
In un periodo storico in cui nello sport si pone molta attenzione al concetto di empowerment, alla piattaforma che un atleta ha a disposizione oltre le sue prestazioni, c'è una crescente attenzione alla vita “dopo il campo”. Nel calcio, per esempio, si parla molto della corsia “preferenziale” che gli ex calciatori hanno per perseguire una carriera da allenatore, ma anche negli altri sport è frequente la discussione sull’importanza di costruire un nuovo percorso professionale dopo la fine della prima carriera, quella da atleta.
Negli ultimi anni la pallacanestro - soprattutto in Europa, ma non solo - ha visto diversi ex giocatori assurgere a ruoli dirigenziali, di vertice, a livello federale. Jorge Garbajosa è stato a capo della federazione spagnola e oggi guida la FIBA a livello europeo; personaggi come Hedo Turkoglu, Andrei Kirilenko, Yao Ming sono ai vertici delle massime autorità cestistiche di Turchia, Russia e Cina e pure negli Stati Uniti, dopo l’era Colangelo, la struttura di USA Basketball è gestita da un ex atleta come Grant Hill. Da poco più di un anno, svestiti al termine del Mondiale 2023 i panni del giocatore, Gigi Datome è un riferimento centrale della struttura delle nazionali maschili italiane. Prima come capo delegazione della nazionale maggiore e poi, da maggio 2024, come Coordinatore delle Attività del Settore Squadre Nazionali maschili. Ruoli che hanno portato a cambi di vita - da Milano Datome si è trasferito a Roma con la famiglia, per esempio - ma anche del modo in cui un uomo da oltre 200 presenze con la nazionale maggiore e un decennio da capitano ha continuato a vivere l’azzurro.

«Quest’anno è volato», ci dice a margine del ritiro azzurro in Trentino per preparare l’appuntamento di EuroBasket 2025, «le cose da fare sono state tante e ho imparato molto, ma allo stesso tempo ho ancora tanto da imparare. Mi vedo un po’ di più a mio agio in questo ruolo, perché all’inizio ero quello che voleva fare di tutto per aiutare chiunque, invece mi sono reso conto che è giusto delegare, che ognuno abbia le sue responsabilità, anche perché l’organizzazione della Nazionale andava benissimo anche prima che arrivassi io. Mi piace moltissimo quello che stiamo facendo per strutturare le giovanili, a partire dal progetto Academy che adesso abbiamo impostato per i prossimi tre anni, perché partiamo dalla base per arrivare, in un’ideale piramide, alle nazionali giovanili e a quella A. Con i ragazzi è facile perché sono tutti splendidi nell’impegno e nella serietà, con un capitano come Nick (Melli, ndr) che mi fa dormire sonni tranquilli e uno staff ben oleato. È ovvio che si può sempre migliorare, e cerco sempre di chiedere stimoli e risolvere i problemi prima che questi emergano, ma tutti vogliamo la stessa cosa: lavorare al meglio. Durante l’anno c’è più tempo per stare con la famiglia, ma in questi giorni sei a disposizione per 20 ore su 24 perché è una cosa speciale che i ragazzi devono avvertire, per rendere al meglio».

Il punto sulle giovanili, su cui Datome si sofferma a lungo nella nostra conversazione, è particolarmente importante anche in termini di attualità. Sono settimane ricche di soddisfazioni per il basket italiano in questo senso: allo storico e indimenticabile oro della Nazionale Under 20, capace di issarsi sul trono continentale dopo 11 anni nonostante assenze e infortuni, sta seguendo la cavalcata dell’Under 18 chiusa con il bronzo, con la leva del 2007 che sta confermando - pur priva di due elementi di riferimento come Suigo e Perez - i livelli raggiunti con gli argenti ottenuti all’Europeo Under 16 e al Mondiale Under 17. «Una delle gratificazioni migliori che sto vivendo», dice Datome, «sta proprio nel vedere come i ragazzi crescano all’interno della struttura della Federazione, anche per merito del lavoro che ‘fanno a casa’ con i club. Faccio l’esempio dei più piccoli, i 2009 che adesso sono in Under 16. Li ho visti a dicembre al torneo di Iscar, li ho beccati qualche mese dopo a Borgomanero prima e Bassano poi, passano i mesi e tu li vedi proprio trasformati, fisicamente e in personalità».
