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50 giovani da seguire nel 2021 - Prima parte
04 gen 2021
04 gen 2021
Camavinga, Pedri, Veron e altri giovani da tenere d'occhio nel nuovo anno.
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Mai come in questo inizio di 2021 vogliamo buttare via il passato e guardare il futuro. E poche cose ci parlano di futuro come i giovani talenti dello sport. Come da tradizione, nei primissimi giorni dell'anno, su l'Ultimo Uomo stiliamo il menù dei giovani più interessanti seguire nella propria stagione. Esseri umani e storie di cui appassionarsi subito, per poi poterne godere meglio per tutta la stagione. I più nerd di voi ne conosceranno la maggior parte, altri solo alcuni. Il limite di età quest'anno è fissato ai nati nel 2001, sono quindi rimasti fuori giovani ventenni molto forti come Erling Haaland, Jadon Sancho, Alphonso Davies o Phil Foden. Se volete però potete sempre recuperare le vecchie edizioni: 2020, 2019, 2018.

Buona lettura, e ancora buon anno cari lettori.

Youssoufa Moukoko, 2004, Borussia Dortmund (Germania/Camerun)

Anzitutto va dato merito a Youssoufa Moukoko di riportare un po’ di mistero nel calcio contemporaneo. Di lui si parla da quando a dodici anni giocava nell’Under 17 del Borussia Dortmund, con i soliti sospetti sull’età di un giocatore nato in Africa, in Camerun, e il mistero di statistiche che sembrano inventate. Anche se in realtà i gol che ha segnato sono certi, si tratta di numeri di altre epoche, che rievocano le leggende dei centravanti con mille e più gol in carriera anche se non tutti registrati in video. Moukoko ha segnato 90 gol in 50 partite giocando a tredici anni contro avversari di diciassette, 47 in 25 a quindici anni, contro avversari che ne avevano diciannove. Ne aveva segnati 10 nelle prime 3 partite dello scorso campionato, interrotto dalla pandemia di Covid-19. Il mistero sui numeri o sull’età non dovrebbe esistere (questi ultimi li ha smentiti il padre, che ha raccontato di averlo registrato il giorno dopo la nascita all’ambasciata tedesca), ma dubitare di un talento così precoce e devastante serve a prolungare lo stupore: questo Moukoko, quindi, è davvero venuto in Europa per riscrivere tutti i record della storia del calcio?

A settembre è stato convocato con la nazionale giovanile tedesca e a quanto si dice persino Joachim Low lo sta tenendo d’occhio per quella maggiore. Per lui la Bundesliga ha abbassato l’età contrattuale, da sedici anni e mezzo a sedici, e lo scorso dicembre è partito titolare contro il Werder Brema diventando il più giovane di sempre a esordire nel campionato tedesco. Tre giorni dopo è diventato il più giovane di sempre a segnare, contro l’Union Berlin, con un missile di sinistro che ha ricordato la violenza dei tiri di Haaland. Arrivato in Germania a dieci anni, ovviamente Moukoku è molto ambizioso: ha parlato di vincere la Champions con il Dortmund e, perché no, il Pallone d’Oro. Con dei numeri simili e un hype pazzesco intorno (per dire, ha già un contratto milionario con la Nike) è difficile tenere conto del fatto che, in effetti, parliamo di un ragazzino di sedici anni.

Quando Moukoko gioca, l’età si vede e non si vede al tempo stesso. Parliamo di un attaccante dal baricentro basso - dovrebbe essere poco sotto il metro e ottanta - con un’ottima protezione del pallone, una velocità altissima palla al piede e un controllo fenomenale con il sinistro (e usa anche il destro, sia per dribblare che per calciare). Non ha la sensibilità di talenti come Messi, Neymar, o Ousmane Dembélé, ma è come la sua tecnica si combina alla velocità a renderlo devastante quando parte con la palla. Ha anche un’ottima visione di gioco, movimenti senza palla da centravanti vero (il gol all’Union lo ha segnato con un taglio dietro al difensore eseguito sul filo del fuorigioco) e una creatività spiccata che lo rende utile anche come rifinitore. In area però è soprattutto una macchina da gol, i suoi tiri sono sempre pericolosi, angolati e forti, anche quando non gli escono forti come bombe a mano.

Chiaro, deve prendere le misure a un altro tipo di calcio e avversari e strutturarsi fisicamente, sarebbe strano se non fosse così. Se nelle giovanili poteva quasi fare tutto quello che voleva - allungarsela in spazi ampi, dribblare avversari ancora poco esplosivi, calciare da ogni posizione - nella partita e mezza giocata finora si è capito che servirà un minimo di apprendistato, persino a un fenomeno come lui. Ma abbiamo visto comunque poco per capire che tipo di impatto può avere in Bundesliga un talento come il suo (ha segnato un gol in due partite e creato altri pericoli, che già non è poco) e il prossimo anno potrebbe sorprenderci ancora.

