
I crampi sono contrazioni involontarie e improvvise. Le cause possono essere diverse: disidratazione, squilibri elettrolitici, sforzo prolungato, caldo. Possono essere di intensità diversa e se ti prendono su un campo da tennis, e stai giocando un torneo professionistico, è difficile venirne fuori.
Quando i crampi invadono il corpo di Jannik Sinner, sul campo umido di Shanghai, è in campo da due ore e mezza ed è finita: non riesce più a muoversi. Si tocca i muscoli delle cosce, zoppica, poi va a servire e non riesce nemmeno a mettere la palla in campo, subisce il break. Fino a quel momento aveva giocato un’ottima partita che si era improvvisamente complicata, quando aveva perso il secondo set dopo aver avuto svariate occasioni per vincerlo.
È una scena atroce. Sinner che zoppica vistosamente, che deve avvicinarsi alla panchina usando la sua racchetta come bastone. Così teatrale che sembra stia scherzando. Dà una veloce stretta di mano a Griekspoor e poi si fa scortare fuori dal fisioterapista. Sembra un calciatore che esce dallo stadio tra gli applausi dopo un infortunio.
Le cause di questi crampi possono essere diverse. Forse la tensione accumulata alla fine del secondo set, forse la sua storica fragilità fisica, che gli fa somatizzare la tensione in questo corpo al contempo fragile ed eccezionale. Forse - si discute in queste ore - il ritorno di Ferrara nel suo staff ne ha ridotto le performance fisiche. Forse è stato il mancato giorno di riposo.
Tutti possono concordare, però, che le condizioni climatiche in cui si sta giocando il Master 1000 di Shanghai siano inumane, e che rappresentino la causa principale del malanno di Sinner. Il suo è stato il terzo ritiro della giornata, dopo quelli di David Goffin e di Thomas Machac. Si aggiungono ad altri ritirati: Ruud, Medjedovic, Wu e Atmane
Il tabellone ora appare strano e particolarmente sgangherato per un Masters 1000, con in campo ancora negli ottavi di finale il qualificato monegasco Valentin Vacherot, che finora ha avuto il grande pregio di restare in piedi.

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Mi sono chiesto se valesse la pena scrivere questo articolo: un altro articolo sulle condizioni climatiche estreme e sul troppo caldo. Un altro articolo su giocatori che svengono, o si reggono in piedi con le gambe di gelatina e un flebile alito di vita; sul pubblico madido di sudore, i giocatori che pregano il Dio che si sono scelti perché li risparmi. Ne abbiamo scritto già dopo Cincinnati, quando avevamo visto scene ospedaliere, ma bisogna riscriverne perché è un problema sempre più urgente su cui - mi pare - nessuno sta facendo nulla.
Le scene di questi giorni sono particolarmente apocalittiche. I giocatori sembrano giocare dentro un hammam, uno spazio iperumido che dilata i pori della pelle e stimola una sudorazione incontrollata. L’aria è opprimente, muoversi è penoso. I vestiti pesano diversi chili, il cemento è lentissimo (la superficie era già una delle più lente del circuito e quest’anno è stata ulteriormente rallentata) e i giocatori sembrano imprigionati dentro un regime di gravità diverso. Come se ci fosse un attrito maggiore nell’aria, che rallentasse i corpi in modo lieve ma netto. L’umidità in città in questi giorni si aggira attorno al 90%, forse si si giocasse per un altro mese i tennisti subirebbero un salto di specie e comincerebbero a sviluppare delle branchie sul costato.
Medjedovic, in vantaggio di un set, sotto il tetto mortifero dello stadio, ha chiamato il medical timeout: «Come fate a farci giocare in queste condizioni? Non c’era aria sotto questo detto. Zero aria».
Ho visto la partita tra Jaume Munar e Yoshihito Nishioka, due rematori da fondo senza colpi particolarmente veloci. Il loro tennis solido ma poco penetrante, dentro quest’aria madida, sembrava una forma di tortura. Scambi lunghissimi, estenuanti, avvolgevano pian piano i giocatori come dentro una camicia di forza da cui ci si poteva liberare solo affossando stancamente i colpi a rete. Il completo nero di Muna riluceva di sudore. A dire il vero non sembrava nemmeno una persona sudata, ma una che si era appena fatta un bagno con tutti i vestiti ancora addosso.
