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Cosa abbiamo imparato in questo Mondiale
22 dic 2022
22 dic 2022
5 temi tattici che si sono affermati in questo torneo.
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Richard Heathcote/Getty Images
(foto) Richard Heathcote/Getty Images
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.I Mondiali non hanno più la rilevanza tattica che avevano qualche anno fa, ma loro influenza nei confronti dell'opinione pubblica globale rimane intatta. Non solo i giocatori, ma anche le squadre più rilevanti rimangono intatte nella memoria per molto tempo e hanno il potere di plasmare tendenze tattiche e stili di gioco degli anni a venire. I nostri autori hanno individuato cinque temi tattici usciti in questo Mondiale che potrebbero fare lo stesso. Buona lettura.Il Mondiale del “non possesso” (tranne la finale)di Daniele Manusia«Il possesso palla… ci sono passato anche io. Era il mio sogno, c’è stato un periodo in cui Guardiola mi faceva impazzire. Il possesso, il tiki-taka…. certo quando hai De Bruyne e Bernardo Silva è bello… Vincere. A me questo interessa. Penso che a molti giornalisti europei che hanno criticato il nostro gioco dia fastidio vedere una squadra africana giocare come quelle europee». Walid Regragui al proprio meglio, dopo aver eliminato Spagna e Portogallo e prima di giocare contro la Francia, si è lanciato in un discorso complesso sul piano culturale (in bilico tra denuncia e validazione degli stereotipi correnti sul calcio africano) ma piuttosto chiaro su quello calcistico. Il possesso è uno strumento tra i tanti a disposizione delle squadre per vincere le partite; e non c’è un modo migliore di un altro, “più giusto” di un altro, per arrivare a quello scopo a cui mirano tutti. Tutto così condivisibile che non si capisce davvero chi sostenga la tesi opposta - ovvero che il possesso palla è più importante dei tiri in porta, dei gol - a chi non interessi vincere. In ogni caso, questa è stata la Coppa del Mondo di chi la pensa come Regragui e magari cercava una conferma empirica. È stato il Mondiale del “non possesso”, in cui, come ha calcolato The Athletic, le squadre con la percentuale più bassa a fine partita hanno fatto mediamente più punti.

Ma, insomma, ce ne eravamo accorti anche semplicemente guardando le partite più belle. Gli “upset” che hanno reso questo Mondiale particolarmente affascinante, i tanti Davide che hanno abbattuto Golia. L’Australia che batte la Danimarca con il 31.3% del possesso (i dati vengono da Whoscored); la Tunisia che batte la Francia con il 34.1%; l’Arabia Saudita che fa cominciare il Mondiale all’Argentina con il piede sbagliato con il 30.9%; il Camerun ha battuto il Brasile con il 35.2%; la Corea con il 38.5% ha preso tre punti con il Portogallo. Fino al capolavoro assoluto: il Giappone che vince 2-1 contro la Spagna con un minimale, sottile fino a quasi alla trasparenza, 17.7% del possesso palla. Anzi, non avere la palla tra i piedi sembrava così conveniente che non sono state solo le piccole ad avere un atteggiamento di questo tipo, ma anche alcune “grandi”. Gli USA hanno perso contro l’Olanda con il 58.4% per poi assaggiare il loro stesso veleno contro l’Argentina: la squadra di Van Gaal sullo 0-2 aveva il 59.4% del possesso. La “Scaloneta” ha battuto la Croazia (non proprio una squadra che utilizza il possesso in maniera offensiva) con il 39.2% e la Francia ha vinto con l’Inghilterra con il 42.8%. In parte si può giustificare un simile trend con la logica: la squadra che perde farà qualcosa di più di quella che vince; in parte però è evidente che almeno in questo Mondiale molte squadre hanno scelto la strategia più facile e prudente: far scontrare le avversarie con i loro stessi limiti offensivi. Metterle di fronte al problema di costruire pericoli contro blocchi più o meno bassi e compatti è bastato in molti casi per controllare la partita senza la palla, per poi magari attaccare rapidamente negli spazi. Ma in un torneo in cui si va ai rigori conviene anche solo “non perdere”. Ed è naturale che le Nazionali, specie con pochissima preparazione alle spalle come quest’anno, fatichino più dei club a fare gioco nella trequarti. In Qatar sono mancati i meccanismi, le strategie, persino la sintonia tra i giocatori, e in alcuni casi la qualità. Molto più facile impostare una strategia reattiva e, per chi ne ha a disposizione, poggiarsi sulle invenzioni delle star. Questo, senza tenere conto del fatto che in molte partite nessuna delle due squadre voleva veramente