«Come Nazionale dobbiamo dare queste possibilità, creando un ambiente dove si compete a un livello più alto perché sono i ragazzi della stessa età migliori d’Italia, dando loro l’occasione di misurarsi con le avversarie di altri Paesi - qualcosa di incredibilmente bello - e di percepire una certa cultura. Qualcuno di loro farà il giocatore per tutta la vita, altri no, ma questa cultura e questi valori rimangono per sempre, e la devono avvertire quando vengono in Nazionale. Non soltanto per la felicità di rappresentare l’Italia, ma per il clima di serietà, professionalità e valori. Cose che insieme formano una cultura che stiamo cercando di sviluppare. È un periodo storico un po’ in divenire anche per il ruolo che giocano i college, e in generale i più giovani sono presi - legittimamente - dai loro percorsi individuali con la Nazionale che può essere messa in dubbio, come intralcio alle loro carriere personali. Risultati come quelli dell’Under 15 che vince il Trofeo dell’Amicizia dopo 16 anni, o l’oro dell’Under 20, sono emozioni che si ricordano per tutta la vita. Nelle giovanili il nostro obiettivo», prosegue Datome, «non è necessariamente vincere le competizioni, sarebbe un po’ riduttivo. È far sì che il maggior numero possibile di giocatori arrivi dalle giovanili alla Nazionale A. Significherebbe che li stiamo formando nel modo giusto, insieme alle società. E se questo accadrà, troveranno un ambiente ben preciso con una cultura e un’identità a cui stiamo lavorando con Salvatore Trainotti».
Se questo è lo stato dell’opera legato alle giovanili, per quanto riguarda la Nazionale maggiore il discorso cambia perché è tendenzialmente diverso il contesto in cui ci si trova. A livello giovanile l’emergere del fattore NCAA con i NIL è da verificare sotto il profilo della disponibilità degli atleti per le nazionali giovanili e maggiori; tra i “grandi”, invece, c’è il fattore legato alle finestre FIBA, disputate per lo più durante le stagioni sportive con l’impossibilità di attingere ai giocatori NBA e con grandi difficoltà per quanto riguarda quelli di Eurolega, difficoltà accentuate dall’allargamento a 20 squadre a partire dal 2025/26 che contribuirà a congestionare ulteriormente il calendario sportivo a fronte di benefici economici tutt’altro che evidenti e verificabili. Il ciclo si esaurirà con il Mondiale 2027 in Qatar e l’Olimpiade di Los Angeles del 2028. In quell’occasione ricorrerà il ‘decennale’ dall’inserimento della formula delle finestre, che ha mietuto negli anni, sulla strada per i tornei continentali o intercontinentali, vittime eccellenti come Slovenia, Croazia o Argentina.
Non noi, però. Al contrario, l’Italia ha saputo cogliere l’occasione riuscendo a centrare le qualificazioni ai tornei internazionali come Europei e Mondiali in modo anche abbastanza agevole, anche se l’asticella si alzerà sulla strada verso Doha dal momento che dovremo superare almeno una tra Lituania, Serbia e Turchia - tra le altre - per conquistare il pass iridato. «Sono una formula a cui ci dobbiamo adeguare», dice Datome delle finestre, «perché ci sono squadre che le subiscono meno, dato che non avendo giocatori in NBA o in Eurolega il delta tra la squadra delle finestre e quella dei tornei è ridotto. Tanti ragazzi sono stati chiamati per questa ragione e hanno fatto vedere che possono competere bene a livello internazionale, e noi dobbiamo dare il segnale che chi viene per le finestre non è detto che venga esclusivamente per quelle. Faccio l’esempio di Akele, un giocatore che non credo fosse nella testa di Pozzecco per questa estate a inizio stagione e che invece è venuto nel gruppo con un grande atteggiamento e ha fatto molto bene, facendo vedere a Gianmarco che poteva ritagliarsi un ruolo anche nel corso dell’estate».
«Quello che dobbiamo costruire negli anni», continua, «è un bacino d’utenza tale che al di là di infortuni o assenze non ci ritroviamo nei guai se non abbiamo la prima scelta, perché possiamo contare su una seconda o una terza che è di livello simile. La finestra poi è difficile da giudicare, perché in pochi giorni devi metterti insieme e fare bene, non è scontato. Noi siamo stati bravi ma non è stato soltanto frutto del lavoro, anche di un’identità sviluppata negli anni dallo staff. Ci sono stati dei passi falsi come quelli con Islanda e Ungheria in casa, ma fanno parte di una formula in cui devi cercare di fare il meglio possibile, concretizzando in vista di un’estate che puoi dedicare a costruire bene. I ragazzi sono stati incredibili per impegno e dedizione».
