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Federico Aquè

Un momento dopo l’altro

Il Real Madrid vince una partita bella (errori arbitrali a parte) e combattuta metro per…

L’evoluzione del calcio negli ultimi anni ha ridefinito l’importanza del centro del campo come zona strategica da cui controllare la partita. La creazione del gioco si è spostata sempre più indietro: per questo disporre di un portiere e di difensori centrali in grado di generare superiorità per far uscire la palla in maniera pulita dalla difesa è diventato indispensabile; e sempre più sui lati del campo: perché, invece, se al centro è sempre più difficile trovare spazi è naturale che il flusso del gioco si orienti da subito sulle fasce. Non è raro ormai che, per quantità di palloni giocati, i terzini siano i giocatori chiave delle loro squadre nella prima costruzione.

 

È un concetto vero anche se a sfidarsi sono alcuni dei migliori centrocampisti al mondo: Real Madrid e Bayern Monaco hanno rinunciato a controllare il centro del campo, dando così vita a una sfida spettacolare ed emozionante. Il quarto di finale di ritorno giocato ieri sera al Santiago Bernabéu è stato ricco di capovolgimenti e colpi di scena, scanditi dai momenti in cui la strategia di una squadra ha dominato sull’altra senza che nessuna delle due avesse mai un vero controllo della partita.

 

 

I principi e la fluidità di Zidane

 

È anzitutto interessante notare come il rombo di centrocampo del Real Madrid (Isco ha preso il posto dell’infortunato Bale e si è posizionato da trequartista alle spalle di Cristiano Ronaldo e Benzema) si sia disunito in fase di possesso per ricreare le combinazioni sulla fascia tipiche del 4-3-3: Zidane non ha usato la superiorità numerica garantita dal rombo per controllare il pallone e il centro del campo, ma ha di fatto usato Isco come uomo libero, chiamato a muoversi a piacimento nella zona della palla per facilitare la risalita del campo.

 

Il trequartista spagnolo è stato importante soprattutto nel fare da raccordo tra le prime fasi dell’azione, generando superiorità alle spalle della prima pressione del Bayern, ma ha avuto un’influenza limitata negli ultimi 30 metri (nessun assist per il tiro di un compagno).

 

Un ruolo simile l’ha avuto Benzema che, così come all’andata, ha svuotato l’area di rigore (un solo tiro) aiutando la squadra a consolidare il possesso con i suoi continui movimenti in appoggio al portatore di palla. Un lavoro oscuro la cui importanza è troppo spesso sottovalutata: i movimenti di raccordo del francese, ad allargarsi o ad abbassarsi per ricevere dai centrocampisti, sono di frequente la chiave che permette ai compagni di avere la possibilità di segnare.

 

Insomma, pur cambiando il modulo i princìpi di gioco del Madrid non sono cambiati: il rombo non ha riportato al centro la creazione del gioco, ma ha semplicemente facilitato la costruzione sulle fasce, garantendo un uomo libero su cui appoggiarsi per aggirare la pressione del Bayern e passare da un lato all’altro.

 

Non a caso, i giocatori ad aver toccato più palloni sono stati i due terzini: Marcelo e Carvajal.

 

Isco ha ricevuto soprattutto da Marcelo e Carvajal e non ha connessioni con i due attaccanti, Benzema e Ronaldo. Da notare anche l’assenza di collegamenti tra Ramos e Nacho e i flussi di gioco che partono da Keylor Navas per arrivare a Marcelo e Carvajal.

 

 

Le certezze granitiche di Ancelotti

 

La strategia offensiva del Bayern è stata identica a quella dell’andata: la squadra di Carlo Ancelotti ha costantemente evitato il centro del campo, utilizzandolo soltanto come punto d’appoggio da cui cambiare gioco, cercando così di sorprendere il Madrid ai lati. Il cambio di modulo della squadra di Zidane ha reso ancora più logica questa scelta: il rombo a centrocampo rendeva più difficile coprire l’ampiezza e il cambio di gioco rappresentava così la soluzione più facile e veloce per attivare le catene laterali prima che Isco ripiegasse su una delle due fasce (soprattutto quella sinistra) per riequilibrare la squadra in fase di non possesso.

 

Esattamente come all’andata, Alaba si alzava subito per permettere a Ribéry di entrare dentro il campo, mentre Robben dall’altra parte rimaneva più largo per essere isolato contro Marcelo. Le posizioni asimmetriche di Lahm e Alaba hanno orientato i flussi di gioco del Bayern: Boateng infatti poteva uscire subito sul proprio capitano, mentre Hummels era costretto a passare dal centrocampo o a cercare direttamente Ribery per dare il via all’azione.

 

Tra Hummels e Alaba non ci sono connessioni, Xabi Alonso dirige il traffico verso i due lati del campo, Thiago si muove dovunque ci sia la palla e la tocca più di tutti.

 

Ma è da notare anche che il ritorno tra i titolari di Robert Lewandowski non è servito a sviluppare il gioco interno del Bayern, che non ha mai veramente utilizzato il proprio centravanti come riferimento. Il numero 9 polacco ha partecipato poco alla manovra, limitandosi a occupare la zona più vulnerabile della difesa del Madrid, quella tra Carvajal e Nacho, per tenerli lontani da Alaba e Ribery e facilitarne la ricezione. Con una manovra così orientata ai cambi di gioco e ai cross sfruttando le combinazioni tra esterno e terzino, Lewandowski non è riuscito a incidere sulla partita.