Youssoufa Moukoko è il giovane con più occhi addosso del calcio mondiale e anche se non arriverà nel 2021 la sua definitiva rivelazione, be’, tra dodici mesi avrà comunque solo diciassette anni (li compie a novembre, tra l’altro).


Rayan Ait Nouri, 2001, Wolverhampton (Francia/Algeria)

Nouri è stato una delle rivelazioni della squadra rivelazione della scorsa Ligue 1, l’Angers. Gioca terzino sinistro ma pensa solo ad andare avanti, è tecnico, mancino e leggero, è così esile che non sembra alto un metro e ottanta. Il Wolverhampton lo ha preso in prestito, con un’opzione per il riscatto, e alla sua seconda presenza ha segnato un bellissimo gol, chiudendo con un tiro sul secondo palo che sembrava una volée un inserimento intelligente in area. Il modulo con la difesa a tre dei Wolves ne faciliterà forse un inserimento, esaltando i suoi istinti offensivi e assicurandogli una certa protezione difensiva.

Nouri oggi è un esterno a due facce: offensivamente fortissimo, soprattutto per la rapidità con cui attacca la fascia con e senza palla, ma anche per le letture mai banali dei suoi cross; difensivamente ancora tutto da costruire, e ha un bisogno assoluto di mettere su più struttura fisica.


Rodrygo, 2001, Real Madrid (Brasile)

Vi invitavamo a seguirlo nel 2020, l’anno in cui è diventato il secondo giocatore più giovane a segnare una tripletta in Champions League (alle spalle di Raul), il terzo più giovane marcatore assoluto della storia del Real Madrid. Rodrygo pare aver concentrato le proprie energie sul suo ingresso in scena; per il resto non ha fatto granché, ma ha comunque rimodellato un po’ la percezione che avevamo di lui lo scorso anno.

Sembrava un fuscello, uno scricciolo impreparato al calcio europeo, col suo gioco tutta tecnica e leggerezza. Si è rivelato invece più pronto e pratico di quanto potevamo immaginare: meno innamorato del pallone di Vinicius Jr., forse anche meno talentuoso, ma più portato a muoversi senza. Per questo è stato soprattutto impiegato sul lato debole del Real Madrid. È sembrato a suo agio in area di rigore, nonostante abbia concentrato i suoi 7 gol in poche partite.

Ovviamente l'elettricità in spazi stretti, il controllo palla, la creatività in dribbling, rimangono le sue migliori qualità. Ma in una squadra che può vantare dribblatori d’élite come Hazard e Vinicius Jr., o giocatori che amano toccare tanti palloni come Benzema, Odegaard e Modric, Rodrygo dovrà continuare a dimostrare tutta la sua abilità a muoversi alla periferia del gioco.


Bukayo Saka, 2001, Arsenal (Inghilterra)

Nato a Londra e cresciuto nell’Arsenal, Saka è stato sempre riconosciuto come una delle punte di diamante della nuova generazione del calcio inglese. Dopo aver impressionato a livello giovanile, è stato promosso in prima squadra da Emery ancora minorenne. Ha esordito nella stagione 2018/19 e già dalla successiva è diventato di fatto titolare della squadra nonostante fosse appena maggiorenne. La sicurezza che è già in grado di dare dal punto di vista atletico, del dispendio mentale in termini tattici e di determinazione, hanno portato poi Arteta a farne il jolly della sua squadra: ha iniziato terzino sinistro in assenza di Tierney, poi esterno sinistro a tutta fascia nel 3-4-3, poi è tornato nel suo ruolo delle giovanili di ala sinistra, a volte addirittura mezzala sinistra o trequartista e nelle ultime partite del 2020 ha chiuso come ala destra.

Quello che tranquillizza Arteta è che alla base della versatilità di Saka ci sono aspetti tecnici ma anche mentali, per un giocatore che sembra immune alla pressione esterna. A 19 anni ha firmato un ricco contratto e preso la maglia numero 7, superato le 60 presenze con l'Arsenal, ha segnato un bellissimo gol nel derby col Chelsea e già esordito e giocato da titolare in Nazionale. Al momento è un giocatore velocissimo, bravo a mantenere sempre l’equilibrio anche dopo il contatto fisico e rapidissimo nel gesto. Il talento è evidente, considerato che come esterno salta l’uomo a piacimento sia con la conduzione che col dribbling puro, dove può sfruttare la sua ambidestria. I margini di miglioramento sono nell’esecuzione tecnica: è un giocatore creativo ma ancora non impeccabile nel primo controllo o nel passaggio. In questo non è né Sancho né Foden. Nella partita però raggiunge grandi picchi, soprattutto grazie al suo estro e alla sua imprevedibilità.

