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Alessio Di Chirico, un anno dopo
20 giu 2019
20 giu 2019
Sabato notte torna in gabbia il fighter italiano con il record migliore in UFC.
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Alessio Di Chirico ha combattuto cinque volte in UFC negli ultimi tre anni, con un record 3-2 che al momento è il migliore tra i fighter italiani nel roster della più importante promotion mondiale. L’UFC di recente sembra aver deciso di puntare con più convinzione sui nostri atleti, mettendo sotto contratto nell’ultimo anno solare Carlo Pedersoli Jr (1-2), Alen Amedovski (0-1) e Danilo Belluardo (0-1) - che si aggiungono a Mara Borella (2-1) e Marvin Vettori (2-2-1), quest’ultimo tra l’altro combatterà il prossimo 13 luglio. Insomma sarebbe il momento perfetto per dare un segnale di forza importante battendo Kevin Holland, all’interno della main card di questo sabato (UFC Fight Night 154).

Ma Di Chirico non combatte da quasi un anno e viene da un’operazione al bicipite del braccio sinistro (il suo forte) e sa di avere di fronte un avversario complicato, oltretutto mediaticamente e caratterialmente all’opposto di lui.

Ho intervistato Di Chirico la prima volta prima che esordisse in UFC. L’ho intervistato in palestra, al bar e persino a casa sua, dopo aver guardato insieme una partita della Roma. Quando guardo i suoi incontri ormai sono coinvolto a livello personale ben oltre il coinvolgimento che accompagna gli altri atleti italiani (lo sono anche con Vettori, seppur in modo diverso) e prima dell’incontro mi sento teso. Io. Figuriamoci Alessio.

Eppure mi sembra rilassato come sempre, gentile e distaccato. Siamo a pochi giorni dalla partenza per gli USA ma sembra stia per andarci in viaggio di piacere, a Greenville, in Carolina del Sud.

Sono passati 11 mesi dall’ultima volta. In questo periodo è successo di tutto: prima è saltato l’incontro con Jared Cannonier (che nel frattempo è arrivato tra i primi 10 del ranking ufficiale UFC ndr), poi ti sei infortunato. Come ha vissuto questo periodo?

Anche con Cannonier, in realtà, mi ero fatto male al ginocchio, una distorsione al collaterale mediale. La cosa non è uscita perché lui aveva trovato un altro incontro prima, e poi io e Cannonier abbiamo lo stesso manager, quindi non si è creato nessun conflitto. Poi sì, mi sono infortunato al braccio e mi sono operato il 31 dicembre… È stato un periodo duro. Anche se vuoi puoi partire dall’incontro con Marquez che è stato il più tosto della mia carriera (del luglio 2018, vittoria per decisione non unanime, se volete qui trovate un’analisi dell’incontro ndr).

Dopo sono rimasto due o tre mesi fermo, ho ricominciato ad allenarmi con calma. È stato veramente duro, forse anche per colpa mia. Già da prima di quel match avevo preso delle abitudini sbagliate. Dormivo male, mangiavo male, recuperavo male. Che secondo me hanno causato gli infortuni.

Quanto sbagliate? Molto, poco, leggermente?

Anche delle abitudini leggermentesbagliate a questo livello non puoi permettertele. Non puoi mettere questo sport al secondo posto. La tua giornata deve ruotare intorno al tuo allenamento. Io magari andavo a dormire tardi la sera, non mi integravo… non mettevo le MMA al primo posto. Se magari c’era da andare fuori, andavo. E mangiavo male, mangiavo tardi. Una serie di disattenzioni poi sfociate in quegli infortuni. Ma quest’anno ho ritrovato la concentrazione. Come ogni errore anche questo mi è servito.

Immagino anche che avessi anche iniziato a prepararti per l’incontro con Cannonier, e che quindi hai speso dei soldi a vuoto.