fare possesso e che se lo faceva era di tipo puramente conservativo, una circolazione del pallone tra i difensori più o meno in alto, cercando di aspettare il momento giusto per attaccare in modo comunque diretto. Il possesso che muove gli avversari, li sposta da una parte per attaccarli dall’altra, che cerca giocatori tra le linee, che fa ruotare le posizioni, che manda centrocampisti nello spazio creato dagli attaccanti: tutto questo non si è praticamente mai visto. La Spagna - su cui siamo rimasti agli stessi dibattiti di più di dieci anni fa - in effetti faticava a penetrare il blocco avversario dando una dimostrazione lampante di come anche il possesso più tecnico possa essere sterile.Ma torniamo a Regragui. Che in quello stesso discorso ha poi aggiunto che l’allenatore che stava per affrontare, Didier Deschamps, questo genere di cose le ha capite da molto tempo. In effetti Deschamps ha dimostrato di conoscere così bene quel tipo di concetti che ha deciso di lasciare la palla al Marocco in semifinale. La prima squadra africana nella storia ad arrivare in semifinale di Coppa del Mondo lo ha fatto battendo la Spagna con il 23.2% e il Portogallo con il 26.7% del possesso, ma con la Francia è arrivato il contrappasso: ha perso dominando il possesso con più del 60%. E la cosa che ha fatto meglio il Marocco è stato proprio il possesso palla, con la catena di destra che ha infilato più volte le maglie della difesa francese, spingendo Deschamps al cambio di Giroud per mettere un giocatore più difensivo a sinistra, recuperando più volte palla in zone alte di campo ma che, poi, ha comunque faticato a creare occasioni pulite da gol in un’area in cui c’erano pochi spazi.Che significa, quindi, che nel calcio, almeno quello delle Nazionali, c’è davvero un modo migliore degli altri per vincere? Avremmo potuto pensarlo, certo, se non ci fosse stata la finale tra Francia e Argentina che dice il contrario di tutto quello che abbiamo detto fin qui. Non solo il dato del possesso è stato a favore dell’Argentina: 54% a fine partita, addirittura 63.5% fino al gol del 2-0, ma la vittoria degli uomini di Scaloni, arrivata poi in maniera pazza ed entusiasmante, è stata meritata per i presupposti tattici e un atteggiamento propositivo: anziché pensare prima di tutto a difendere Mbappé - ammetto che alla vigilia ritenevo sarebbe stato meglio schierarsi a 3 in difesa - l’Argentina ha pensato a come poteva essere pericolosa in fase offensiva, come penetrare il blocco francese e recuperare palla il prima possibile, il più in alto possibile (senza per questo diventare una squadra Red Bull o“guardioliana”). Certo, nel calcio si vince in tanti modi e uno di questi è lasciando il pallone agli avversari. In questo Mondiale è convenuto a molte squadre e anche a quella che alla fine ha vinto la coppa, che però ha dimostrato che di saper cambiare quando le conveniva il contrario. Forse la vera lezione di fondo è che nel calcio, specie quello delle Nazionali dove è difficile costruire un’identità molto definita, bisogna saper fare un po’ di tutto e, soprattutto, interpretare al meglio il contesto specifico di ogni gara. In un Mondiale non si può sempre dominare: i casi di Germania e Spagnadi Emanuele AtturoIl Mondiale è finito e nelle classifiche che raccolgono le statistiche avanzate la Germania e la Spagna spiccano fra le migliori squadre, nonostante quest’ultima sia uscita agli ottavi e la Germania addirittura ai gironi. Hanno giocato poche partite, e ciò nonostante hanno offerto un rendimento così alto da finire in cima a tutte le metriche pur con molti meno minuti giocati.E allora com’è possibile che si siano fatte eliminare, per di più da avversari teoricamente meno attrezzati? Parlare del Mondiale giocato da Spagna e Germania è interessante perché queste due Nazionali ci dicono qualcosa sul Mondiale in sé. Su questo Mondiale in Qatar, ma anche sul calcio per Nazionali oggi.La Germania ha perso col Giappone, vinto solo la partita con la Costa Rica (dopo essere andata anche in svantaggio per un momento surreale) e si è fatta eliminare in un girone sulla carta morbido. La Spagna, nello stesso girone, ha fatto lo stesso: ha vinto solo la partita con la Costa Rica, ma con un 7-0 che le è valso la qualificazione. Poi si è fatta eliminare dal Marocco ai rigori, al termine di una partita in cui non è venuta a capo del blocco medio e dell’intensità difensiva degli avversari.Sarebbe disonesto cercare di far combaciare del tutto Germania e Spagna, due squadre molto diverse per pregi e