A tenere banco, negli ultimi giorni, è stato sicuramente il tema relativo a Donte DiVincenzo. Conclusa positivamente la pratica burocratica legata alla sua naturalizzazione, con la concessione del passaporto italiano, nonostante l’invito della FIP a partecipare agli allenamenti azzurri a partire dal ritiro in Trentino, il giocatore dei Minnesota Timberwolves non esordirà quest’estate con la nostra Nazionale a causa del riacutizzarsi di un infortunio all’alluce già accusato nel corso della stagione NBA. «Io penso che la chiarezza premi sempre», afferma a riguardo Datome, che ha ufficializzato nel corso di una conferenza stampa col CT Pozzecco l’assenza dell’ex Warriors e la convocazione del play di Valencia Darius Thompson al suo posto, «con l’infortunio di Donte abbiamo condiviso il fatto di doverlo dire. La chiarezza premia sempre, quando sei in buona fede e coerente con le tue azioni. I giudizi affrettati della gente li capisco, poiché l’entusiasmo era tanto, ma noi dobbiamo preoccuparci di fare le cose in un certo modo, e riflettiamo molto se potevamo fare qualcosa meglio o in maniera diversa. Le decisioni non sono mai affrettate o prese singolarmente ma di sistema, con la presidenza, la segreteria e lo staff».
«Il caso DiVincenzo», continua, «aveva poi coinvolto anche l’alta politica, non potevamo prendere delle decisioni e fare delle comunicazioni a cuor leggero. Una volta che ti sei comportato in maniera lucida e onesta, raccontando quanto accaduto, e c’è buona fede da ambo le parti, tutto diventa facile. Capisco vi sia stato tanto rumore, non ci aspettavamo nulla di diverso, ma la conferenza stampa era anche l’occasione - e l’ho detto - per tirare una linea e concentrarci sui ragazzi che sono qui adesso, che sudano e si impegnano. C’è sempre stato il tormentone di parlare di chi non c’era, di cosa manca, ma c’è un gruppo qui che si impegna e a cui siamo grati, è giusto che l’attenzione adesso sia anche su di loro come lo sarebbe stata su DiVincenzo se fosse stato sano e qui con noi. Andiamo avanti, con una grande soluzione come Thompson».
Gli anni a Istanbul sono stati ricchi di alti e bassi, ma il valore dell’ex Brindisi è innegabile e le sue caratteristiche lo rendono un fit potenzialmente ottimo per il gruppo azzurro.
L’ex play di Baskonia ed Efes, prossimo a una nuova avventura in ACB con Valencia, si aggiunge alla lista di italiani per matrimonio che hanno già fatto parte della nostra Nazionale in altri anni, e si unirà definitivamente alla squadra nell’avvicinamento all’amichevole di Trieste contro la Lettonia di sabato 9 agosto. Bisognerà verificarne l’inserimento, in un gruppo affiatato come quello azzurro, ma Datome non è preoccupato: «I ragazzi sono molto svegli e capiscono subito quali sono i punti di riferimento, chi esagera e chi è da seguire. L’obiettivo è di far trovare a chi arriva un ambiente serio, professionale, attento con dei giocatori che lavorano duro, perché poi l’inserimento è quasi automatico. Faccio l’esempio di Dame Sarr (che non è nel gruppo azzurro quest’estate per via degli impegni con Duke, ndr), che si è inserito bene e con grande semplicità durante la finestra anche se non può certo sentirsi come un Pajola, che è qui da tante estati».
L’ex capitano azzurro sottolinea un altro aspetto importante, a volte sottovalutato: «Non è detto poi che se giochi bene nel club lo fai anche in Nazionale. Ci sono dinamiche, giocatori, allenatori e aspettative diverse, hai molto di più gli occhi addosso. Dobbiamo mettere tutti a loro agio e lo facciamo, aiutandoli in ogni modo e facendo capire loro cosa voglia dire la Nazionale, trasmettendo tutto ciò sin dalle giovanili con gli stessi principi e gli stessi valori. Per esempio il tenere prima alla salute di un giocatore che a un risultato. Faccio l’esempio di un ragazzo che si è fatto male al ginocchio prima dell’Europeo Under 20. Lui voleva esserci a tutti i costi, perché è un ragazzo molto generoso, ma era un rischio venire prima di andare al college in autunno. Un rischio che non mi sono sentito di fargli correre, a discapito nostro perché abbiamo rinunciato a un ottimo giocatore. Lo facciamo con i giovani come con i grandi: la salute di ogni atleta è il 100% dell’atleta stesso, ognuno ha la propria carriera che per un giocatore è la cosa più importante del mondo, sia che si finisca a giocare in Serie B che in NBA».