Eh sì, avevo speso anche tanto per gli sparring partner. Per farli venire, perché è a spese tue a meno che non hai uno sponsor. Io avevo fatto venire Ion Cutelaba, fighter moldavo in UFC.

E l’infortunio al gomito come l’hai vissuto?

Come una tragedia, sotto tutti i punti di vista. Anzitutto perché non combatti, quindi non guadagni, quindi non ti alleni, quindi non vivi. Nel mio team diciamo sempre che l’infortunio è la cosa peggiore per un atleta che fa MMA.

Peggio di un incontro perso per KO?

Guarda, quasi. No, forse il KO è la cosa più brutta. Però l’infortunio in allenamento è proprio dura da accettare. Anche se succede. Io mi sono fatto male al ginocchio in uno sparring, dopo che avevo dormito male. Non ci stavo con la testa e mi sono fatto male durante uno scramble di lotta. Alla fine ti fai sempre male quando non pensi di poterti far male, quando stai rilassato. Per questo devi sempre tenere alta la tensione nello sparring. Anche quando mi sono fatto male al bicipite, sono andato così, leggero, e mi sono strappato. Adesso, dopo l’operazione, sono tornato super concentrato.

L’operazione come è andata?

Quando ti operi resetti completamente un arto. Sono ripartito da zero. L’operazione è andata da subito bene, e devo ringraziare i medici Gianluca Falcone e Paolo Colletti. Colletti è anche il medico del nostro team. Scusa, non voglio fargli pubblicità ma è dovere. Quando operi un tendine devi farlo in massimo 14 giorni e all’inizio non si era neanche capito se mi ero rotto il bicipite. Io ci ho messo una settimana ad avere la diagnosi, il 27 dicembre, e a quel punto erano partiti tutti. Ti dico, è stato pesante per me, solo grazie a Colletti e Falcono mi sono operato il 31 dicembre.

Se avessi aspettato che sarebbe successo?

Avrei messo a rischio il recupero, se la guaina tendinea perde viscosità poi non la recupera. Per questo li ringrazio. E ringrazio anche mia madre, che mi ha anticipato i soldi dell’operazione. Poi li ho recuperati con l’assicurazione UFC ma senza di lei non mi sarei operato.

Capodanno a casa, quindi.

Sì, con la mia ragazza. Mi sono operato il 31 e sono tornato la sera stessa a casa, anche se in teoria non è un’operazione da “day hospital”. Sono tornato a casa che ancora non mi sentivo le dita per l’anestesia. Poi sono stato due o tre settimane col gesso, mi muovevo a piedi perché non potevo guidare, e dato che era il braccio sinistro e io sono mancino ho dovuto imparare a fare tutto con la destra, pure ad aprire le porte. Ho ricominciato piano piano, ci ho messo un po’ a tornare.

Come ti ha cambiato fisicamente l’infortunio?

Be’ avevo perso massa. Sono riuscito a non mangiare troppo e a rimanere sui 93kg, poi quando ho ricominciato ad allenarmi sono tornato a 95kg.

A me adesso sembri meno “esagerato” muscolarmente, più leggero, più essenziale. A te non sembra? Che ne so, non ti senti più rapido?

In realtà la massa magra l’ho ripresa tutta. Io cerco sempre di esprimere il meglio della mia forma nel momento, quindi lavoro su tutti i fattori: velocità, forza, potenza. A livello tecnico e di condizione ci deve essere una crescita, una salita. Mi sento migliore di prima in tutto.

Questo però lo dicono tutti prima di un incontro.

Se non lo sentissi davvero non lo direi. Magari se me l’avessi chiesto in un’intervista passata non te l’avrei detto.

Quanto tempo dopo essere tornato ad allenarti hai accettato l’incontro con Holland? Come ti sei preparato?