difetti. La Germania ha giocato con un 4-2-3-1 molto offensivo, brillante per fluidità e capacità di creare occasioni da gol. Nel quartetto offensivo ha spiccato Jamal Musiala, per le sue conduzioni palla al piede nei pressi dell’area, ma si è sentita la mancanza di un finalizzatore. Niclas Fullkrug, quando è entrato, è diventato incredibilmente pericoloso: è primo per xG per novanta minuti tra quelli che ne hanno giocato almeno novanta. È addirittura settimo nella classifica complessiva degli xG, pur avendo giocato appena tre partite.Se guardiamo le statistiche la Germania è stata fra le migliori squadre offensive del torneo. Nelle tre partite del girone era stata addirittura la migliore. Ancora oggi è quarta per npxG, terza per tiri chiari (cioè soli davanti al portiere), terza per differenza xG, prima per passaggi tentati nei dintorni dell’area (per novanta minuti). Insomma: la Germania è stata un’eccellenza offensiva di questo Mondiale. Nessuna squadra, se prendiamo il campione delle tre partite giocate, ha costruito occasioni con la sua frequenza e la sua pericolosità.La Spagna, dal canto suo, ha faticato di più a costruire occasioni pulite. Eppure è fra le migliori del torneo per quelle metriche che ci restituiscono qualcosa del controllo del gioco esercitato in campo. È stata la squadra che ha controllato di più il pallone, quella con la più alta percentuale di passaggi riusciti; ma è anche stata la squadra che in tutto il torneo ha mostrato i meccanismi di pressing più efficaci. È prima per PPDA, prima per azioni di pressing e prima anche in quelle di gegenpressing. Tutti questi dati le hanno dato un grande controllo sulle partite.Entrambe le squadre hanno mostrato strutture di possesso esatte e sofisticate, un inno al razionalismo del gioco di posizione. È raro vedere Nazionali così organizzate in senso proattivo, che hanno l’ambizione di dominare il gioco, col pallone o schiacciando gli avversari attraverso il pressing. Eliminare tutte le variabili più aleatorie del gioco. E allora cosa è andato storto per Germania e Spagna?Prendiamo la Germania. La squadra ha sofferto le transizioni, aprendo molto campo dietro di sé durante l’attacco pur senza giocatori formidabili in recupero (quelli che Flick invece aveva al Bayern Monaco: Lucas Hernandez e Alphonso Davies). È sembrata una squadra spettacolare in attacco e fragile in difesa - e il cui senso di fragilità è stato senz’altro acuito dal brutto Mondiale di Manuel Neuer.La Spagna invece ha faticato a segnare, ed era comunque fragile in transizione. È l’ultima squadra per velocità del possesso - cioè la statistica che misura la quantità di passaggi che serve per arrivare a un tiro. A volte il controllo del pallone della Spagna è diventato puramente difensivo, cioè un modo per far passare il tempo, restare ordinati, rischiare poco. La squadra di Luis Enrique ha prodotto partite molto bloccate.Più in generale, diciamo, sia Spagna che Germania hanno provato a dominare il gioco, a saturare con l’organizzazione ogni fattore imprevisto di una partita di calcio. È un’idea di cui spesso in passato abbiamo lamentato l’assenza per le Nazionali. Negli scorsi Mondiali era più raro vedere fasi di possesso palla e di aggressione e riaggressione così organizzate, e anche questo non ha fatto eccezione. È stato il Mondiale dei blocchi medi, delle squadre reattive, in cui il controllo del pallone è stato apertamente rifiutato. Il Mondiale del paradosso per cui la Francia ha lasciato la palla al Marocco per quasi tutta la semifinale. Allora è curioso, ma non così sorprendente, che le due squadre con gli strumenti tattici più ambiziosi siano state anche quelle più deludenti.Dobbiamo stare attenti a non arrivare a conclusioni reazionarie o semplicistiche. I motivi per cui Spagna e Germania sono state eliminate sono molteplici, e molti hanno a che vedere con la sfortuna. La Spagna ha perso ai rigori - e trarre troppe conclusioni dall’esito dei rigori è sbagliato. La Germania è stata eliminata per la differenza reti, dopo aver fallito una montagna di occasioni da gol in tutte e tre le partite. Quindi sfortuna, e un’inclinazione all’errore che ha guastato i piani più alti. Entrambe hanno restituito l’impressione che il loro dominio sulle partite era vacuo e fragile. La terza squadra con un gioco di posizione piuttosto organizzato è stata l’Inghilterra, che ha giocato un ottimo Mondiale ma che ha subito la capacità della Francia di trovare grandi momenti con i suoi grandi giocatori. Germania e Spagna però sono state