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Fabio Barcellona

Il Brasile ha sconfitto i suoi fantasmi

La Nazionale di Tite ha vinto la Copa America, che mancava alla sua bacheca da…

Da quasi 70 anni, da quando al Maracanã di Rio de Janeiro, il 16 luglio del 1950, Schiaffino e Ghiggia consegnarono all’Uruguay la Coppa Rimet mettendo il pallone alle spalle di Moacir Barbosa, lo spettro del “Maracanazo”, rafforzato da quello più recente del “Mineirazo” della Coppa del Mondo del 2014, aleggia su ogni partita decisiva che il Brasile gioca tra le mura amiche.

 

Le premesse per l’ennesima delusione c’erano tutte: il Brasile si presentava da favorito assoluto alla finale di Copa America e il Perù era già stato demolito con 5 gol nella sfida del girone eliminatorio di 20 giorni prima. Anche lo sviluppo della partita sembrava lasciare uno spiraglio allo scenario peggiore per i brasiliani: dopo il vantaggio acquisito nel corso del primo tempo e un sostanziale controllo del match, l’espulsione del migliore uomo in campo, Gabriel Jesus, a 20 minuti dalla fine poteva infatti mettere in discussione la vittoria. Stavolta, però, il Brasile era troppo solido e superiore agli avversari per lasciarsi sfuggire un trofeo che mancava nella bacheca dei verdeoro da 12 anni, da quando la squadra allenata da Dunga aveva conquistato la Copa America in Venezuela con un secco 3-0 in finale contro l’Argentina di Alfio “El Coco” Basile.

 

Il pressing del Perù, l’efficacia del Brasile

Il Perù di Ricardo Gareca è ripartito dagli stessi undici e dalla stessa strategia adottata nell’ottima semifinale contro il Cile. Il 4-2-3-1 del tecnico argentino si è quindi disposto per pressare sin dalle prime battute l’impostazione bassa del Brasile e, ambendo a riconquistare il pallone in posizione avanzata, ridurre lo spazio per raggiungere col palleggio la porta di Allison.

 

Gareca ha progettato un pressing orientato sull’uomo in cui Guerrero ha pressato il centrale di destra Marquinhos e Cueva ha avuto il compito di lavorare alternativamente su Casemiro e Thiago Silva. Alle spalle dei due attaccanti, Yotun è stato deputato al controllo di Arthur, e il mediano Tapia a quello di Coutinho, che si muoveva dalla zona di centro-sinistra del centrocampo verso la trequarti peruviana.

 

A inizio partita il pressing degli uomini da Gareca ha funzionato piuttosto bene, ma il Brasile di Tite non è una squadra che necessita di avere il dominio del pallone per sviluppare la propria identità calcistica ed è capace di giocare in maniera reattiva, anzi talvolta preferisce proprio questa opzione. La bontà del pressing del Perù e, probabilmente, la tensione della finale, hanno reso il palleggio del Brasile piuttosto laborioso nelle fasi iniziali del match. I verdeoro sono stati più volte costretti a lanciare lungo per mancanza di alternative sul corto, consegnando di fatto il pallone alla difesa avversaria.

 

Tuttavia, già al quindicesimo minuto, la qualità dei giocatori brasiliani e gli errori della difesa di Gareca hanno regalato il gol del vantaggio ai padroni di casa. Con uno splendido movimento corto-lungo Gabriel Jesus si è smarcato in profondità eludendo il controllo aggressivo di Trauco ed è stato servito da un perfetto lancio di Dani Alves, parallelo alla linea laterale e sulla testa del terzino peruviano. Col primo dei 6 dribbling tentati nella partita, Gabriel Jesus si è liberato del rientro di Trauco e ha crossato ottimamente per Everton, che ha approfittato della confusione nelle marcature e nel controllo dello spazio al centro dell’area della difesa peruviana per realizzare il gol del vantaggio.

 

Lo splendido smarcamento di Gabriel Jesus, premiato alla perfezione dal lancio di Dani Alves.

