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Fabio Barcellona
Analisi Mondiali: Brasile - Germania
09 lug 2014
09 lug 2014
Allo stadio Mineirão, il Brasile ha concluso il suo Mondiale nel peggiore dei modi possibili. E rivedendo le scelte di Felipão il punteggio di 7 a 1 non sembra poi essere così assurdo.
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Fabio Barcellona
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La verità è che per quanto molti (tra cui io) ritenessero la Germania favorita contro il Brasile, il risultato di 7-1 appare troppo illogico per potere essere spiegato razionalmente. Riprendendo un tema sviluppato da

, si può a ben ragione affermare che

. È tecnica, tattica, prestazione atletica, ma anche emozione, psicologia, storie e, perché no, destino e irrazionalità. E cosa meglio del 7-1 di Germania-Brasile può essere attribuito a qualcosa che sta dalle parti di emozione/destino/irrazionalità?

 

Però, non so se c’entri il mio personale modo di vedere il calcio, mentre mi scorrevano le immagini della partita, più che la sorpresa, dentro di me era come se si mettessero a posto i pezzi di un puzzle, come se si unissero i puntini di un disegno e tutto mi sembrava logico e perfettamente coerente con le premesse. Eravamo dal lato opposto dell’irrazionalità.

 


Con il senno di questi Mondiali prende forma l’idea che la Confederations Cup dell’anno scorso non abbia aiutato a prendere le misure di questo Brasile, né ai commentatori, né, probabilmente, a Luiz Felipe Scolari: nessuna delle altre avversarie dei verde-oro della scorsa estate è tra le prime otto squadre di questo Mondiale e Spagna, Italia e Giappone non hanno superato nemmeno la fase a giorni.
Sopravvalutato all’inizio, il Brasile ha giocato un torneo in cui i suoi meriti sono forse stati oscurati dal passato calcistico dei verde oro e dall’immagine scolpita di un

che probabilmente non esiste più da tempo. Ricordo ancora le critiche a Sebastião Lazaroni per l’europeizzazione del suo Brasile a Italia ’90 e l’introduzione di una difesa a 5.

 

Fino a ieri il Brasile era stata una squadra enormemente imperfetta, ma con alcuni pregi che gli avevano consentito, tutto sommato con merito, di entrare nelle prime quattro squadre del mondo.
Sostanzialmente il gioco del Brasile aveva davvero poco di organizzato in senso analitico, ma in alcuni momenti riusciva a investire gli avversari con una forza d’urto cui era difficilissimo resistere. La vera forza della squadra era la

(e non pressing sugli avversari come ci ha

) che, in maniera discontinua e fino a esaurimento energie, riusciva a portare sui portatori di palla avversari. Sui palloni così recuperati il Brasile giocava splendide ripartenze dirette verso la porta avversaria, portando avanti più uomini possibili (terzini e difensori centrali compresi) e approfittando degli squilibri del posizionamento difensivo avversario. Questo meccanismo di attacco e lo sfruttamento dei calci piazzati hanno costituito essenzialmente le uniche armi offensive del Brasile durante tutto il torneo. Fatta eccezione per la partita di fine girone con l’inguardabile Camerun, tutti i gol del Brasile, senza eccezione alcuna, sono arrivati su ripartenza o calcio piazzato. E questo sistema

è stato per alcuni tratti ingestibile per gli avversari del Brasile.
La pressione sugli avversari era puramente

e perché no,

. Ci si buttava verso i portatori di palla avversari con quanta più energia possibile e con una esagerata voglia di prendere il pallone e portarlo velocemente verso la porta avversaria contro la difesa scoperta. L’organizzazione di tale pressione era sostanzialmente nulla: nessuna copertura, nessuna distanza reciproca rispettata. E di questo ci si era accorti già dopo solo 11 minuti del Mondiale, col gol preso dalla Croazia. O, per non andare troppo lontano, dopo quella splendida azione di James Rodríguez nel primo tempo del Quarto di finale quando, l’enorme classe del

colombiano gli aveva permesso di saltare la pressione brasiliana creando un 4 contro 2 in campo aperto per la Colombia malamente gestito poi da Cuadrado.
Gli inevitabili momenti di pausa in questo gioco a ondate e l’esaurimento delle energie creavano il vuoto in questo Brasile. Queste le premesse, una squadra sostanzialmente che giocava sul bianco o sul nero, senza alcun tono di grigio. Una pressione travolgente in grado di mettere in difficoltà chiunque, ma in quanto puramente fisica e pochissimo organizzata estremamente rischiosa per gli squilibri che inevitabilmente generava. E in più l’enorme problema dell’incapacità di giocare un convincente possesso palla e una difesa organizzata nei momenti di quiete delle intermittenti partite brasiliane.
E se già in premessa il gioco del Brasile è un gioco a elevato coefficiente di rischio, facciamo il primo passo verso la comprensione logica del 7-1.