«Questi valori li ho vissuti», prosegue Datome, «e tutte le cose belle che ho raggiunto le ho ottenute attraverso questi valori. Sentirsi dire tutto questo da un ex giocatore credo possa fare breccia maggiormente, ma questo non vuol dire non dare responsabilità ai ragazzi. Quando si parla di salute, per esempio, dobbiamo presentare gli scenari, i gradi di rischio e fare capire perché una scelta abbia senso o meno. Le generazioni stanno cambiando e personalmente devo essere abbastanza bravo da non pensare troppo con la testa che avevo quando giocavo, anche perché vorrei fare questo lavoro ancora per qualche anno e le generazioni cambiano molto velocemente. In tutti gli ambienti sportivi che ho vissuto ad alto livello, dalla NBA al Fenerbahce o Milano e Roma nell’anno della Finale, c’erano dei valori che ci hanno fatto andare al di là delle nostre potenzialità. Ed è verso quei valori che cerco di non portare solo i ragazzi, ma tutti i gruppi di lavoro, per rendere insieme al meglio».
Questi mesi federali hanno portato anche degli insegnamenti. Uno che Datome cita è la necessità di «pensare molto più di sistema che per piccoli casi; capisco che tante critiche possano arrivare da enti diversi che vedono le cose dalla loro prospettiva, ma la Nazionale e la Federazione devono agire di sistema, consapevoli che quando prendi delle decisioni scontenterai per forza qualcuno. A livello macro ma anche nel piccolo di una squadra, qualcuno potrà non essere contento delle scelte tecniche del Poz. Non dobbiamo mai dare per scontato come i ragazzi siano qui con grande impegno e serietà, scegliendo di dedicare quel poco tempo libero in stagioni infinite a una cosa come la Nazionale, mettendosi a disposizione completamente della stessa. Lo tengo sempre a mente, cercando di interpretare i malumori e i desideri dei singoli, di andargli incontro. Ma non deve mai mancare la voglia di esserci, di impegnarsi, di voler rappresentare al meglio il proprio paese. E devo dire che per fortuna tutto ciò non è mai mancato».
Gli ultimi anni hanno visto gli azzurri raggiungere livelli importanti ma uno scoglio invalicabile come le colonne d’Ercole, i Quarti di finale. Dal 2013 e con l’eccezione del solo Mondiale 2019, ogni torneo maggiore a cui abbiamo partecipato - cioè tutti a esclusione delle Olimpiadi 2016 e 2024 e del Mondiale 2014 - hanno visto l’Italbasket uscire dalla corsa alle medaglie una volta entrata tra le prime otto classificate. Nonostante questo, è palpabile l’amore che circonda questa squadra a ogni uscita pubblica nel nostro Paese, tra partite amichevoli e finestre durante la stagione. Un sentimento vero e forte che prescinde dal raggiungimento di risultati e che per certi versi rende ancora più bello l’ottenimento degli stessi: «Penso che il basket in genere abbia un grande seguito e che siano tanti anni che la Nazionale stia trasmettendo qualcosa, è raro che si faccia una manifestazione piatta. Fare risultato per me è una medaglia, e se vedi chi l’ha ottenuta in questi ultimi anni capisci che si tratta di squadre più forti di noi, comprendi come non vi sia mai stata una vera e propria outsider. Noi abbiamo cercato di superare l’ostacolo dei Quarti di finale e l’obiettivo è sempre quello di essere lì, di cercare di abbattere questo muro per portarci a una vittoria dalle medaglie. Lo è anche per me personalmente: non l’ho mai raggiunto come giocatore e farlo adesso sarebbe il traguardo più importante di questo momento della mia carriera».
«Non serve essere dei geni per capire che il risultato non si raggiunge dal 2004, basta vedere su Wikipedia», conclude Datome. «Si va in campo avendo, alle spalle, un lavoro importante: quanto abbiamo fatto è stato notevole, forse dato un po’ per scontato. Ci sono state squadre di un livello superiore e a volte siamo anche andati oltre i nostri limiti, come le partite contro la Serbia o quando ci siamo andati vicino contro la Francia. Ci sono stati momenti belli, forse solo l’anno scorso non siamo stati felicissimi, pur in un contesto particolare come quello di un Preolimpico alla fine di una lunga stagione. Vorrei che questa squadra passi e sia ricordata come una in cui i tifosi si identificano, che ha giocatori ad alto livello che sono sempre a disposizione del gruppo, che giocano in un modo diverso quando sono qui, che si buttano a terra una volta di più e si aiutano una volta in più. La Nazionale serve a questo. Ci si esalta veramente nelle vittorie, tutti sono felici quando c’è da festeggiare qualcosa. Sono emozioni che arrivano e si trasmettono anche da lontano, sarebbe bello fare proprio qualcosa al di là dei nostri limiti per raggiungere un risultato bellissimo, come quanto hanno fatto le ragazze quest’estate: da quando ho smesso non mi sono mai emozionato così tanto come ho fatto per le loro partite. Vorrei che da casa la gente si possa emozionare come mi sono emozionato io guardando l’ultimo Europeo femminile, e se tutto questo potrà coincidere con il risultato saremo le persone più felici del mondo. Siamo realisti e cercheremo di fare il meglio sempre, provandoci».