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Dario Saltari
Il segreto di Luka Modric
02 dic 2022
02 dic 2022
Come fa a giocare ancora così a più di 37 anni?
(di)
Dario Saltari
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Pablo Morano/BSR Agency/Getty Images
(foto) Pablo Morano/BSR Agency/Getty Images
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

Credo non ci sia nemmeno una persona che ieri vedendo Croazia-Belgio non si sia chiesta almeno per un momento quale sia il segreto di Luka Modric. E non parlo dell’assist di esterno che ha realizzato dopo solo sette secondi, letteralmente alla sua prima palla toccata - un lancio sull’esterno per il cane robot Perisic che sembrava troppo alto e lento, e che invece si è infilato esattamente nello spazio alle spalle di Meunier, quindi in realtà troppo alto per poterlo respingere di testa, ma allo stesso tempo sufficientemente lento per permettere a Perisic di aggiustarsi il pallone con l’esterno destro e provare a metterlo a giro sul palo più lontano - come se avesse voluto affiggere sulle porte della propria partita un manifesto delle sue intenzioni. No, non parlo di questo perché per quanto sia qualcosa di unico - unico anche da un punto di vista freddamente statistico perché non ho memoria di un giocatore che riesce a realizzare un assist alla prima palla toccata - è comunque qualcosa che rientra nell’orizzonte di possibilità di un giocatore che, come ha scritto Daniele Manusia qualche mese fa, “usa l’esterno destro con una tale frequenza e semplicità che, di fatto, potremmo considerarlo un giocatore mancino, o quanto meno ambidestro”.

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Quello per Perisic non è stato l’ultimo tocco d’esterno sublime di Modric, tutt’altro, ma non è la ragione per cui questa sua partita risalta in confronto alle molte altre già giocate con i propri club o con la stessa Croazia. Parliamo di un giocatore che ha già vinto un Pallone d’Oro, cinque Champions League, quattro Mondiali per club, tre Supercoppe europee, soprattutto che è già arrivato in finale dei Mondiali con la sua Nazionale, che quattro anni fa in quella partita ha vinto il premio di migliore in campo nonostante la sconfitta. Un giocatore, insomma, che già si è conquistato il suo posto nella storia del calcio, e anche nel cuore dei suoi tifosi in patria, e anche molto tempo prima di oggi che ha compiuto 37 anni da due mesi abbondanti. Eppure nonostante tutto questo, nonostante l’età e la carriera che hanno asciugato il suo fisico come un sacchetto per il sottovuoto, era impossibile scappare dall’impressione che Modric in fondo ci tenesse, alla qualificazione agli ottavi.

Qualcuno potrebbe dirmi che è normale che sia così, che sarebbe stato vergognoso il contrario, ripetermi a pappardella la retorica delle motivazioni che provengono dalla maglia della Nazionale, ma io penso che non ci sia nulla di normale in un giocatore che, con tutto questo peso sulle spalle, al 58esimo del secondo tempo dell’ennesima partita in cui la Croazia sembrava in bilico su un precipizio fa una corsa all’indietro di una ventina di metri per intercettare un passaggio orizzontale a centrocampo, recuperandolo infine - ovviamente - con un tocco di esterno (o forse di punta) verso la difesa.

Cosa dobbiamo pensare? Che Modric, un giocatore che sembra poter fare l’amore con il pallone, si diverta a correre all’indietro? A fare una partita di sofferenza difensiva passata per buona parte dentro l’area? Che forse sta sperando di vincerla, questa benedetta Coppa del Mondo? Non sono domande retoriche. Non conosco personalmente Luka Modric, ma non credo che questo mi aiuterebbe molto a rispondere a queste domande. Certe cose non si possono verbalizzare esplicitamente, forse solo la moglie, o i figli, o i genitori, potrebbero stringersi nelle spalle e dire: è fatto così.

C’è poi la questione di come faccia Modric a fare partite di sacrificio così estremo, che è una questione altrettanto interessante. Quella che vi ho mostrato qui sopra non è certo l’unica corsa all’indietro della sua partita, e anzi fa impressione, rivedendola, fare la conta di tutti i suoi movimenti senza palla, sia in avanti che all’indietro. Ieri Modric era la mezzala destra del 4-3-3 di Dalic ma sono state diverse le volte in cui tagliava verso l’esterno con scatti anche molto intensi per ritagliarsi uno spazio dove ricevere, e spesso senza nemmeno venire accontentato. Una partita che avrebbe stremato anche un ventenne nel pieno delle proprie forze, e che invece è sembrata esaltare un uomo talmente essenziale nella sua apparenza da assomigliare a un alpinista che nelle sue innumerevoli scalate è stato ormai seccato dal freddo e asciugato dal sole.

Per spiegare questi “paradossi biologici”, se mi passate il termine, spesso si usa il tema delle motivazioni, ed effettivamente la questione mentale è l’unica in grado di spiegare la differenza tra la partita di Modric e ad esempio quella di Petkovic che, con quasi dieci anni in meno e una carriera che gli ha dato forse un centesimo delle soddisfazioni, è entrato in campo al 64esimo camminando come un eroe noir sotto la pioggia. Cioè con la classe e la sensualità di un eroe noir, ma pur sempre camminando. Come detto, però, capire quali siano oggi le motivazioni di Modric non è così facile da fuori e forse per spiegare la sua partita bisogna andare più a fondo.

