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Emanuele Atturo

Le polemiche arbitrali sono arrivate nel tennis?

Il torneo di Montecarlo è stato ricco di polemiche, a partire dal caso di Sinner.

Da circa 48 ore in Italia sta succedendo una cosa nuova: si discute per una decisione arbitrale nel tennis. Durante la semifinale del torneo di Montecarlo Jannik Sinner ha palla break contro Stefanos Tsitsipas. Il greco, noto per il suo umore ballerino, tira una seconda di servizio centrale che sembra lunga. Sarebbe stato doppio fallo e doppio break per Sinner, nel terzo e decisivo set. Non è esagerato immaginare che la partita, più o meno, si sarebbe chiusa lì. Il giudice di linea, però, non chiama l’out, Sinner ha un momento di esitazione. C’è un breve momento di sospensione della realtà, in cui tutti gli attori in campo sembrano incerti, poi Sinner risponde, male, il punto si gioca e viene vinto da Tsitsipas. Sinner avrebbe dovuto fermarsi e far controllare il segno, invece ha giocato ed è poi tornato sul punto del misfatto, rendendosi conto che la palla era fuori.

 

 

Da quel momento qualcosa va in panne, nella suo perfetto circuito psico-fisico. Il suo gioco comincia rallentare, un poco alla volta, e così anche il suo corpo, che comincia ad accusare indurimenti ai muscoli e crampi. Infine, confuso e disordinato, perde. Dopo aver girato l’inerzia nel secondo set, prendendo le misure in risposta e aumentando il ritmo da fondo, sembrava fatta. È la sua seconda sconfitta del 2024, ed è arrivata contro un avversario che ha storicamente sofferto, uno specialista del rosso, la sua superficie meno preferita; ma è stata una sconfitta rocambolesca e piena di rimpianti. A cominciare da quel mancato doppio break, a cui evidentemente Sinner ha continuato a pensare nel corso del terzo set. Lo ha detto lui stesso, che nella conferenza post-partita ha dato un grande peso all’episodio, pur mostrando un certo, sempre apprezzato, stoicismo: «Tutti possono sbagliare, anch’io sbaglio, ed è andata così. Il momento è cambiato ed è andato dalla sua parte. Ho iniziato a essere più nervoso, e questo mi ha provocato i crampi. (…) È la parte divertente del tennis».

 

Perché non c’è la tecnologia su terra rossa

Sinner sa bene che a volte queste chiamate possono andare dalla tua parte. Gli era successo proprio il giorno prima, nei quarti contro Holger Rune. Nel tiebreak del secondo set una sua palla era stata chiamata fuori ma l’arbitro aveva fatto overrule, correggendo la decisione del giudice di linea. Un gesto sorprendente, inconsueto e che aveva ovviamente mandato fuori di testa il capriccioso Rune: «Non puoi chiamare tutto contro di me» aveva detto, sulla scia di un litigio teatrale di poco prima. In ogni caso Rune aveva ragione, la palla di Sinner era fuori.

 

È stata una settimana delirante a Montecarlo. Quasi in ogni partita si è consumato qualche teatrino arbitrale, quasi ogni giocatore è uscito scontento dal torneo per gli arbitraggi. A inaugurare il clima di tensione era stato, ovviamente, Daniil Medvedev. Contro Monfils una palla che lui considerava lunga viene chiamata buona, anche dopo il controllo dell’arbitro (ma la palla era fuori); sul punto successivo, lo stesso episodio sulla stessa linea. Stavolta l’arbitro dà ragione a Medvedev, che però a quel punto perde la testa: sbraita con le braccia larghe, urla contro il giudice di linea, che come sempre interpreta il ruolo del muto. Al cambio campo Medvedev è fuori controllo, si mette a sindacare contro Layhani, prova a smontare la tenda sopra la panchina. Poi si ricompone e riesce a vincere la partita. In quel cambio campo dice: «Voi ragazzi state diventando ridicoli. Con l’Hawk-Eye live, non vedi nulla».