 


Al Brasile mancavano Thiago Silva e Neymar. Se la sostituzione del primo era abbastanza scontata, con Dante del Bayern a far coppia (tornerò però sul concetto di

nella difesa brasiliana) con David Luiz al centro della difesa, l’opzione più gettonata per far fronte all’assenza di O’Ney era quella dell’inserimento di un centrocampista in più, Paulinho il maggiore candidato. Invece Scolari non cambia il suo sistema di tre mezzepunte dietro Fred e a uscire fuori dagli spogliatoi del Mineirão di Belo Horizonte con la maglia da titolare è Bernard che si piazza a destra, con Oscar al centro e Hulk a sinistra alle spalle del centravanti Fred.
Probabilmente, cavalcando ancora il gioco di pressione attuato dal Brasile l’idea è quella di continuare ad avere tanti uomini sopra la linea del pallone una volta riconquistato per sfruttare al meglio le famose ripartenze. Inoltre Felipão cerca di creare due mismatch atletici sugli esterni con il rapidissimo Bernard sul lento Höwedes e il fortissimo Hulk dal lato di Lahm.

 

I primi 2 minuti e 19 secondi della partita ci dicono che tipo di approccio al match ha avuto in testa Scolari. La palla al centro è battuta dalla Germania, ma subito il Brasile riconquista palla, la lancia immediatamente verso l’ultimo terzo di campo e lì rimane, grazie a un’enorme pressione, fino appunto al minuto 2’19” quando, dopo avere già conquistato un calcio d’angolo, Marcelo calcio al lato da fuori area.
Aggressione iniziale degli avversari nella loro metà campo per intimidirli e, probabilmente, per giocare ripartenze più corte, visto che le capacità sul medio-lungo di Neymar non fanno parte certo del bagaglio di Bernard.

 


Quando devo scrivere un articolo di una partita mi attrezzo con una penna e un foglio per prendere appunti e segnarmi situazioni tattiche interessanti che vale la pena di approfondire o magari catturare con uno screenshot. E tra il minuto 2’19” e il gol del vantaggio tedesco, meno di 8 minuti in tutto, mi appunto ben tre situazioni in cui Müller avrebbe potuto ricevere o ha ricevuto da solo nella sua zona di competenza e dalla destra attaccare il Brasile in superiorità numerica. Nei primi dieci minuti c’è tutta la partita.

 


Minuto 4: se solo Klose fosse stato un po’ più lucido avrebbe lanciato a rete Müller.


 

Il fatto drammatico per il Brasile è che tali squilibri si generano sia da falle nella pressione al portatore di palla avversario e, cosa ancora più grave, per l’incapacità di gestire un possesso palla che si possa anche solo definire tale.
L’unica idea (se tale la si vuole definire) del Brasile quando deve costruire gioco è quella di abbassare Luiz Gustavo sulla linea dei difensori centrali, alzare i due terzini e… boh? Ci sarebbe piuttosto da discutere su questa

(perché di questo si tratta) di tantissime squadre di attuare sempre e comunque

anche quando i difensori centrali hanno superiorità numerica col risultato di allontanare un centrocampista dal cuore del gioco e allungare la squadra senza alcun vantaggio. Nel caso specifico del Brasile, quello che si viene a creare è una sorta di allungatissimo 3-3-4 con Fernandinho disperatamente solo a metà campo e Oscar sulla linea degli attaccanti.

 


La salida lavolpiana di Scolari genera 40 metri di buco tra difesa e attacco coperti dal solo Fernandinho.


 

In assenza di qualsiasi forma di raccordo tra difesa e attacco l’unica opzione è il lancio lungo verso le punte e, quando il Brasile prova invece a giocare la palla, la Germania la riconquista con facilità irrisoria aiutata dal pessimo posizionamento in campo dei giocatori verde oro. Pessimo posizionamento che si riflette sulla transizione difensiva, che inevitabilmente lascia spazi enormi alle ripartenze tedesche.

 


La solitudine di Fernandinho in possesso palla.


