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Andare sul sicuro sta diventando un rischio per la Serie A
12 giu 2025
Il calcio italiano è sempre più conservatore nella scelta degli allenatori.
(articolo)
11 min
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IMAGO / Nicolo Campo
(copertina) IMAGO / Nicolo Campo
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Bisogna mettere in fila le molte cose successe negli ultimi giorni per capirne la stranezza, l’eccezionalità. L’ormai ex CT della Nazionale, Luciano Spalletti, è stato esonerato dopo aver perso 3-0 con la Norvegia e la notizia ci è stata data non dal presidente della FIGC, Gabriele Gravina, ma dallo stesso Luciano Spalletti. Pochi giorni dopo Luciano Spalletti è tornato a sedersi sulla panchina della Nazionale. E mentre l’Italia scendeva in campo per una decisiva partita di qualificazione ai prossimi Mondiali, la FIGC pensava a come trovare una soluzione per mettere sotto contratto il suo successore, Claudio Ranieri - quel Claudio Ranieri che aveva già annunciato il suo addio al calcio giocato da settimane, e che aveva appena iniziato una nuova esperienza da dirigente della Roma (tecnicamente: senior advisor della famiglia Friedkin).

Lo so che fare riflessioni sul calciomercato è sempre delicato, perché di notizie certe (o persino vere) ce ne sono pochissime, ma in questo caso non sto parlando di congetture: che questa fosse l’idea è stata confermata dallo stesso Ranieri, quando qualche ora dopo ha comunicato tramite l’agenzia ANSA di aver declinato l’offerta. La FIGC, quindi, era disposta ad accettare che il più rappresentativo, discusso e trasversale ruolo sportivo in Italia fosse ricoperto da un dirigente in carica di una squadra della Serie A. Un dirigente con un ruolo nebuloso, i cui confini sono ancora oggi poco chiari, certo, ma pur sempre un dirigente.

Pur di mettere sotto contratto Ranieri, la FIGC era quindi disposta ad accettare l’evidente conflitto d’interessi, le polemiche che ne sarebbero scaturite, le beghe politiche tra i club di Serie A (e tra i club e la federazione), il probabile imbarazzo al momento delle convocazioni - momento che già di suo è oggetto di discussione per giorni. La più ministeriale e avversa al rischio delle istituzioni sportive italiane, insomma, era disposta a mettere in gioco moltissimo pur di mettere sotto contratto Claudio Ranieri. E questo perché il tecnico romano è considerato l’epitome della sicurezza, un’assicurazione sulla vita istantanea, disponibile nel momento in cui per la Nazionale italiana si è ripresentato il baratro di una mancata qualificazione ai Mondiali.

Ne abbiamo discusso molto in questi ultimi mesi, anche qui su Ultimo Uomo quando gli abbiamo “consegnato” il nostro premio a miglior allenatore di quest’ultima Serie A. Ranieri ha un forte ascendente sulla stampa, è una delle poche figure del nostro calcio ad avere un consenso trasversale all’interno delle tifoserie e sembra avere quella capacità di mettere le cose a posto con pochi, semplici tocchi che in Nazionale sembra imprescindibile. Soprattutto, Claudio Ranieri ci è già passato, solo pochi mesi fa: la Roma a novembre guardava il baratro della zona retrocessione e lui l’ha portata a competere per un posto in Champions League. E questo è tra tutti il valore più importante: se l’ha fatto con la Roma, devono aver pensato alla FIGC, perché non dovrebbe riuscirci anche con la Nazionale?

È quel valore che di solito sintetizziamo con la parola esperienza: l’idea che la storia si ripeta uguale a se stessa e che quindi sappia perfettamente cosa fare solo chi ci è già passato. Certo, ognuno può prendere il pezzo di passato che più gli è utile, e se in molti hanno sottolineato come sia diverso allenare un club da una Nazionale per giustificare il fallimento dell'esperienza Spalletti, è strano che in pochi si siano ricordati che Ranieri invece una Nazionale l'aveva già allenata e che quell'esperienza era andata in maniera catastrofica. Era il 2014 e Ranieri era stato esonerato dalla federazione greca dopo appena quattro partite a seguito di una clamorosa sconfitta con le isole Far Oer. A quel punto in pochi si sarebbero aspettati che la sua carriera sarebbe durata altri 11 anni, che nel suo immediato futuro ci fosse una delle più grandi imprese sportive di tutti i tempi. Non serve riepilogare tutto, lo sappiamo come Ranieri si è costruito la sua fama di allenatore affidabile ed esperto. E se l’esperienza è un valore così importante, così prezioso, in Italia, chi può dirsi più esperto di un allenatore che fa questo mestiere da 39 anni e che si è già ritirato non una ma ben due volte? Così come la Roma pochi mesi fa, anche la FIGC si è ritrovata in una situazione in cui Claudio Ranieri veniva presentato non solo come una buona scelta ma come l’unica scelta possibile, l’unica possibilità di salvezza.