La sua esplosione rappresenta una delle gioie per una tifoseria, quella dell'Arsenal, che vive nel terrore della mediocrità. Se nel 2021 deve esserci l’inizio della rinascita della squadra del nord di Londra, questo passerà sicuramente anche per i piedi di Saka.




Takefusa Kubo, 2001, Villarreal/Real Madrid (Giappone)

Già ex delle giovanili del Barcellona, passato al Real Madrid e dato in prestito la scorsa stagione al Mallorca, e quest’anno al Villareal, Takefusa Kubo è uno di quei prodigi di cui scriviamo ogni anno sperando che il difficile adattamento tra i professionisti sia solo un passaggio prima di grandi cose. Sarà il prossimo, l’anno buono per Kubo? Quello in cui senza più nessun dubbio potremo dire che si tratta di un giocatore di altissimo livello e magari il Madrid deciderà di dargli una possibilità (in fondo, con Odegaard abbiamo fatto bene ad aspettare)?

Impossibile saperlo, il talento di Kubo resta eccezionale, la sua tecnica di base è davvero al livello dei migliori in assoluto, tutto quello che fa con il piede sinistro lo fa bene: controllo, conduzione, filtranti e cross. Sembra anche maturo, ma resta difficile da inquadrare. Emery gli fa giocare quasi tutte le partite, ma nessuna per intero, e non sembra neanche aver deciso definitivamente se preferisce farlo giocare a destra (dove, rientrando dentro al campo, può giocare palle filtranti per la punta o cambiare gioco) o a sinistra (dove invece può condurre anche per molti metri). Anche nella Nazionale giapponese, in cui se non è titolare inamovibile è in rotazione, non è chiaro dove si esprima meglio.

Sembra mancargli qualcosa, e potrebbe dipendere dall’età o dalle squadre in cui gioca. Kubo potrebbe anche essere questo giocatore qui, considerando anche che fisicamente non ci sono molti margini di miglioramento (parliamo di un giocatore alto un metro e settanta), oppure potrebbe essere solo questione di tempo e, magari, dell’allenatore giusto.


Pedri, 2002, Barcellona (Spagna)

I paragoni sono sempre ingannevoli (non esiste un giocatore uguale a un altro), ancora di più se scomodano una leggenda come Andrés Iniesta, ma è difficile non notare nel gioco di Pedri, canario comprato a settembre del 2019 dal Barcellona subito dopo l’esordio in prima squadra con il Las Palmas, alcuni tratti comuni a quello del "mago di Fuentealbilla".

Come Iniesta, Pedri è piccolo e tecnico, si muove preferibilmente nella zona sinistra tra la trequarti e il centrocampo, ha un controllo eccezionale e una lettura dei tempi e degli spazi già di altissimo livello. Togliergli la palla è davvero difficile, sia quando riceve largo sia quando si sposta più al centro tra le linee. Non solo già ora è all’altezza degli scambi stretti e veloci che caratterizzano la manovra del Barcellona al limite dell’area (il suo primo assist nella Liga è un passaggio corto di suola per Messi, appena fuori l’area a sinistra), ma come Iniesta può essere un riferimento anche più in basso sul campo, per come riesce a gestire la palla, a non perderla anche quando è circondato da avversari e a restituirla pulita dando continuità all’azione.

Ovviamente la sua influenza sul gioco del Barcellona non è paragonabile a quella di Iniesta, e Pedri dovrà crescere ancora molto per avvicinarsi a quei livelli, ma le premesse sono incoraggianti. A nemmeno 18 anni ha dominato la scena in una partita importante come quella a Torino in Champions League contro la Juventus. Ha fatto passare una brutta serata a Cuadrado e gestito in modo magistrale il possesso sul lato sinistro del campo, senza sbagliare quasi nulla - 40 passaggi riusciti su 42 e 8 dribbling completati su 10 secondo FBref.

Per ora è rimasta una prestazione straordinaria all’interno di un inizio di stagione non fenomenale, anche se comunque positivo (tra novembre e dicembre ha avuto sempre più spazio da titolare). Pedri sembra però avere tutto per trasformare quel tipo di partita nella sua normalità, accumulando minuti ed esperienza.