squadre gestite come un club, a partire da convocazioni controintuitive e allo stesso tempo molto definite sul piano dello stile di gioco.In un torneo breve, in uno sport a basso punteggio, il peso del fattore aleatorio è molto alto, e anche il peso della dimensione psicologica. Il tentativo di controllare tutto, che è tipico del calcio contemporaneo, e soprattutto del gioco di posizione, in un Mondiale è sembrato utopico. Una conferma indiretta anche che organizzazioni troppo rigide, in un torneo breve e con poco tempo di preparazione, forse non funzionano. Anche gli Expected Goals restituiscono in parte questa impressione; delle quattro squadre arrivate in semifinale solo l’Argentina aveva vinto tutte le sfide degli xG, Francia e Croazia ne avevano vinte meno della metà, il Marocco addirittura nessuna. Anche qui bisogna evitare conclusioni semplicistiche e che non contemplino la contraddizione: in finale sono arrivate comunque le due squadre con più xG creati e l’Argentina è stata la squadra che in tutto il Mondiale ne ha concessi meno e l’unica che ha vinto nel computo degli xG 7 partite su 7.In una certa visione tattica del calcio contemporaneo il tentativo di dominio sfocia nel progetto di cancellare dal campo la presenza dell’avversario. In un Mondiale, però, è nessuna squadra sembra accettare davvero di lasciarsi cancellare.Un Mondiale post-coloniale?di Dario SaltariQatar 2022 ha aperto una frattura forse insanabile tra l’Europa e il resto del mondo. Lo abbiamo visto soprattutto fuori dal campo, prima con la fascia arcobaleno che le Nazionali europee volevano portare in campo e che sono state proibite dalla FIFA su suggerimento del regime di Doha, che impediva anche alle bandiere arcobaleno di entrare negli stadi; poi con le bandiere palestinesi, esibite con fierezza dai tifosi arabi e dai giocatori marocchini davanti agli occhi increduli di un pubblico europeo non più avvezzo al dibattito sulla questione; infine, al momento della premiazione, con lo sdegno delle nostre opinioni pubbliche di fronte al bisht, un abito cerimoniale arabofatto indossare dall’emiro Al Thani a Lionel Messi poco prima che alzasse la Coppa del Mondo. Al di là delle giuste rimostranze nei confronti della FIFA, al modo subdolo attraverso cui ogni volta permette ai peggiori regimi di utilizzare il calcio per i propri fini, alla base di gran parte di queste discussioni è sembrata esserci un’incomprensione di fondo tra l’Europa e ciò che gli sta intorno, quasi un realizzazione di poter fare a meno uno dell’altro. Se di questo si è parlato, seppur tra mille fraintendimenti, di meno si è discusso del fenomeno parallelo avvenuto in campo, dove le scuole tattiche europee sono state messe in discussione come mai prima d’ora, o almeno così mi sembra. Qatar 2022 è stato il primo Mondiale dove tutte le Nazionali africane erano allenate da tecnici africani, e non è stata solo una statistica aneddotica. La grande sorpresa di questo torneo, il Marocco, giocava in un modo unico, che si difendeva senza palla con un blocco medio-basso estremamente attento a schermare le linee di passaggio, ma che, nei momenti di sollievo dalle lunghe fasi di difesa in area, sapeva gestire il pallone con una fluidità e una creatività che a me ha ricordato l’Ajax che nella stagione 2018-19 arrivò a un passo dalla finale di Champions League. Ma è un’impressione solo epidermica, perché il modo in cui il Marocco maneggiava il possesso, e in cui lo incastonava in un’attenzione marziale alla compattezza delle linee, era davvero unico, più spontaneo della squadra olandese di ten Hag, e soprattutto profondamente connesso alle caratteristiche peculiari della tecnica del Maghreb. Emanuele Mongiardo, nel suo pezzo su Sofian Boufal, ne ha dato addirittura una spiegazione psicologica: “Boufal stesso si è prodigato in rientri profondi, è stato ligio al dovere nel 4-1-4-1 con cui Walid Regragui ha imbrigliato Luis Enrique. I suoi dribbling, allora, più che a creare occasioni, sono stati utili ad allentare la pressione spagnola e ad accendere l’animo del Marocco, convincendo i compagni e i tifosi che si potesse competere occhi negli occhi contro un avversario di livello così alto”.La cosa più interessante del Marocco, in questo senso, è che il suo stesso CT, Walid Regragui, ha posto il cammino della sua squadra in opposizione all’Europa, ponendo più volte l’accento sul fatto che una sua eventuale vittoria del Mondiale sarebbe stata una vittoria dell’Africa. «Penso che a molti giornalisti europei che hanno criticato il nostro gioco dia fastidio vedere una squadra africana giocare come quelle europee», ha detto Regragui ed è qualcosa che si è discusso molto anche qui. Da questa parte del Mediterraneo si è detto spesso, forse a sproposito, che il Marocco fosse una squadra europea sostanzialmente perché si difendeva bene, ma se l’attenzione difensiva, il rigore tattico, può effettivamente essere associato alla tradizione del Vecchio Continente, o almeno a una parte di essa, come definire una squadra che resiste alla pressione in questo modo? Esiste una squadra europea che gestisce il pallone così? Esiste una parola in Europa per definire questo modo di giocare?