 

 

Ci sono state proteste e caos quasi in ogni match di Montecarlo, e questo per diversi motivi. Innanzitutto gli arbitraggi sono stati più scadenti, però c’è un discorso più ampio da fare. La nuova generazione di tennisti è più rumorosa, meno fedele alla rigida etichetta del tennis del novecento. Se sentono di aver subito un’ingiustizia, si fanno sentire. In più, è una generazione di tennisti sempre più abituata alla tecnologia. L’occhio di falco è stato introdotto nel tennis nel 2006, offrendo una possibilità di verifica che è spesso diventata un momento teatrale di confronto tra uomo e tecnologia. La palla veniva chiamata fuori, il giocatore usava una delle chiamate a disposizione – come le vite bonus nei videogiochi – per la revisione. Il pubblico cominciava a battere le mani ritmicamente e tirava il fiato mentre lo schermo zoomava sul segno della pallina.

 

Appassionante la partita nella partita tra Federer e l’occhio di falco, spesso vinta da quest’ultimo. L’occhio di falco a chiamata non sostituisce l’arbitraggio umano ma offre un supporto correttivo. La sua introduzione è stata accelerata da un match del 2004 tra Jennifer Capriati e Serena Williams. In quel momento la tecnologia era a disposizione solo delle tv, che durante il match continuavano a mostrare decisioni prese a sfavore di Serena. La discrepanza ha aperto uno scandalo che ha costretto il tennis ad affrettare la svolta tecnologica.

 

È col Covid che il ruolo dell’occhio di falco diventa più ampio. Con l’esigenza di dover diminuire i corpi infettanti in campo, i giudici di linea sono stati tolti di mezzo, sostituiti dalla tecnologia dell’occhio di falco live. Il cambiamento ha riguardato tutti i Master 1000 su cemento e gli Slam in Australia e Stati Uniti. Il campo è diventato più asettico: nessun pathos sulle chiamate controverse, nessun conflitto tra giocatori e giudici di linea.

 

A differenza del remote working, questa innovazione portata dal Covid era arrivata per restare. La maggior parte dei tornei su cemento ha mantenuto la chiamata automatica. Le eccezioni più rilevanti sono state Wimbledon e tutti i tornei su terra rossa. Non stupiva che il museale All England Club avesse rigettato l’innovazione, e in fondo su terra c’è ancora il buon vecchio segno da poter controllare. John McEnroe si è esposto chiaramente contro questa idea: «Penso che il tennis sia uno dei pochi sporti in cui puoi fare a meno degli arbitri. Se hai a disposizione questa tecnologia, ed è precisa, non è meglio avere la certezza di prendere le decisioni giuste? Se ci fosse stata ai miei tempi sarei stato più noioso ma avrei vinto di più».

 

Ma l’occhio di falco è davvero infallibile?

Le motivazioni sul suo mancato adottamento da parte dei tornei su terra ed erba ha senz’altro qualche motivazione culturale. «Sarebbe sbagliato per il tennis diventare troppo robotico» ha dichiarato un paio d’anni fa Ross Hutchins, chief tour officer della ATP. Il direttore di Wimbledon ha fatto tutta una serie di dichiarazioni strane su tradizione, innovazione e dress code. In quel periodo era uscita anche la notizia incredibile che si stava pensando di vendere i diritti della parola “out” per sostituirla dal nome di uno sponsor. A quanto pare era una pensata di Ben Figuereido, capo divisione del tennis dell’azienda Hawk-Eye, quella che fornisce la tecnologia. E così al posto di “out” o “fault” si poteva sentire “Rolex” o “Ralph Lauren”. La fantasia di certi manager ha un lato artistico sottovalutato.

 

Quasi nessuno, tuttavia, è contrario all’introduzione della tecnologia. Djokovic ha dichiarato chiaramente che non ci si può opporre al futuro tecnologico. Alla base della mancata adozione, finora, da parte dei tornei su terra ed erba bisogna allora citare soprattutto questioni pratiche.

 

