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Emanuele Atturo
La giornata di grazia e perfezione di Grigor Dimitrov
29 mar 2024
29 mar 2024
La vittoria con Alcaraz è una partita di soli highlights.
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Emanuele Atturo
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Foto SMG / Imago
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Da quando è venuto fuori dalla remota Bulgaria, una nazione senza storia tennistica, Dimitrov si è guadagnato la fama di “baby” Federer. Questi appellativi si danno per gioco, provocazione, mancanza di fantasia. Si prendono un paio di caratteristiche e se ne fa un giocatore. In fondo basta avere il rovescio a una mano nell’era storica della sua estinzione per guadagnarsi l’appellativo di "Baby Federer". Quando passa il tempo, poi, e compaiono le rughe, si apre una stempiatura sui capelli, quel soprannome infantile comincia a suonare triste, squallido: un memento continuo dello scorrere del tempo e del fallimento.

Per Dimitrov, però, era diverso. Non somigliava a Roger vagamente; sembrava averne assorbito lo stile di gioco fin nel più minuto dettaglio: la meccanica dei colpi, le impugnature classiche, il rovescio a una mano, il back, quel modo rapido e felpato di muoversi. Era una cosa che sbigottiva persino i colleghi e le persone che lavorano col tennis. Nel circuito si sapeva che giocare contro Dimitrov era spesso la prova generale per affrontare Federer. Severin Luthi ex allenatore di Federer, agli Australian Open del 2017 ha dichiarato di aver preparato la strategia di quella partita anche guardando la semifinale tra Nadal e un giocatore così simile a Roger come Grigor. Quella semifinale, in cui il bulgaro ha perso in cinque set e quasi cinque ore, è stato forse il grande bivio della sua carriera («Quella semifinale con Nadal mi dà ancora gli incubi. Con Federer forse avrei vinto» ha ripetuto per mesi). Questa somiglianza ha ispirato anche qualche cattiveria: «Ha provato ad emulare Federer, ma non è nel suo DNA» lo ha sminuito Gilles Simon, «Dimitrov ha copiato lo stile di gioco di Federer. Ehi, trova il tuo stile» ha detto Kyrgios.

Lui non ha mai scansato questo paragone più di tanto, e forse una parte inconscia di lui voleva davvero somigliare fortissimamente a Roger. Del resto chi nel '600 imitava il pittore Guido Reni dopo aver studiato con lui se ne vantava in giro. Stavamo o no parlando di un genio? Gli outfit da gioco molto simili e uno stile fuori dal campo alla ricerca di quella virilità novecentesca - da Don Draper, da uomo silenzioso - che Federer ha sempre rispecchiato. In più, i due sono diventati amici, il genio e il suo imitatore, come in un romanzo di Paul Auster. «Quando giochiamo è bello per entrambi, perché i nostri due stili non potrebbero essere più simili». Le uscite insieme, i bar, le giornate a cantare i pezzi al pianoforte.

Maschi, bianchi, ricchi, belli, esteti del tennis e del rovescio a una mano. Vibrando.

Nel somigliare a Federer senza esserlo c’è anche la certezza di non poter raggiungere il suo livello. Esserne una copia manierata e per forza malinconica. Il manierista replica forme e modelli dei grandi, ma senza poterne raggiungere l’intensità espressiva, la potenza originaria, il genio.

Eppure, in qualche giornata di grazia e ispirazione, Dimitrov può davvero essere Federer; e tutta questa premessa è per dire che ieri, contro Alcaraz a Miami, lo è stato. Mi rendo conto che elogiare un tennista dicendo che sembrava un altro non è il massimo, ma il modo in cui Dimitrov ricorda Federer rende impossibile distaccarsi da questo paragone. La partita di ieri è stata perturbante, in certi momenti, in cui Grigor comandava col dritto, spostandosi da destra verso sinistra. Quel movimento di rapida chiusura con le spalle. La palla colpita presto, nei suoi primi istanti d’ascensione. Le risposte di rovescio anticipate. Mentre il corpo di Federer è da Trilussa a mangiare l’amatriciana, il suo spirito è entrato nel corpo di Grigor per aiutare il suo vecchio amico a vincere Miami.

Dimitrov non ha mai avuto la rapidità di piedi di Federer, né il suo talento cognitivo, né la sua fluidità biomeccanica. Giocare con lo stile di Federer, ma senza la sua rapidità neuronale e tecnica significa giocare qualche metro indietro. Soffrire l'anacronismo del proprio repertorio. In più, il suo servizio non è mai stato dominante. Il rovescio, come per Roger, è stato spesso il termometro della sua salute. Nei suoi anni peggiori si è incartato, fiacco, poco penetrante, vulnerabilissimo in difesa. Negli ultimi mesi, però, lo ha aggiustato. Si era visto già verso la fine del 2023, che Dimitrov stava vivendo una rinascita zombie. Una di quelle nuove giovinezze che colgono le promesse mancate, che smettendo di domandare qualcosa a sé stessi raggiungono una certa carica spirituale, e giocano con una leggerezza difficile da affrontare per gli avversari.