Eduardo Camavinga, 2002, Rennes (Francia)

Poco più di un anno fa scrivevamo: «Se vedeste una partita dello Stade Rennais senza sapere nulla del numero 18 a centrocampo non indovinereste mai che è un adolescente». Era da poco diventato il primo giocatore nato nel 2002 ad esordire in uno dei cinque campionati europei che per convenzione consideriamo come principali. Che ha solo 18 anni, probabilmente, se l’è dimenticato anche il suo allenatore, Julien Stéphan (anche lui molto giovane, ha appena compiuto 40 anni), che nel frattempo gli ha messo sulla schiena la maglia numero 10 e, soprattutto, gli ha dato sempre più responsabilità.

Camavinga è passato dall’organizzare con sorprendente maturità la manovra (in una coppia di mediani o come centrale in un terzetto) a dover svoltare la fase offensiva della propria squadra facendo da mezzala creativa, a volte abbassandosi a prendere palla dalla difesa o dal playmaker, anche in zone basse di campo, con l’uomo alle spalle che lo pressa o un blocco basso di avversari ad aspettare una sua progressione palla al piede o a chiudere gli spazi per i suoi filtranti. E così Camavinga sta affrontando le sue prime difficoltà da quando è diventato professionista.

Niente di preoccupante, considerando che i diciotto anni li ha compiuti da poco e che già chiamare quella 2020/21 la sua “stagione della conferma”, come fanno in Francia, suona esagerato. In ogni caso, anche di recente ha fatto vedere cose eccezionali. A settembre, durante la seconda giornata di campionato contro il Montpellier, ha segnato un gol fantastico, saltando il centrocampo con un triangolo sulla trequarti sinistra e puntando la difesa in conduzione, entrato in area ha iniziato a fintare e si è ricavato lo spazio per un diagonale sinistro forte e preciso, mirando sul secondo palo con un angolo stretto.

Un mese dopo, ad appena otto minuti dall'inizio della sua seconda partita con la Nazionale, contro l’Ucraina, ha segnato il suo primo gol con una rovesciata assurda nell’area piccola: dopo un colpo di testa respinto di Giroud respinto dal portiere, si è ritrovato la palla rimbalzante a pochi passi dal primo palo, in una frazione di secondo si è girato di spalle e si è coordinato per mandarlo, calciando all’indietro e scavalcando due difensori, sotto l’incrocio dei pali opposto. Quel gol lo ha fatto entrare nella storia come il secondo giocatore più giovane di sempre a segnare con la maglia della Francia, il più giovane in assoluto dalla Prima Guerra Mondiale (da più di un secolo, cioè).

Pochi giorni dopo, però, contro la Croazia, Deschamps l’ha rimproverato duramente per aver accorciato con un po’ di ritardo su Vlasic, che ha raccolto un cross basso da destra e ha segnato il gol del momentaneo 1-1 (la Francia poi ha vinto 2-1). Va detto che Camavinga, un attimo prima, in quella stessa azione, era andato a chiudere un avversario sulla fascia opposta (e che Nzonzi era altrettanto vicino a Vlasic), fatto sta che dopo quella partita non è più stato convocato in Nazionale.

Poche settimane fa Deschamps ha ricordato che «una prima convocazione non ha niente di definitivo, è solo una tappa di passaggio», e che Camavinga adesso deve rispondere alle aspettative che ci sono su di lui, alzando ulteriormente il livello. Si parla di un interesse del Real Madrid e del PSG, ma il momento che sta vivendo Camavinga ci dimostra come anche un giocatore che sembra destinato a grandissime cose debba affrontare delle difficoltà. Passo dopo passo, giorno dopo giorno, e prima si arriva ad alto livello, prima cominciano quelle serie.


Gabriel Veron, 2002, Palmeiras (Brasile)

Si dice che Gabriel Veron possa correre a 38 km/h. Noi a occhio nudo non possiamo misurarlo, ma vediamo che, quando scatta, accanto a lui i difensori sembrano semplicemente fermi. Non andare più lenti, proprio fermi. Ha le gambe corte e tozze che sembrano dargli una gravità diversa, negli allunghi ma anche nei piccoli spostamenti in spazi ristretti. Gioca nel Palmeiras e da alcuni è considerato il miglior 2002 al mondo, principalmente perché risponde alla nostra richiesta più urgente nei confronti dei talenti offensivi: far succedere cose, dare una costante sensazione di pericolosità e meraviglia ogni volta che hanno il pallone tra i piedi. Per il semplice fatto che viaggia su una velocità completamente diversa, Veron è tutto questo. Gioca ala, sinistra o destra. Nel pantheon storico dei talenti brasiliani, non appartiene alla famiglia dei Robinho e dei Neymar: funamboli leggeri ed estrosi, somiglia piuttosto al primo Lucas Moura: una biglia di metallo impazzita lanciata contro le difese avversarie. Negli ultimi metri deve ancora affinare la sua precisione, tanto nelle letture quanto sul piano tecnico. I suoi passaggi arrivano spesso con un tempo di troppo, o fuori misura di qualche centimetro. Bisognerà vedere quanto la sua straordinaria velocità, e il controllo minuzioso in spazi stretti, gli basterà per continuare a fare la differenza anche ad alti livelli. Le sue compilation YouTube, intanto, rappresentano un’esperienza tra le più allucinanti.