 

Nonostante il Brasile alzi tantissimo i terzini e mantenga quattro uomini avanzati, Löw non chiede a Müller e Özil di seguire i diretti avversari nel proprio terzo di campo difensivo. Le avanzate di Maicon e Marcelo sono assorbite dai terzini e riconquistata palla i due esterni tedeschi, in particolare Müller, hanno tanto spazio da attaccare, liberi dai diretti marcatori e con a disposizione tutta l’area libera creatasi tra la linea avanzata e quella arretrata del Brasile.

 


Müller non segue Marcelo. Il Brasile è spaccato: 6 uomini in attacco, 3 dietro e il solo Fernandinho in mezzo.


 


Questo screenshot rappresenta l’azione successiva a quella mostrata dal precedente. Il Brasile perde palla e Müller è libero di attaccare in spazi aperti con Luiz Gustavo sempre a inseguire.


 

Abbiamo quindi già due enormi problemi: sia la pressione iperenergetica e sotto-organizzata che l’assenza di un possesso palla strutturato generano squilibri enormi in fase di transizione difensiva, con la Germania letale nel giocare invece transizioni offensive organizzatissime e ben accompagnate.
Inoltre la fase di non possesso palla, forse la parte del gioco del calcio che necessita di maggiore razionalizzazione, soffre anch’essa di carenze organizzative evidentissime. In particolare i componenti della linea difensiva non si muovono in maniera armonica e giocano realmente

puntando tutto sulle loro capacità atletiche e di anticipo, ma senza alcuna relazione tra loro. Nessuna copertura reciproca, nessun movimento coordinato della linea difensiva. E per quanto forte possa essere David Luiz (o anche Thiago Silva, il risultato non sarebbe cambiato) non si può difendere da soli contro una squadra forte, di talento e organizzata come la Germania.

 



 


Dante esce su Klose. Non c’è copertura di David Luiz che è distante dal compagno.


 

Per il Brasile ci sono squilibri quando pressa i portatori di palla avversari, squilibri quando prova a giocare il pallone, squilibri durante le fasi di non possesso palla. E squilibri enormi: se non abbiamo ancora spiegato il 7-1 poco ci manca.

 


In occasione del secondo gol Kroos controlla a fatica il pallone. Sul controllo impreciso tre quarti della linea brasiliana si alza, Marcelo invece fa il movimento opposto.


 


Marcelo segue il taglio di Müller, troppo da lontano. Il resto della linea difensiva si è alzato.


 


Le scelte di Scolari vengono da lontano e sono state rafforzate probabilmente dall’illusoria Confederations Cup della passata stagione. Si è scelto di puntare sulla pressione fisica sull’avversario e sull’intensità esasperata tralasciando ogni altro aspetto del gioco. In quest’ottica si comprendono anche, ad esempio, le mancate convocazioni di giocatori come Miranda e Filipe Luís, splendidi difensori dell’Atletico Madrid iper-organizzato e la scelta invece di giocatori molto atletici, istintivi e capaci di giocare (e probabilmente esaltarsi) in un contesto di gioco basato sulle capacità individuali. David Luiz e Thiago Silva sono probabilmente l’archetipo di questo tipo di giocatore. È un gioco che puoi vincere solo se e quando riesci, letteralmente, a travolgere l’avversario. Se non riesci a fare questo ti esponi al dominio altrui. Con tanti distinguo, il gioco ha funzionato fino alla partita con la Germania. Ma contro la più forte squadra del torneo, fallito il piano A, l’unico che Scolari aveva deciso di preparare, l’all-in di Felipão si è rivelato perdente e il Brasile ha perso tutto.

 


Il Brasile perde 5-0 e David Luiz, come per tutta la partita, si butta in attacco, lasciando soli Dante e Luiz Gustavo a gestire le ripartenze della Germania. La mia solidarietà e comprensione va per intera a Dante e Luiz Gustavo.


 

L’eventuale presenza di Thiago Silva e Neymar non avrebbe cambiato di molto quanto visto in campo. Paradossalmente tali assenze avrebbero potuto costituire una giustificazione e un’opportunità per Scolari per disegnare un piano B, puntando magari sulle debolezze della Germania in fase di transizione difensiva, bene evidenziate dall’Algeria nell’Ottavo di finale. Ma il tecnico brasiliano non ha voluto cambiare nulla della sua squadra, ignorando l’oggettiva forza dell’avversario.
È rimasto quindi il solo piano A, troppo scarno e con tutte le fiches puntate su

; scardinato il meccanismo sono rimasti solamente il pressing disorganizzato, il possesso palla misero e squilibrato e fase di non possesso giocata singolarmente. Davvero troppo poco per contrastare la Germania e non pensare di cadere fragorosamente contro la squadra di Löw.

 

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