 

Dopo il gol del vantaggio del Brasile, giunto in occasione della prima vera e convincente azione offensiva dei verdeoro, il copione tattico della partita non è sostanzialmente variato, sebbene l’intensità del pressing peruviano sia fisiologicamente calata. Il Brasile ha quindi provato a mantenere il possesso del pallone con una circolazione del pallone sicura e poco rischiosa che, dopo il gol del vantaggio e fino al pareggio di Guerrero, ha generato solo due tiri in porta, dei quali è stato realmente pericoloso solo il colpo di testa di Firmino su cross di Alex Sandro.

 

Allo stesso tempo il Perù non è riuscito ad avvicinarsi efficacemente all’area di rigore avversaria. L’obiettivo offensivo di Gareca è stato quello di ridurre il più possibile lo spazio da percorrere in palleggio per giungere dalle parti di Allison e per questo, oltre a giocare un pressing in zone avanzate di campo, il Perù ha di fatto rinunciato alla costruzione bassa da situazione statica (rimesse dal fondo, calci di punizione) per cercare velocemente la testa di Guerrero (ben 8 duelli aerei vinti da “El Depredador“) e attaccare le spizzate e le seconde palle. Nonostante il dominio aereo di Guerrero e l’attivismo di Christian Cueva (ben 10 dribbling tentati, di cui 7 andati a buon fine), il Perù non è però mai riuscito davvero a impensierire la difesa brasiliana, che ha concesso il suo unico gol dell’intera Copa America su un rigore nato da un’ottima combinazione stretta tra Flores e lo stesso Cueva.

 

Sfortunatamente per la “blanquirroja” il Brasile è tornato subito in vantaggio prima dell’intervallo con un’azione, ancora una volta, emblematica delle qualità dei giocatori verdeoro e dei problemi della difesa peruviana. Firmino, in pieno Klopp-style, ha recuperato un pallone sulla trequarti pressando da dietro Yotun, il taglio esterno-interno di Gabriel Jesus è stato letto in maniera pessima dal centrale Zambrano e ha consentito ad Arthur di raggiungere con un facile assist l’attaccante del Manchester City.

 

I cambi di Tite dopo l’espulsione

Al rientro dagli spogliatoi il Brasile ha provato a chiudere il match, spingendo con decisione e rischiando in misura maggiore passaggi complessi, ma capaci di generare vantaggi e forzando gli uno contro uno, specie nella zona esterna con Gabriel Jesus ed Everton.

 

La maggiore velocità di circolazione palla della squadra di Tite ha costretto il Perù ad abbassarsi e a difendere nella propria metà campo e, nel primo quarto d’ora della ripresa, il Brasile ha effettuato ben 7 degli 11 tiri totali su azione dell’intera partita. L’espulsione di Gabriel Jesus ha infine ridato mordente agli attacchi del Perù che, fino a quel momento, non era riuscito a fare inclinare il piano della partita dalla sua parte.

 

Il Brasile si è riorganizzato, anche grazie alle sostituzioni di Tite, in un 4-4-1 basso che ha rinunciato al controllo del pallone (29% il possesso dei verdeoro dopo essere rimasti in 10 uomini), ma che ha negato ogni spazio agli attacchi del Perù, rivelatosi impotente a causa del gap di qualità tra i suoi uomini offensivi e la difesa avversaria. In superiorità numerica, il bottino della squadra di Gareca è stato solo di 2 tiri, di Trauco e di Flores, da fuori area, subito dopo l’espulsione di Gabriel Jesus e prima che Tite riuscisse a riordinare lo schieramento della sua squadra.

 

6 tiri su azione, di cui solo uno nello specchio e 0.2 xG per il Perù, volenteroso, ma davvero poco efficace offensivamente.

 

Il Brasile aveva troppa qualità

Per il match contro il Perù, Tite ha confermato la formazione della semifinale contro l’Argentina, senza lasciarsi tentare, forse anche grazie all’infortunio di Willian, dall’esclusione di Everton, deludente appena tre giorni prima e per questo sostituito nell’intervallo della partita contro Messi e compagni.