Holger Rune, in una citazione di Medvedev di qualche anno fa, ha chiesto a un ufficiale di campo se stanno aspettando che un giocatore muoia in campo.
Poche ore prima Taylor Fritz sembrava effettivamente lottare tra la vita e la morte nel match contro Giovanni Mpteschi Perricard. Confuso come un ramingo nel deserto, tra l’aria gravida e il gioco enigmatico del gigante francese. Ha perso.
Novak Djokovic ha vomitato in campo durante il match contro Hanfmann. Il tutto era cominciato con Térence Atmane che aveva vissuto un’esperienza di malessere extra-corporeo quasi trasformativa, al primo turno contro Carabelli. Dopo il primo punto giocato gli tremavano le mani; così si è detto “okay, cerca di calmarti, magari sei solo più stressato del solito”. «Dopo però ho cominciato a sentire tutto il corpo tremare e mi sentivo soffocare alla fine di ogni punto. Non respirava, mi faceva male la testa. Non potevo respirare. Ho chiamato il fisioterapista ma non mi uscivano le parole dalla bocca, tremavo, ero nel panico… Mi era impossibile ricordarmi dove fossi, che giorno della settimana fosse. Sono ancora confuso su quello che è successo oggi».
Atmane aveva già sofferto di attacchi di panico in passato, quindi la scena è stata particolarmente dura da guardare. Dopo però ha rassicurato sul fatto che si era trattato di un colpo di calore, lo stesso che ha portato Valentin Royer alla fine di una delle sue partite ad accasciarsi al suolo disidratato. Nelle partite l’intervento dei medici non è più un’eccezione: è necessario per tenere i giocatori ancora in campo e in grado di giocare. È una delle rappresentazione più grottesche del capitalismo che spreme via la salute dai corpi degli atleti per trasformarla in profitto. Noi da casa ci chiediamo se ne vale ancora la pena, guardare il campo da tennis trasformato in un medical drama; riempire di sofferenza anche uno degli ultimi spazi di evasione rimasti, cioè lo sport.
Gli atleti sono i primi a pagare le conseguenze, ma fanno poco affinché la situazione cambi. Al massimo danno forfait prima del torneo, come fatto da Alcaraz, che si è risparmiato questa esperienza penosa. Chi non può permetterselo, però, deve giocare. La ATP non è dotata di un protocollo specifico da imporre ai tornei e solo alcuni di questi ne hanno uno, come gli Australian Open, da sempre il torneo alla frontiera della crisi climatica.
A Wuhan si sta giocando un torneo WTA in condizioni climatiche altrettanto devastanti, e i ritiri già cominciano a fioccare. Sul campo centrale è stato chiuso il tetto e negli altri campi, che ne sono sprovvisti, si cerca di non giocare e la partita tra Mertens e Kudermentova è stata sospesa proprio per il caldo eccessivo.
Si è più rispettosi del corpo femminile mentre quello maschile deve essere pronto a tutto? È un segno di durezza, fa parte della competizione, saper giocare attraverso condizioni climatiche estreme?
Nel tennis si parla spesso di troppi tornei, di partite troppo lunghe, o di giorni di riposo necessari. Non si parla invece del fatto che l’intero calendario andrebbe ripensato per cercare condizioni climatiche più temperate e meno estreme. Quello che c’è attualmente sembra costruito attorno a un’idea novecentesca di clima. Eppure, come detto da Djokovic, i tennisti si lamentano ma al contempo fanno poco per opporsi a uno stato di cose che non gradiscono.
Forse stiamo andando incontro a un futuro in cui i tennisti si alleneranno dentro i bagni turchi, simulando condizioni di umidità impossibili, oppure nelle ore più calde dei luoghi più caldi del pianeta, per convivere col sole, oppure in mezzo a siepi di ventilatori che generano folate di vento.
Un futuro, quindi, in cui resistere al clima estremo sarà una qualità richiesta, necessaria per giocare a tennis ad alti livelli.