Fa un effetto strano, sul nostro immaginario, che esista questo Veron così platealmente opposto al suo illustre predecessore: basso, brasiliano, rapidissimo, inelegante. Una partita di Football Manager andata troppo per le lunghe. L’hype attorno a lui comunque è talmente alto che il 2021 potrebbe essere già l’anno del suo trasferimento in Europa.


Riccardo Calafiori, 2002, Roma (Italia)

La prima volta che il nome di Riccardo Calafiori è arrivato a tutti è stato dopo un bruttissimo infortunio subito nell’ottobre del 2018 con la Primavera della Roma. Calafiori si era rotto tutti i legamenti del ginocchio, tutti i menischi e la capsula articolare, uno di quegli infortuni che mettono fine prematuramente a una carriera. Nei giorni successivi Dzeko aveva mostrato una sua maglia dopo un gol e Daniele De Rossi gli era stato vicino in ospedale e dopo.

Calafiori fortunatamente dopo un lungo stop era tornato in campo e alla fine della scorsa stagione aveva anche esordito con la prima squadra, segnando un gol bellissimo contro la Juventus, annullato per colpe non sue. Da quel momento non è più uscito dalla rosa a disposizione di Fonseca e, in un ruolo in cui la squadra giallorossa è corta, sembrava poter giocare con regolarità, ma è stato fermato all’inizio della stagione dal coronavirus, perdendo terreno nelle gerarchie.

Calafiori è un terzino atipico: alto e grosso, non veloce nel breve, ma con una corsa molto intensa sul lungo. Al momento sembra offrire più garanzie come esterno largo nel 3-4-2-1 della Roma che non in una difesa a 4 come terzino sinistro. Non è particolarmente creativo, anzi con la palla si prende meno rischi possibili, ma si muove bene senza e ha un sinistro davvero potente, come dimostrato nel gol allo Young Boys, una botta all’incrocio da fuori area che il portiere non ha neanche visto. Dopo quel gol Fonseca l’aveva riportato sulla terra: «Per me Calafiori deve ancora crescere, è giovane e ha talento. Per voi è il migliore al mondo, questo non lo aiuta». Nel 2021 dovrà conquistare la fiducia del suo allenatore per mettere minuti nelle gambe, ma a 18 anni già far parte di una squadra ai vertici del calcio italiano è sicuramente garanzia di talento.


William Saliba, 2001, Nizza/Arsenal (Francia)

William Saliba è stato acquistato dall’Arsenal il 25 luglio del 2019 per 30 milioni di euro, al termine della sua prima stagione tra i professionisti con il Saint Etienne. È rimasto in Francia un altro anno, preparandosi a prendere la leadership della difesa di una squadra che ha bisogno di ricostruirsi su nuove fondamenta.

Un anno dopo Saliba si è trasferito all’Arsenal di Mikel Arteta, e pure in una delle squadre più disastrate del calcio europeo, e in una difesa che fatica a trovare interpreti all’altezza, non ha ancora esordito. Gioca nella squadra riserve su campi periferici in cui si vedono le tangenziali sullo sfondo. L’Arsenal aveva ben tre posti quest’anno in difesa, ma al suo posto ha preferito far giocare un precario David Luiz, il terzino adattato Tierney, il terzino adattato Kolasinac, il rigidissimo Rob Holding, il centrocampista adattato Elneny, il logoro Shkodran Moustafi. È difficile capire se Arteta non si fida di Saliba, o se semplicemente non lo ritiene all’altezza. È ironico che Saliba al Saint Etienne giocasse centrale di destra di una difesa a tre: proprio il ruolo in cui l’Arsenal pare scoperto. Si racconta di sue grandi performance in allenamento, e che possa tornare al Saint Etienne. Di certo nel 2021 dovremo finalmente aspettarci qualcosa da uno dei giovani difensori evidentemente più talentuosi al mondo. Nel mercato di gennaio è finito in prestito al Nizza, dove potrà forse tornare a mostrare le sue qualità.




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