Innanzitutto dobbiamo spiegare brevemente come funziona l’occhio di falco. Come erroneamente si può pensare, non fotografa il punto in cui ricade la pallina ma, piuttosto, usa dieci o dodici telecamere per raccogliere informazioni sulla pallina mentre viaggia in aria, e fa una proiezione 3-d per prevedere dove questa cadrà. Le telecamere raccolgono circa 340 frame al secondo. La strumentazione ha costi molto alti e ha bisogno di essere calibrata di volta in volta all’inizio del torneo, seguendo le condizioni del campo. A calibrare l’occhio di falco si impiegano circa 30 minuti. Il margine d’errore può essere di 3.6 millimetri, in condizioni ideali (anche se altri fonti dicono 2.2 millimetri), che però sono più difficili da ottenere in campi diversi dal cemento. L’occhio di falco raccoglie informazioni attraverso la luce, le condizioni del campo e il vento. Se queste condizioni cambiano, allora quel margine d’errore citato prima può cambiare. Sull’erba le condizioni possono cambiare spesso e l’occhio di falco ha bisogno di essere calibrato più volte durante il corso del torneo; la terra presenta una variabilità ancora più alta e per mantenere una precisione affidabile l’occhio di falco andrebbe ricalibrato all’inizio di ogni match. Un pre-requisito complicato in tornei dal calendario congestionato. Tuttavia col tempo l’accuratezza è migliorata sempre di più e l’occhio di falco è stato testato positivamente anche su terra. È stata quindi una decisione dei singoli tornei non adottarlo e mantenere il vecchio teatro di verifica del segno, l’arbitro che scende a controllare, le orme cerchiate da un baffo disegnato dalla racchetta. L’ultimo anello di congiunzione tra il tennis professionistico e quello da circolo. Tuttavia dal 2025 la situazione cambierà, anche Wimbledon e i tornei su terra adotteranno la tecnologia dell’occhio di falco in tempo reale, e la decisione contro Sinner potrebbe essere stato l’ultimo torto subito da un tennista.

 

La questione morale

È indubbio che l’imperfezione arbitrale abbia movimentato lo spettacolo in questo torneo di Montecarlo, uno dei più divertenti degli ultimi anni. La dimensione giuridica, come in tutti gli sport, si intreccia con quella morale, e non avere un sistema di verifica esatto a cui affidarsi ha spalancato ambiguità e zone grigie, dentro cui il pubblico ha potuto verificare la condotta morale dei giocatori. È stato il torneo della follia di Medvedev, dei capricci di Rune, del cortocircuito di Sinner di fronte all’ingiustizia. Di fronte a questi momenti teatrali il pubblico ha potuto approvare o disapprovare il comportamento dei tennisti, che da parte loro hanno ricoperto i ruoli assegnati dal sistema dei personaggi del circuito. Rune il ragazzino bizzoso, Sinner il puro, Medvedev il pazzo. Le tante partite ravvicinate hanno condensato stanchezza e spettacolo, ricordandoci l’intrattenimento dei Master 1000 svolti in una settimana.

 

Questo tipo di dialettica tra codice giuridico e morale esiste dagli albori del tennis, ed esiste a tutti i livelli, come sa chi ha assistito a giocatori venire alle mani nei bassifondi della Serie D della periferia italiana. Nel novecento, nell’epoca in cui il tennis ha forgiato il proprio sistema di valori morali, esisteva una specie di codice d’onore da rispettare. Se si subiva quello che si riteneva un torto arbitrale, lo si accettava senza battere ciglio, o al massimo dando una sorsata di brandy in più al cambio campo. Al limite stava all’avversario riparare al torto, perdendo il punto successivo di proposito. Il codice cavalleresco tra giocatori era superiore all’entità dell’arbitro. Gottfried von Cramm odiava questo atteggiamento e prima di un incontro con Don Budge lo catechizzò: «Hai dato solo spettacolo (…). Ti sei arrogato il ruolo di arbitro, cosa che non sei, e il diritto di sistemare le cose a modo tuo, e hai messo in imbarazzo quel povero giudice di linea di fronte a diciottomila persone». L’episodio è raccontato in Terribile Splendore, di Marshall Fischer. L’idea, quindi, era che quel tipo di compensazione andasse eliminata più che altro in nome di una più profonda modestia, di un annullamento ulteriore dello spettacolo, di una rinuncia di arbitrio in favore di un ordine istituzionale superiore. La linea di condotta di von Cramm è diventata lo standard e i tennisti negli anni hanno dovuto mantenere un atteggiamento perfettamente stoico rispetto alle decisioni arbitrali. L’errore, nel tennis, si accetta, punto e basta. Un ordine morale tanto rigido nasce probabilmente dall’esigenza di normare la violenza implicita di questo sport da pazzi. Tolta qualche eccezione è stato così fino ai giorni d’oggi, dove l’ordine morale, pur non essendosi ancora del tutto incrinato, offre qualche segno di cedimento. La nuova generazione di tennisti è molto vocale. I giocatori non hanno paura di sembrare antipatici o maleducati. Preferiscono giocare nel caos e non si fanno problemi a turbare l’ordine morale del tennis per sfruttarlo a proprio vantaggio. Sto parlando di Kyrgios, Rune, Rublev, Bublik, Paire, Shelton e in parte anche Djokovic, che in misura diversa, e con strategie diverse, non sentono il bisogno di essere scrupolosi sul campo, e usano la rottura della grammatica del tennis per turbare la stabilità mentale degli avversari.