Qualche anno fa ho avuto la malsana idea di unirmi a una squadra di pallanuoto, uno sport che non avevo mai praticato prima. Quando dico malsana lo intendo letteralmente, perché la pallanuoto è uno sport che ridefinisce il tuo concetto di fatica e ti fa capire che ci sono molti livelli tra il momento in cui pensi che sei troppo stanco per continuare e quello in cui lo sei davvero. La pallanuoto è anche uno sport che non ti concede letteralmente niente e in cui la retorica machista che lo circonda è sostenuta dal fatto che effettivamente non c’è un confine così netto, come si dice esista nel calcio, tra il lato tecnico e il lato atletico. Quello che ho capito - annegando decine di volte, avendo i crampi in ogni muscolo del corpo mentre semplicemente provavo a restare a galla - è che nella pallanuoto il lato tecnico è letteralmente sostenuto dal lato atletico. In altre parole, per quanto sia importante anche capire come roteare il braccio per tirare o mettere il corpo per allontanare l’avversario, è impossibile anche solo tenere un pallone in mano se non si è non solo in forma, ma anche perfettamente allenati. Nella pallanuoto più si è in forma più si riesce ad uscire dall’acqua con il busto, e quindi a controllare meglio il pallone, e quindi a mettersi nelle condizioni migliori per passare o tirare senza perderlo prima (una cosa che succede incredibilmente spesso, se non si è allenati).

Questa lunga premessa personale mi serviva a dire che, per quanto gli sport siano diversi, questo di fondo è vero per qualsiasi disciplina, persino per il calcio, dove spesso ci si intestardisce a mettere in contrapposizione il fisico con il cervello (o con i piedi, ma qua si entra in un’altra diatriba). Chiunque abbia giocato a calcio anche solo tra amici sa che in condizioni fisiche migliori non solo si corre di più, che semplicemente non serve a niente, ma soprattutto si riceve con una postura migliore (e quindi si controlla meglio il pallone), si arriva più lucidi al tiro (e quindi si tira meglio), soprattutto ci si muove in maniera più intelligente senza palla (e quindi si arriva prima dell’avversario in difesa, o ci si ricava più spazio e tempo per prendere le proprie decisioni in attacco). In questo senso, la partita di ieri di Modric, in cui ai tocchi sublimi con l’esterno il fuoriclasse del Real Madrid ha affiancato 4 contrasti vinti (su 6 tentati) e 2 passaggi intercettati, ci ricorda che ciò che fai con la palla è importante tanto quanto ciò che fai senza. E che soprattutto le due cose sono strettamente collegate.

Ieri la strategia della Croazia sembrava essere quella di alzare il pressing e l’intensità nella trequarti avversaria nei primi 10-15 minuti di entrambi i tempi, prima di abbassarsi nella propria metà campo e aspettare l’errore del Belgio. In queste fasi Modric avrebbe potuto risparmiarsi, soprattutto in attesa dei restanti 35-40 minuti di sofferenza difensiva, giocare da centro gravitazionale della propria squadra corricchiando per la trequarti, lanciare da fermo per cambiare gioco o per andare direttamente in area. E invece non è stato mai fermo, e questo rende il suo gioco speciale tanto quanto la sensibilità con cui colpisce la palla con l’esterno.

Guardate per esempio come al 54esimo riesca ad arrivare al tiro da dentro l’area partendo quasi dal cerchio di centrocampo e toccando il pallone appena sette volte. Prima attirando Carrasco fuori posizione con un velo e attaccando immediatamente dopo lo spazio che si è liberato alle sue spalle. Poi chiamando il triangolo a Livaja - quindi scaricando il pallone e correndo subito dopo nello spazio - per ricevere alle spalle di Witsel, che di fronte al dinamismo di Modric sembra il pesantissimo olifante che nel Signore degli Anelli viene atterrato dal minuscolo Legolas.

Se ci pensate anche il tocco che contraddistingue il gioco di Modric, l’esterno per l’appunto, presuppone un movimento che è controintuitivo non solo da un punto di vista tecnico ma anche atletico, perché coordinarsi per colpire la palla d’esterno destro richiede più energia che aiutarsi e andare semplicemente con il sinistro. A 37 anni si dovrebbe essere entrati nella fase in cui le energie si risparmiano, in cui si cerca di minimizzare gli sforzi per non pregiudicare i momenti decisivi. E allora perché Modric continua a colpire la palla d’esterno in maniera così testarda, come se non volesse sacrificare nemmeno un centimetro della propria arte al tempo che passa? Perché rischiare di perdere una palla banale pur di sfiorarla con l'esterno a pochi secondi dalla fine di un primo tempo di una partita decisiva per il passaggio del turno ancora in bilico? Perché tentare un sombrero spalle alla porta a centrocampo mentre la propria squadra è tutta in area a soffrire e a spazzare palloni alla cieca pur di non far segnare l'avversario?

Non ho risposte soddisfacenti se non quella che per Modric sia essenziale rimanere fedele a se stesso, e che conosca solo questo modo per rendere onore allo sport che sta praticando. Può sembrare retorica vuota ora che sta scritta qui, su questo schermo pallido, ma vedendolo giocare non si può non concedergli una qualche ragione.

C’è una frase, attribuita a George Bernard Shaw, che dice che “l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare” e la cito nonostante sia stata smangiucchiata da una miriade di film e altri prodotti culturali di dubbio gusto perché mi sembra si possa traslare efficacemente al mistero di Modric.

E se non fosse l’alimentazione, o l’allenamento, o la tradizione della Croazia nella pallanuoto che adesso che ci penso potrebbe davvero aver influenzato la formazione di così tanti calciatori che coniugano atletismo e tecnica di alto livello, a far giocare Modric come un ventenne al suo primo Mondiale? E se invece fosse proprio la sua ostinazione a giocare così, come un ventenne al suo primo Mondiale, il segreto che lo sta mantenendo eternamente giovane?

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