Ho ricominciato ad allenarmi piano, la prima lotta a terra l’ho fatto con Carlo (Pedersoli Jr, suo compagno di team e amico ndr) che è molto tecnico e ci è andato piano. A febbraio, o a marzo... sì, a marzo. E il match con Holland l’ho accettato i primi di maggio, dopo due mesi di allenamento pieno. E sono fortunato anche ad aver avuto due mesi dopo, per il camp, e non una short-notice come è capitato sempre a Carlo, ad esempio. Il budget per il camp non è stato altissimo, l’ho fatto tutto in Italia, allenandomi principalmente con Pietro Penini e Mattia Schiavolin.

Per affrontare Holland hai allenato qualcosa di specifico?

Mi stai chiedendo la strategia?

No perché tanto so che non me la dici.

Principalmente, considera, ho cercato di arrivare al 100% e di superarmi, e in questo ci siamo riusciti. Ci aspettiamo un incontro con un avversario che ha una lotta a terra e degli scramble molto buoni, e che riesce sempre a mandare in confusione il match, con un volume di colpi molto alto, che parla anche molto. Abbiamo lavorato un po’ su questo. Anche se George St-Pierre dice che, indipendente da quale sia la strategia, l’importante è saperla imporre all’avversario.

Però per un fighter come te mi sembra sia molto importante anche interpetare i diversi momenti, no? La chiave della tua ultima vittoria con Julian Marquez, ad esempio, mi pare sia in quei momenti che hai interpretato col giusto tempismo, uscendo magari da quelli fasi in cui lui stava facendo bene anche grazie ai take-down.

Sì, che poi in quel match io ero un po’ indurito con il collo e non ero sicuro dei take-down, e invece poi sono usciti fuori. Non sono mai stato male come dopo quel match, comunque. Dopo i match non dormi mai, perché il corpo ti dà una scarica di adrenalina che ti resta in corpo, o magari perché hai paura di non svegliarti più se ti addormenti…. E poi ti esce il dolore di tutto. Ma è stato tosto anche per Marquez, dopo quel match non ha ancora ricombattuto, ci siamo menati abbastanza. Poi anche lui si è operato, due volte al tendine del dorsale.

Prima di incontrarti ho riguardato il match. Ne sottolinei la durezza, ma a me guardando davi l’impressione di assorbire anche i colpi più duri molto bene. Hai preso anche un head-kick al collo molto duro, credo nel terzo round, senza scomporti...

Ah sì? Lorenzo (Borgomeo, suo allenatore ndr) invece dall’angolo mi diceva che davo dei segnali sbagliati, che sembravo stanco. È una cosa su cui stiamo lavorando.

Sui segnali o sulla stanchezza?

Sui segnali. Per non dare forza all’avversario.

Ma dopo i primi due round eravate consapevoli di avere un vantaggio?

Era dura, perché lui continuava ad avanzare. Non c’è stato un momento in cui ho capito di avere un vantaggio, no. Lorenzo mi spinge sempre per non farmi addormentare, anzi lui mi sbrocca se faccio “il sorrisino”. Una cosa che mi capita, che mi capitava di più tra i dilettanti, ma che faccio ancora Al primo round mi ha detto: “Togliti quel cazzo di sorrisino”. È un segno di sicurezza, ma lui non vuole che mandi il match in rissa. Poi, prima che contassero i punti, ero sicuro di aver vinto, anche se quando ho sentito che un giudice lo aveva dato a lui mi sono un po’ cacato sotto.

A parte il dolore, che ti sei portato via dall’incontro con Marquez?

Ho imparato che devo essere più spietato, che devo giocare di meno. Poteva finire al primo round quell’incontro, gli avevo piegato le gambe con un gancio. Se devo dire la verità, io quel match l’ho sottovalutato. Lui è stato davvero forte, e pesante, anche perché aveva ciccato il peso.

Che vantaggio dà arrivare con quei due chili in più?

Cambia tutto, gli ultimi chili sono i più difficili da tagliare, sono quelli che disidratano il sistema nervoso. Io taglio 6-7 chili, parto da 91…

Ti debilita?