Ieri, nella seconda parte del secondo set, Carlos Alcaraz ha provato a ribellarsi alla sconfitta. Sotto di un break e sotto 4-2 aveva giocato un game di risposta brutale. Dritti tirati alla velocità supersonica di chi vorrebbe far esplodere la pallina. Il break ottenuto aveva qualcosa di coatto, intimidatorio. C’era da essere spaventati da questo giovane predatore così in salute. Dimitrov, però, non si è scomposto. Ha continuato col suo gioco: aggressivo in risposta, aggressivo col dritto, pronto a mescolare le carte dal lato del rovescio. Se Alcaraz voleva vincere doveva continuare a fare i buchi sul campo, oppure diventare più consistente; Dimitrov non si sarebbe lasciato spazzare via. Sotto 5-4 lo spagnolo serve per rimanere in partita e Grigor sa che quella è una delle ultime finestre per vincere il match.

Arriva una seconda moscia sul suo rovescio, Grigor anticipa la risposta, che diventa un vincente, la chiusura neoclassica con la racchetta verso l’alto. La risposta di rovescio in anticipo è stata la chiave del match: ne ha tirate due nel primo break della partita. Nel punto successivo blocca la risposta di rovescio, ma finisce troppo corta (proprio come Roger…); Alcaraz gira sul dritto e ne gioca uno violento a sventaglio. È un tantino corto, e Dimitrov sbraccia lungolinea. Alcaraz, solo perché è lui, ci arriva in allungo, di gomma, ma il punto è perso.

Sul 15-30 ancora un dritto carico sul suo rovescio, ma non era la serata per stuzzicarlo troppo. Con Alcaraz a rete tira un passante in back che cade corto vicino alla rete. Lo spagnolo gioca una volée stoppata, ma troppo alta, e Dimitrov si porta a due match point col recupero di dritto. La sua faccia è impassibile, stoica, come il suo modello di maschio impone. La freddezza è stata una delle chiavi di questa partita, e la differenza più grande, forse, con la tenuta mentale ballerina, svampita, di Carlitos. Subito dopo Alcaraz getta via il dritto e la partita è finita: l’esultanza di Grigor, stavolta, è feroce.

Gli highlights del match di Dimitrov sono stati tanti. Nelle giornate di ispirazione il suo tennis è magico, la grazia felpata, felina, con cui si sposta ai lati del campo, gioca in anticipo e comanda con soluzioni spesso estrose. L'impressione di un tennis aereo, ammorbidito di ogni spigolo. Forse quest'ultimo alito di vita di Dimitrov è per gli orfani di Roger che hanno bisogno di provare certe emozioni guardando una partita. Se volete il punto più federeriano di tutti ce n'è uno bello lungo a metà del primo set in cui cuoce Alcaraz a fuoco lento. È al centro del campo e lo fa muovere da un lato e l'altro, ma non ha fretta a cerca il vincente. Dopo un cambio di ritmo sul rovescio di Alcaraz che gli ha fatto avere una palla corta da attaccare, ha scelto uno slice profondo e arrotato sul rovescio avversario. Non era quello il momento per cercare di vincere il punto, ma poco dopo, quando gira attorno al dritto e ne tira uno anticipatissimo. Poi prende la rete e gioca uno schiaffo al volo un po' corto. Alcaraz ci arriva e prova un lob sul lato del rovescio, e Dimitrov tira una veronica corta a incrociare. Da brividi. Poco dopo tira una stop volley di dritto che in teoria non dovrebbe esistere.

Lo slice di Dimitrov, specie lungolinea, ha mandato al manicomio Alcaraz. Non sono tanti i tennisti che propongono palle del genere, e l’efficacia delle variazioni risiede anche nella disabitudine ad affrontarle per i tennisti. Certo che Alcaraz, quando c’è da soffrire tatticamente, non si tira mai indietro. La sua sconfitta somiglia ad altre sconfitte subite in passato. Quando la partita diventa ruvida, o cerebrale, e non si gioca solo sull’ispirazione e l’intensità, Alcaraz va in difficoltà. Non trova il ritmo, è confuso, non sa che pesci prendere per recuperare il controllo del contesto. A volte l’unica soluzione che trova è accelerare, tirare più forte: a volte va bene, altre va male.

Non troverà molti avversari come Dimitrov in futuro, perché nessuno gioca come Dimitrov, e lui stesso, a quasi 33 anni, quanto ha ancora da dire? Da fiero membro della “lost generation”, irrealizzato ormai un decennio fa, cosa ha ancora da chiedere a sé stesso? Dimitrov sembra un uomo risolto, e pronto a prendersi le soddisfazioni che la sua carriera non gli ha ancora riservato.

Ha vinto poco in carriera, ora deve affrontare la belva Zverev, con poche speranze di uscirne vivo, nell’ennesima archetipica sfida tra Ulisse e Polifemo. La spunterà ancora grazie alla sua intelligenza, alla sua astuzia, alla sua grande classe? Dopo la partita gli hanno fatto notare che non batte Zverev da dieci anni. A lui è venuto da ridere: «È solo un numero, è solo un numero».

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