Di cosa significhi essere una squadra europea, se sia una cosa positiva o negativa, si è parlato anche dall’altra parte dell’Atlantico. Il Brasile di Tite era probabilmente la Nazionale più vicina per raffinatezza tattica a un club d’élite e in determinate cose sembrava aver saccheggiato a piene mani dalla cassetta degli attrezzi del City di Guardiola: costruzione con il 3-2-5, Danilo che da terzino si alzava a mediano per facilitare la risalita del pallone, due trequartisti estremamente offensivi nei mezzi spazi ad agire da mezzali di fatto come Neymar e Paquetà, gli esterni larghissimi a fissare l’ampiezza. Una ripartizione molto ordinata degli spazi, a tratti anche rigida, un uso ossessivo del possesso, che anche a noi ci ha fatto avvertire la Seleçao come meno brasiliana di quanto ci aspettassimo, più europea per l’appunto. È interessante da questo punto di vista che il lavoro di Tite venisse criticato in patria da molto prima che il Brasile venisse eliminato in maniera sanguinosa dalla Croazia. Su Twitter l’account @SeleçaoTalk ha scritto esplicitamente: “Ciò che sta facendo Tite con questo Brasile è criminale e va contro il nostro DNA calcistico”. È un punto di vista forse forzato, ma interessante da discutere: e se la complessità tattica del Brasile gli avesse tolto quella spontaneità che siamo soliti associargli?

Al di là della fondatezza di queste opinioni, credo sia significativo che una parte dell’opinione pubblica brasiliana considerasse l’Argentina di Scaloni come erede del DNA calcistico del Paese molto più dello stesso Brasile di Tite, e che alla fine l’Argentina di Scaloni abbia vinto. Effettivamente la “Scaloneta” è stata la Nazionale più difficile da leggere, almeno per noi europei, e in alcune partite, come la semifinale vinta contro la Croazia, se n’è clamorosamente fregata della simmetria spaziale in favore di una struttura più libera che favorisse le connessioni tecniche in campo. Solo senza palla l’Argentina ripiegava in un ordinato 4-4-2. Quando risaliva il campo, invece, stringeva Mac Allister, che saliva altissimo praticamente da seconda punta, mentre Messi veniva incontro tra le linee ad agire da enganche offensivo. Nella finale contro la Francia Scaloni ha stupito ancora, mettendo Di Maria larghissimo a sinistra, in una posizione inusuale rispetto a quella a cui eravamo abituati vederlo giocare in Europa. Una mossa che ha stupito anche la Francia e ha inclinato il primo tempo, e poi anche tutto il resto della partita, dalla parte dell’Argentina.La casualità dei risultati, con i successi di Marocco e Argentina, ha legittimato un pensiero che forse prima di questo Mondiale ci sarebbe parso eretico: l’essere una squadra europea è un punto di debolezza, non di forza. Tra qualche anno ricorderemo Qatar 2022 come il Mondiale in cui l’influenza del calcio europeo ha iniziato a tramontare? In cui le Nazionali extra-europee hanno iniziato a capire l’importanza di trovare una propria strada?La fortuna dei blocchi medidi Marco LaiIn un’era calcistica contraddistinta da ritmi frenetici, difese alte e riferimenti a uomo, il Mondiale in Qatar ha rappresentato un momento di pausa, o meglio, un temporaneo passaggio in un universo calcistico parallelo avverso al rischio e anelante allo status quo. Le finaliste, Argentina e Francia, seppur con grosse differenze specialmente nella gestione della fase di possesso, rappresentano un ottimo esempio di questa tendenza in quanto squadre portate alla compattezza difensiva e a una strutturazione di reparti corti piuttosto che alla ricerca del pressing alto e intenso (nessuna delle due figura tra le prime dieci squadre della competizione per PPDA). In questo senso, si può parlare di un revival del blocco medio. Secondo i dati raccolti dalla FIFA, il tempo in cui le squadre si sono schierate con un blocco medio è salito del 9% rispetto al Mondiale 2018 in Russia.