 

Everton ha ampiamente ripagato la fiducia di Tite con una prestazione che gli è valsa l’attribuzione del premio di “man of the match” della finale, con un gol e un rigore procurato. Everton ha tentato ben 7 dribbling e vinto la maggior parte dei duelli con il suo marcatore, Advincula. La sua verticalità e la sua ricerca della profondità hanno creato pericoli e spazi per le ricezioni tra le linee di Coutinho e Firmino. Inoltre il calciatore del Gremio ha creato, assieme ad Alex Sandro, il lato forte della manovra offensiva verdeoro.

 

91 passaggi per il terzino della Juventus, ben 29 in più di Dani Alves, il secondo giocatore brasiliano per numero di passaggi.

 

Ancor più di Everton, è stato però Gabriel Jesus a spostare gli equilibri del match, mostrando una interpretazione estremamente efficace del ruolo di esterno destro assegnatogli da Tite. Impiegato assieme a un centravanti dalle caratteristiche peculiari come Roberto Firmino, Gabriel Jesus è stato chirurgico nel trovare sempre la posizione migliore per massimizzare l’efficacia del suo gioco, muovendosi esternamente, come in occasione dell’assist del primo gol, quando l’azione lo richiedeva e, alternativamente, occupando il centro dell’area, svuotato da Firmino per sfruttare le sue grandi doti da finalizzatore, come nel caso del gol del secondo vantaggio brasiliano. Solo l’espulsione, sicuramente ingenua e forse esagerata, ha tolto all’attaccante la soddisfazione di uscire dal campo da dominatore della partita.

 

La scelta, niente affatto banale, di Everton come sostituto di Neymar e, soprattutto, di Gabriel Jesus come esterno destro d’attacco a supporto e completamento di Firmino, rientra tra i tanti meriti di Tite, che ha a buon diritto coronato la sua positiva gestione della nazionale brasiliana con un titolo.

 

Il Perù di Gareca ha disputato una seconda fase di torneo notevolissima e, più in generale, la sua gestione, che la passata stagione ha portato dopo trentasei anni la “blanquirroja” alla fase finale della Coppa del Mondo, è estremamente positiva. In finale i peruviani hanno pagato un paio di errori difensivi e non sono stati in grado di scalfire la solidità regalata da Tite alla nazionale brasiliana.

 

Il tecnico dei verdeoro ha gestito la sua squadra con estremo pragmatismo. Ha trovato la giusta alchimia in attacco con le combinazioni dei movimenti e delle caratteristiche del terzetto offensivo, supportato da Coutinho che, in fase di possesso palla, abbandonava la sua posizione al fianco sinistro di Casemiro per creare una linea di passaggio alle spalle del centrocampo avversario. Ha reso praticamente impermeabile la sua fase difensiva, impiegando Casemiro come battitore libero davanti la linea arretrata e non disdegnando affatto di alternare fasi di pressione offensiva a più prudenti momenti in cui compattare in uno stretto 4-5-1 la sua squadra.

 

Si è quindi affidato alle capacità creative di Dani Alves – miglior giocatore del torneo, autore di una Copa America di livello altissimo per personalità, dominio tecnico e mentale sulle partite e lucidità e brillantezza nel gestire ogni pallone giocato – e alla gestione del pallone di Arthur per supportare la vivacità del quartetto d’attacco e disegnare il progetto della propria fase offensiva.

 

Dopo il “Maracanazo“, il Brasile era riuscito a vincere solamente una volta una partita decisiva per il titolo tra le mura amiche. Era il 1989 e al Maracanã i verdeoro guidati da Sebastiao Lazaroni battevano con un gol di Bebeto l’Uruguay nell’ultima partita del girone finale a quattro squadre. Dopo 30 anni Tite ha nuovamente sconfitto i vecchi fantasmi del calcio brasiliano grazie alla qualità e alla continuità del suo lavoro con la nazionale verdeoro.

 

 

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Fabio Barcellona, chimico e allenatore UEFA B. Scrive di calcio per L'Ultimo Uomo.