Questo senso di disperazione, di fine della storia sembra aleggiare non solo sulla FIGC ma su tutto il calcio italiano. All’inizio di quest’estate per una particolare congiuntura ci siamo ritrovati nella situazione piuttosto eccezionale per cui quasi tutte le squadre di Serie A sentivano il bisogno di dover cambiare il proprio allenatore, e anche quelle che alla fine non lo hanno fatto (come Napoli, Juventus e Como) hanno galleggiato in questa possibilità per settimane. Potenzialmente era la finestra per una grande fase di rinnovamento del nostro campionato, sempre così avverso al cambiamento, e invece è successo il contrario. La sensazione, o forse sarebbe meglio dire la convinzione, che ci fossero solo alcuni allenatori davvero sicuri ha fatto convergere tutti i club sugli stessi nomi trasformandola in una specie di enorme gioco della sedia.

Nei primi giorni di questo valzer si è molto parlato di un possibile ritorno di Antonio Conte alla Juventus. Non era solo una scelta, una possibilità. L’idea, apparentemente condivisa tra dirigenza e tifosi bianconeri, era proprio che ci fosse solo un allenatore al mondo in grado di riportare la Juventus nelle posizioni che gli competono e che quell’allenatore fosse lo stesso che lo aveva già fatto circa un decennio fa: Antonio Conte, ovviamente. Quando, alla fine, l’allenatore salentino ha deciso di rimanere a Napoli, la Juventus ha effettivamente abbandonato in toto l’idea di prendere un nuovo allenatore, come se a quel punto un allenatore valesse l’altro. Pochi giorni fa la dirigenza bianconera ha ufficializzato questa impressione, confermando che Igor Tudor sarà l’allenatore della prima squadra anche per la prossima stagione e rinnovandogli il contratto, e questo nonostante sui risultati raggiunti si possa discutere. Certo, giudicare un allenatore arrivato a stagione in corso è sempre ingeneroso e alla fine Tudor ha portato la Juventus in Champions League, ma il percorso è stato comunque segnato da alti e bassi, e i bianconeri si sono ridotti all’ultima giornata per raggiungere l’ultimo obiettivo stagionale rimasto.

Nel frattempo in Serie A si erano concretizzati altri due ritorni, e potrebbero diventare tre nei prossimi giorni. Al Milan è tornato Massimiliano Allegri, e qui su Ultimo Uomo Emanuele Mongiardo ha già sottolineato quante cose siano cambiate, per il Milan e per Allegri, nei 15 anni che sono intercorsi tra un’esperienza e l’altra. 15 anni fa Allegri era considerato un tecnico fresco e moderno, e il Milan lo aveva scelto proprio per la novità che rappresentava nel panorama del calcio italiano; oggi Allegri è percepito come un allenatore pratico per cui il fine dei risultati giustifica i mezzi, e anche per il Milan sembra non esserci alternativa a questa per ottenere dei risultati dopo gli ultimi “esperimenti” andati male. Alla Lazio invece è tornato Maurizio Sarri, con cui si era lasciato poco più di un anno fa senza troppi rimpianti, e qui il paradosso è che i tifosi biancocelesti non hanno nemmeno chissà che passato consolatorio da rimpiangere. Una prospettiva che nei prossimi giorni si potrebbe aprire anche per i tifosi della Fiorentina, che potrebbero vedere Stefano Pioli sedersi sulla propria panchina a sei anni dall’ultima volta (massimo piazzamento raggiunto in campionato: ottavo posto nella stagione 2017/18).

Anche chi non ha ripiegato il futuro sul passato in maniera così plateale ha comunque cercato di andarci il più vicino possibile. L’Atalanta, privata di Gian Piero Gasperini proprio dall’attività di lobbying di Claudio Ranieri, ha scelto da una rosa composta esclusivamente da discepoli del suo ex allenatore e alla fine incredibilmente ha optato per Ivan Juric, che veniva da una delle peggiori stagioni mai avute da un allenatore nella storia del calcio. Certo, non è detto che l’azzardo alla fine non paghi - il calcio è uno sport imprevedibile e dipende da molte variabili che vanno al di là dell’allenatore - ma anche in questo caso è interessante riflettere sul ragionamento che ha portato a questa scelta. Cos’è che ha portato l’Atalanta a preferire Juric a Palladino o a Thiago Motta (anch’essi discepoli del Gasp), o un qualsiasi altro allenatore, persino non gasperiniano, persino - dico un’eresia - non italiano?

