
Quello di Claudio Ranieri è il primo degli UU Awards per il miglior allenatore che viene assegnato a un tecnico entrato in carica a campionato in corso. È una statistica che vale quello che vale, ma che a suo modo incornicia la situazione straordinaria che tutti conoscete: un uomo che torna ad allenare per portare una squadra dai limiti della zona retrocessione a un passo dalla qualificazione in Champions League. Lo si poteva capire già dal tenore degli altri candidati: Claudio Ranieri ha vinto nettamente ai voti una contesa in cui le situazioni straordinarie non mancavano di certo. Antonio Conte che prende il Napoli al decimo posto e gli fa vincere lo scudetto nonostante la cessione nel mercato di gennaio del suo giocatore più talentuoso e rappresentativo. Vincenzo Italiano che supera le aspettative generate da Thiago Motta, e riporta la Coppa Italia a Bologna dopo 51 anni. Cesc Fabregas che, al primo anno di Serie A, al primo anno ufficiale di patentino, consegue un decimo posto con una squadra neopromossa, impensabile anche se quella squadra neopromossa ha la capacità di spesa del Como.
Ovviamente ci sono dei fattori esterni al campo che hanno contribuito a questa vittoria sorprendente. Claudio Ranieri è uno dei pochi allenatori ad essere apprezzati in maniera trasversale in Serie A, e in molti avranno pensato a questo voto anche come a una specie di premio alla carriera, visto che quella appena conclusa dovrebbe essere l’ultima stagione di un percorso incredibile cominciato ben 39 anni fa. Ranieri è riuscito a bucare l'universo campanilistico del nostro campionato convincendoci che a volte basta davvero solo una pacca sulle spalle e una rassicurazione sul fatto che così male non siamo. E gli stessi giocatori della Roma, insistendo sulla serenità portata dall’allenatore in un momento difficile, sembravano voler corroborare questa visione.
Per quanto ci sia sicuramente un fondo di verità in tutto questo (chi non vorrebbe una pacca sulle spalle da Claudio Ranieri dopo una brutta giornata?) lo stesso allenatore romano ha ammesso che dal punto di vista mentale ha in realtà «giocato facile»: «Ho preso la squadra nel momento peggiore, coi ragazzi senza autostima, ricompattandoli e dandogli fiducia». Anche questo non è facile, ovviamente, ma non vorrei che passi sotto traccia ciò che Ranieri ha fatto in campo, dove è riuscito a trovare una coerenza impensabile tra i suoi due predecessori stagionali, quasi opposti per principi di gioco.
Ranieri ha provato la difesa a quattro, è tornato a quella a tre, ha lavorato con i due trequartisti dietro la punta, è atterrato su un più classico 3-5-2, per chiudere la stagione (e la carriera) con un 4-3-3 a sorpresa che ha mandato in crisi le catene laterali del Torino. Il suo lavoro non si può ridurre all'abbassamento del baricentro della squadra per ritrovare compattezza difensiva, che tra l'altro è stato aiutato dall'incredibile talento di Mile Svilar. La prudenza di Ranieri a volte è sembrata un limite, soprattutto negli scontri diretti, ma fare questi ragionamenti a posteriori è sempre troppo semplice ed è anche vero che l’incredibile striscia di imbattibilità in campionato (durata dal 22 dicembre al 12 maggio) ha costruito delle sicurezze che hanno pagato al di là delle singole partite. «Quando si capisce che non puoi vincere, l'importante è non perdere», ha detto Ranieri dopo l’1-1 con la Juventus, e questa frase ha un senso che va oltre il punto guadagnato in classifica.
Soprattutto, Ranieri ha sciolto molti dei nodi di una rosa che sembrava un guazzabuglio inestricabile. È riuscito a trovare un senso a Mats Hummels, almeno finché è durato; ha lucidato il talento di Angeliño riportandolo sull’esterno; ha deciso di tenere Shomurodov quando nessuno capiva il motivo (e invece l’attaccante uzbeko è stato a suo modo decisivo, portando con i suoi gol almeno quattro punti solo in campionato); ha trovato il modo di far fiorire Matias Soulé con una collocazione originale, esattamente quando ce n’era bisogno, cioè quando Dybala è uscito di scena.
I suoi meriti, insomma, vanno ben oltre i sorrisi rassicuranti e le battute in conferenza stampa. E d’altra parte sarebbe strano il contrario per un allenatore che, da quando si è seduto in panchina, è stato capace di fare gli stessi punti di Inter e Napoli (56) con una squadra che sembrava morta e sepolta.