inseguire una medaglia che manca dal 2004 - e che spera di rompere la secca nella stessa estate in cui ci è riuscita la squadra femminile - è competitiva e coinvolgente perché è diretta conseguenza delle caratteristiche tecniche e identitarie del suo allenatore. Una squadra che riesce sempre a trovare un modo, attingendo a risorse presenti ma che talvolta sembra non essere del tutto consapevole di avere. Perché tutti sono in grado di prendersi responsabilità in più alla bisogna, di fornire il proprio apporto e semplicemente di dare tutto, come il doppio tuffo di Procida esemplifica in un gesto. Credete davvero che sarebbe possibile con un allenatore qualsiasi, con dei leader qualunque in termini di gruppo?

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