L’impressione, da fuori, è che i dirigenti dei club di Serie A siano talmente terrorizzati dalla possibilità che una scelta possa rivelarsi sbagliata, e quindi da quella di poter essere messi in discussione, da offrire ai propri tifosi (e chissà forse anche ai propri presidenti) solo ed esclusivamente ciò che conoscono bene, ciò da cui non si sentono minacciati: un allenatore italiano, o comunque cresciuto in Italia, e con dell’esperienza in Serie A, possibilmente ma non necessariamente molta (e anche per chi può vantare questo pedigree, il tempo per costruire qualcosa ormai è di fatto inesistente, se persino un allenatore come Baroni, alla fine di una stagione non certo apocalittica come quella della Lazio, è costretto a fare spazio all’eterno ritorno).

Forse è così che si spiega la scelta di Juric, forse così si spiega quella di Chivu da parte dell’Inter, costretta dal tardivo addio di Simone Inzaghi e dal rifiuto di Fabregas a inventarsi qualcosa di “nuovo”. Chivu è sicuramente un allenatore alle prime armi ma rimane un viso conosciuto per i tifosi dell’Inter e, al contrario di un allenatore come Farioli (a quanto pare nelle idee della dirigenza nerazzurra prima di atterrare sul tecnico romeno), può persino vantare qualche panchina in Serie A.

Sto provando a seguire questo modo di ragionare anche se va totalmente contro qualsiasi risultato e valutazione empirica, che è esattamente quello che hanno fatto gran parte dei dirigenti delle squadre italiane quest’estate. Juric, come detto, era appena uscito da una stagione apocalittica e adesso si ritrova ad allenare una squadra di Champions League dopo aver sfiorato il record negativo di punti in Premier; Chivu, su 13 panchine di Serie A, ha raccolto appena tre vittorie, di cui un contro un Atalanta che non aveva più nulla da chiedere all’ultima giornata di campionato; Stefano Pioli aveva lasciato l’Italia con i tifosi del Milan ormai esasperati, e in Arabia Saudita non si può certo dire che abbia raggiunto risultati indimenticabili; Massimiliano Allegri era già tornato in una sua ex squadra con l’aura dell’ultima possibilità di salvezza prima del Milan e sappiamo com’è andata a finire. Davvero questi, nel 2025, sono gli allenatori sicuri? E forse bisognerebbe chiedersi: sicuri per chi?

Mentre scrivo si sta concretizzando l’arrivo sulla panchina della Nazionale di Gennaro Gattuso, che mi sembra la sublimazione di questo modo di ragionare. La FIGC, superato anche il limite dell'ultima scelta disponibile, a quanto pare ha scelto da una rosa di nomi composta esclusivamente da ex “eroi” del Mondiale del 2006, che oltre a “Ringhio” conteneva anche Daniele De Rossi e forse Fabio Cannavaro. Anche in questo caso, quindi, facce conosciute che ricordano i fasti del passato più che idee, o almeno così sembra. Poco importa che Gattuso abbia da poco rescisso il suo contratto con l’Hajduk Spalato; che Cannavaro sia stato esonerato dalla Dinamo Zagabria; che De Rossi sia ancora agli inizi della propria carriera da allenatore. Come ha scritto Daniele Manusia pochi giorni fa: “Usiamo i calciatori del passato come amuleti magici, come santini di loro stessi, santini da esibire e far parlare, delle acque-sante in carne e ossa da agitare a bordo campo”.

Certo le cose possono sempre andare diversamente, ed è legittimo guardare al di là dei risultati, ma proprio per questo viene da chiedersi se un po’ di coraggio non aiuterebbe, in un Paese dove le risorse sono sempre più limitate e in cui comprare giocatori di primo livello è sempre più difficile. Alla fine, in assenza dei mezzi a disposizione dei top club europei, è proprio puntando su allenatori con idee innovative che si sono costruiti i più duraturi successi sportivi della Serie A negli ultimi anni. Insomma, chi avrebbe definito Gian Piero Gasperini un allenatore sicuro nel 2016? Ci è voluto l'incredibile successo in Europa League per convincere una grande squadra a tornare a puntare su di lui, e da quell'anno a oggi l'Atalanta si è qualificata alla fase finale della Champions League più volte di quanto lo abbia fatto la Roma.

È significativo, in questo senso, che nel momento in cui si dovrebbero cercare nuove idee per far ripartire la Nazionale, per il posto di commissario tecnico si sia candidato persino Roberto Mancini, che in questa stagione era stato già richiamato come un santino da una Samp sull'orlo della retrocessione. «Mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe vincere un Mondiale», ha detto Mancini in un'intervista alla Gazzetta dello Sport su un suo possibile ritorno a Coverciano «Si torna sempre dove si è stati felici».

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