 

 

Il contesto è cambiato di continuo

 

Lewandowski, comunque, era riuscito a lasciare la propria firma sulla partita calciando con freddezza il rigore dell’1-0, un momento importante soprattutto considerando il fatto che fino a quel punto era stata la strategia del Madrid a prevalere su quella del Bayern: i ripiegamenti di Isco e i raddoppi dei centrocampisti – Casemiro al solito fenomenale schermo della difesa: 6 contrasti, 4 intercetti, 3 spazzate e 3 tiri respinti – avevano contenuto le combinazioni sulla fascia del Bayern e la squadra di Zidane aveva sfiorato più volte in ripartenza il gol del vantaggio.

 

Così all’intervallo, con 45 minuti rimasti e due gol da segnare, Ancelotti si è giocato il tutto per tutto, ruotando il triangolo di centrocampo (dal 4-2-3-1 al 4-3-3) e aggiungendo alla propria strategia l’elemento di imprevedibilità garantito dagli inserimenti di Vidal, anche a costo di lasciare solo Xabi Alonso e sbilanciare la squadra. Il cileno si è alzato a giocare da mezzala destra e i suoi movimenti in verticale hanno immediatamente portato benefici liberando Robben dalla sua posizione larga sulla fascia e avvicinandolo a Ribery, Alaba e Lewandowski.

 

Il Bayern ha creato una grande occasione (salvataggio sulla linea di Marcelo) e pochi secondi dopo, sullo sviluppo successivo dell’azione, Robben ha conquistato il rigore che ha riaperto la qualificazione.

 

A quel punto la partita è cambiata e la strategia del Bayern è tornata a dominare su quella del Madrid. Zidane allora ha definitivamente abbandonato la ricerca del palleggio per uscire dalla pressione dei bavaresi e si è affidato in maniera ancora più accentuata alle ripartenze: Isco e Benzema sono usciti per fare spazio ad Asensio e Lucas Vázquez, che si sono posizionati sulle fasce per garantire maggiore copertura e approfittare dello spazio alle spalle dei terzini del Bayern una volta recuperata la palla.

 

Ancelotti ha risposto rinunciando a Xabi Alonso per inserire Müller e il nuovo contesto è sembrato immediatamente sorridere al Madrid. L’ex allenatore del Milan ha subito pagato la rinuncia a un centrocampista: Modric ha attirato su di sé il pressing del Bayern e aperto un buco in mezzo al campo liberando Casemiro, utile per una volta anche in fase di possesso. Ronaldo, spostato a centravanti in pianta stabile, ha così riportato la gara in parità.

 

 

Anche il caso vuole la sua parte

 

Sembra il copione visto moltissime altre volte da quando Zidane siede sulla panchina del Madrid: la sua squadra a un passo dal crollo e invece sempre capace di trovare la giocata giusta per ribaltare l’inerzia emotiva, tecnica e tattica della partita. Pochi secondi dopo, però, l’imprevedibile: Nacho, Ramos e Keylor Navas gestiscono come peggio non potrebbero un lancio di Hummels e i “Merengues” vanno di nuovo sotto.

 

È l’episodio che permette al Bayern di prendere il sopravvento negli ultimi minuti, prima che gli errori arbitrali di Kassai cambino definitivamente il contesto e aprano la strada alla settima qualificazione consecutiva in semifinale (un record) del Real Madrid. Non è la prima volta, e non sarà di certo l’ultima, che una partita splendida, giocata con intensità dai giocatori e gestita in maniera brillante dagli allenatori viene influenzata (in questo caso possiamo dire “peggiorata”) nel suo risultato finale da episodi fortunati o errori arbitrali. Non ci si può fare niente e finché la percentuale di caso non verrà ridotta in qualche modo (nuova tecnologia?), e non è questa la sede per approfondire un discorso del genere, non ci resta che considerarla come parte del gioco. Diciamo che gli errori di Kassai, da questo punto di vista, non sono molto diversi dall’autogol di Ramos. Se non per il fatto che, nel caso di Ramos, è difficile pensare a qualche tipo di volontarietà, mentre con gli arbitri (soprattutto se gli errori sono molteplici al punto che neanche vale la pena citarli, come in questo caso) è sempre facile pensar male.

 

Ma al di là degli episodi arbitrali possiamo sottolineare un altro aspetto della gara. E cioè il fatto che, proprio come contro il Napoli agli ottavi, il vantaggio costruito all’andata non ha messo al riparo il Madrid da una possibile rimonta. Ma Zidane è riuscito a conciliare l’assenza di controllo sulla partita con una gestione dei vari momenti che la compongono che non ha eguali in Europa.

 

I “Merengues” esibiscono ogni volta una fiducia sconfinata nel fatto che prima o poi succederà qualcosa che farà svoltare la gara in loro favore, anche quando tutto sembra indicare il contrario: e il bello è che da un anno e mezzo hanno sempre avuto ragione. Negli scontri a eliminazione diretta una risorsa mentale del genere è forse più preziosa di qualsiasi qualità tattica o tecnica.

 

Dalla parte opposta, Ancelotti ferma la propria corsa ai quarti, una stazione prima rispetto a quella in cui si è sempre fermato Guardiola nei suoi tre anni in Baviera. Sarebbe ingiusto, però, giudicare la sua prima stagione tenendo come unico riferimento il percorso in Champions League (come è stato ingiusto giudicare l’operato di Guardiola su questa stessa base), se non altro perché è una competizione che si decide davvero su dettagli troppo piccoli e difficilmente “aggiustabili” da un allenatore per fare da unità di misura con cui valutare la qualità del suo lavoro.

 

 

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Federico Aquè ha collaborato con Sprint&Sport, Datasport e Sportmediaset.