Abbozzandone una definizione, per blocco medio si intende una struttura in fase di non possesso caratterizzata da reparti molto corti in cui la prima pressione non viene portata prima della metà campo e che vede la linea difensiva stare piuttosto alta per non permettere ricezioni tra le linee. Diverse squadre hanno optato per un approccio simile: Arabia Saudita, Svizzera, Senegal e non solo, ma il miglior esempio ce l’ha dato senza dubbio la più grande sorpresa del Mondiale: il Marocco di Regragui.

Il 4-1-4-1 del Marocco estremamente compatto: En-Nesyri su Busquets, interni sui centrali, Amrabat da tappabuchi e difesa piuttosto alta per limitare gli spazi tra le linee.

Prendiamo come esempio la partita contro la Spagna, probabilmente la miglior prova del torneo dal punto di vista difensivo considerando anche il livello degli avversari. Nel 4-1-4-1 del Marocco il compito del centravanti En-Nesyri era quello di “fare ombra” sul vertice basso Busquets, escludendolo dalla partita. Gli interni di centrocampo uscivano sui centrali, mentre Amrabat si posizionava tra centrocampo e difesa pronto a tappare ogni singolo buco. Di notevole interesse erano i compiti richiesti ai due esterni alti, Ziyech e Boufal, che effettuavano una corsa dall’esterno verso l’interno quando la Spagna impostava con i terzini, limitando quindi le opzioni sull’esterno e obbligando la squadra di Luis Enrique a tornare per vie centrali. Le linee corte e il perfetto tempismo nelle pressioni del Marocco limitava anche le possibili fragilità della difesa alta, perché gli avversari non avevano mai il tempo e lo spazio di cercare un compagno con un pallone lungo. Insomma: avanzare centralmente contro il blocco del Marocco si è rivelato impossibile per tutti.Alla base della corsa fuori-dentro di Ziyech e Boufal sui terzini avversari c’era non solo l’idea di bloccare sul nascere ogni possibile progressione per vie centrali, ma anche quella di creare delle trappole per recuperare il pallone nella zona nevralgica del campo. È una strategia che raramente vediamo nei campionati, dove sempre più squadre tendono a indirizzare gli avversari verso l’esterno, dove è più facile soffocare la costruzione avversaria sfruttando la linea laterale come un difensore aggiunto. Inoltre, un'eventuale applicazione imperfetta di questa strategia - per esempio a causa di una pressione fatta con i tempi sbagliati che permette all’avversario di eludere facilmente la trappola - rischierebbe di compromettere la struttura difensiva di una squadra e di lasciare troppo campo centrale agli avversari.Ancora più del Marocco è stata l’Olanda a mettere in evidenza questa strategia. Nel 3-4-1-2 di van Gaal, contraddistinto da evidenti marcature a uomo soprattutto a centrocampo, non è passato inosservata il tipo di pressing che portavano le due punte che tendevano a posizionarsi ai lati dei centrali avversari per evitare la costruzione sui terzini e per forzare i centrali avversari centralmente (con passaggi o conduzioni), dove avveniva il recupero palla.

La struttura dell’Olanda in non possesso: punte larghe per evitare il passaggio laterale e forzare gli avversari centralmente verso la trappola

È stata una strategia peculiare, che si vede non così spesso a livello di club, dove invece i blocchi i medi sono abbastanza diffusi. D'altra parte l'Olanda era una delle squadre dal gioco più codi

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