Un po’ ti debilita. E poi ogni taglio è peggio. Se ne fai tre di fila, tipo Adesanya che ha fatto parecchi match di fila, devi prenderti un periodo fisiologico di recupero.

Che ne pensi delle sconfitte recenti di atleti che tagliano molto peso, tipo Darren Till con Masvidal che era molto più piccolo?

Ho una teoria. Penso che se tagli tanto hai uno svantaggio nello striking, e infatti nella boxe nessuno taglia tanto, ma ti avvantaggia nel grappling. Per questo penso che la tendenza a tagliare tanto diminuirà. E comunque è una cosa che fa male agli atleti. Ora come ora non potrei non tagliare il peso, altrimenti a 93kg incontrerei fighter di una categoria superiore (perché rientrerebbe nei Massimi Leggeri, incontrando atleti che magari in realtà pesano più di 100kg, ndr), ma non avrei niente contro se il peso venisse fatto il giorno stesso e se facessero le analisi del sangue, perché non basta pesare il giorno dell’incontro, qualcuno che taglia lo trovi lo stesso. Poi magari bisognerebbe ripensare le categorie, che vanno di 15 libbre in 15 libbre a partire dai Pesi Leggeri (70kg ndr), e invece si dovrebbe continuare a suddividere le categorie di 10 libbre in 10 libbre come si fa per quelle più leggere.

Pensi che anche il pubblico italiano sottovaluti un po’ il valore dei tuoi avversari? Holland è un avversario di livello, la sua unica sconfitta negli ultimi due anni è con Thiago Santos, il prossimo avversario di Jon Jones…

E ha anche retto i colpi di Santos in quell’incontro. Ma in UFC ci sono solo fighter tosti. Anche Vettori ha avuto tutti avversari durissimi, e ha fatto un gran match con Adesanya. Poi in Italia, se vedi anche come hanno reagito alle sconfitte di Carlo, i tifosi mi fanno quasi sperare che non diventi uno sport mainstream, per non finire come nei commenti sul calcio. Anche se ci sarebbero dei vantaggi economici…

Dana White ha soprannominato Kevin Holland “Big Mouth”, ti preoccupa questo piano dello scontro? Non sei mai stato un fan del trash-talking.

Io non parlo inglese, quindi sinceramente non mi interessa (ride ndr). No in realtà lo capisco ma non lo parlo, devo solo cercare di non innervosirmi.

Ti chiedi mai come ti vede l’UFC?

Non mi interessa, io penso a fare semplicemente del mio meglio, allenamento dopo allenamento, match dopo match. Non penso che l’UFC ragioni come un’entità unica, credo ci siano molti giochi di potere tipo Game of Thrones per arrivare alla cintura. A me non interessa, io neanche ne parlo di quella “cosa cilindrica”. Non ho neanche finito Game of Thrones, mi sono fermato alla quinta, quando hanno resuscitato Jon Snow.

Pensi che l’UFC giudichi anche le prestazioni o guardi solo al record?

Non lo so ma per un fighter il risultato è tutto. Anche perché quando perdi ci vai quasi in pari. Io prendo sempre 21 + 21, senza le tasse, che in America sono il 30%.

L’ultima volta che ti ho intervistato mi hai detto che non si combatte per soldi. Ma allora perché combatti?

È la cosa più bella del mondo battere un avversario. È la sensazione più bella che esiste. Poi magari un giorno mi nascerà un figlio e sarà quella la sensazione più bella.

Far nascere una vita nuova è una cosa quasi all’opposto, però, di far male a un altro uomo.

Io lo voglio battere, non gli voglio fare male. Lo voglio battere con ogni mezzo possibile. Se mi capita di pizzicare uno sul fegato non è che penso: “Ah, adesso ti ammazzo”. Penso: “Adesso ho un vantaggio”. Quando questo è il tuo mestiere, superi la componente sociale del dolore.

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