 

Il più violento sfogo in campo contro un arbitro.

 

È un cambiamento generazionale che coinvolge anche il pubblico, che sembra pronto a partecipare allo spettacolo in modo più pervasivo e rumoroso. In realtà questo tipo di dialettica esiste nel tennis almeno dai tempi di Nastase e McEnroe. I personaggi meno convenzionali offrono una possibilità di identificazione anche a chi è annoiato dal profondo rispetto istituzionale dei giocatori di tennis. Tuttavia queste che citiamo, ora come in passato, sono appunto eccezioni. I giocatori e il pubblico del tennis rappresentano tutt’ora un eco-sistema rigoroso, con un’educazione che talvolta diventa moraleggiante. I due migliori giovani talenti, Sinner e Alcaraz, hanno una condotta esemplare, e dopo l’episodio di sabato contro Tsitsipas Jannik si è mostrato sereno, a tratti fatalista, nell’accettazione dell’errore. Anzi, a momenti è sembrato quasi contento di scoprire zone di miglioramento per sé stesso. Ha commentato la reazione a catena di quell’errore con una lucidità quasi disumana – come se si guardasse vivere dal di fuori. I suoi tifosi non l’hanno presa così bene, e in Italia si è alzato un livello di polemica arbitrale inconsueta per il tennis. In realtà se ne è parlato molto anche all’estero, perché l’errore è stato macroscopico e molto pesante. I più illuminati sono arrivati a parlare di complotto istituzionale nei confronti di Sinner (che d’altra parte in molti indicano come il cocchetto delle istituzioni. È dura la vita del redpillato). Il tema, però, è soprattutto italiano e si lega alla nuova popolarità che questo sport sta conoscendo in Italia, confermata dall’ultimo sondaggio Demos (che comunque è un sondaggio ambiguo, che andrebbe preso con le pinze). Il pubblico di vecchia data è rimasto sorpreso e scandalizzato da questa ondata di polemiche arbitrali, e ha risposto con un atteggiamento un po’ snob e catechizzante. D’altra parte non si era mai sentito il verbo “rubare” nel tennis. I mercanti sono entrati nel tempio?

 

I vecchi appassionati temono un imbarbarimento del discorso, e va in scena una piccola guerra culturale tra chi ha avuto tempo di familiarizzare con tutto il codice d’onore del tennis, e chi invece è disabituato alle regole non scritte di questo sport – in cui se commenti una questione arbitrale vieni considerato un incivile. Se però il tennis vuole diventare più mainstream nel nostro paese è impossibile non confrontarsi con, appunto, la realtà – e con dei modi estremi e polarizzanti con cui si commenta lo sport sui social nei nostri giorni. E così abbiamo visto atteggiamenti un po’ moralizzanti, da maestrini, che rischiano di creare ancora più conflitto ed esasperazione.

 

Eppure la realtà è molto diversa dai discorsi sui social. Il tennis è un organismo molto più sano di quanto è disposto a credere chi grida allo scandalo arbitrale, o di chi catechizza i nuovi appassionati. Sinner ha commentato con serenità la vicenda, aggiungendo un livello d’analisi non banale sulle conseguenze di quell’episodio destabilizzante sui suoi nervi e sulle sue gambe. Non per trovare alibi ma per spiegare come funziona una partita. Stefanos Tsitsipas – un noto “rosicone” – ha tranquillamente ammesso che quell’episodio arbitrale ha svantaggiato l’avversario. Ha anche aggiunto di essere d’accordo con l’introduzione delle chiamate elettroniche sulla terra. Insomma, l’episodio è stato commentato per capire qualcosa di più sulle intricate dinamiche del tennis, e per discutere su come dovrebbe progredire lo sport. Insomma: si possono commentare questioni arbitrali anche senza dare di matto, e allargando le prospettive.

 

In ogni caso dal 2025 la tecnologia stenderà il proprio controllo sulle partite, chissà se a quel punto a qualcuno mancheranno queste discussioni.

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).