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Foto di Alfredo Falcone / LaPresse
Calcio Federico Aquè 6 febbraio 2019 10'

Perché la Roma ha tutti questi problemi?

Un’analisi delle recenti difficoltà della squadra di Di Francesco.

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Negli ultimi dieci giorni la Roma è stata in preda a una delle crisi stagionali che periodicamente sembrano tornare a Trigoria, dopo quella già affrontata a settembre. La squadra di Di Francesco prima ha segnato tre gol in 40 minuti all’Atalanta, una delle squadre più in forma del momento, ma poi si è fatta rimontare sul 3-3; è stata eliminata dalla Coppa Italia perdendo 7-1 contro la Fiorentina e infine ha pareggiato per 1-1 lo scontro diretto con il Milan, un miglioramento sensibile sia a livello di prestazione che di risultato (d’altra parte, forse fare peggio era impossibile…) ma non sufficiente ad allontanare le nubi che si erano addensate attorno all’allenatore abruzzese.

 

Anche nella scorsa stagione il percorso della Roma non era stato certo regolare, ma oltre ad aver centrato il terzo posto e ad aver raggiunto un traguardo storico, la semifinale di Champions League, la squadra poteva vantare un’identità di gioco chiara: intensa, verticale e aggressiva, con l’ambizione di pressare alto per recuperare presto la palla. Sembrava la strada giusta, quest’anno però l’alternanza di prestazioni e risultati non solo si è ulteriormente accentuata rispetto a un anno fa, ma la squadra pare anche aver perso l’identità che l’aveva contraddistinta la scorsa stagione.

 

I problemi difensivi

Il segnale più evidente è il netto peggioramento della fase difensiva. Lo scorso anno i giallorossi erano riusciti a trovare un buon equilibrio tra la pressione portata da attaccanti e centrocampisti e i movimenti della linea difensiva, inizialmente alta ad accorciare la squadra ma sempre pronta a scappare verso la porta se il pressing veniva aggirato. Quella della Roma era la seconda miglior difesa del campionato con 28 gol subiti, dietro soltanto a quella della Juventus.

 

Quest’anno la qualità del pressing è scesa e i gol subiti in campionato sono già 30. In tutta la stagione, poi, la porta è finora rimasta imbattuta soltanto sette volte. I giallorossi sono undicesimi sia nella classifica degli Expected Goals subiti che in quella dei tiri concessi agli avversari (14,5 a partita in media). Insomma i problemi difensivi non si limitano all’ultimo periodo (13 gol subiti nelle prime cinque partite del 2019) ma accompagnano la Roma da inizio stagione.

 

Già nella gara d’andata l’Atalanta aveva fatto soffrire molto la Roma, segnando tre gol nel primo tempo.

 

Nel frattempo però la difesa non è cambiata e i più utilizzati continuano a essere Florenzi, Manolas, Fazio e Kolarov. Se è vero che il reparto non è stato rinforzato, un’urgenza individuata anche da Monchi, che fino alla chiusura del mercato invernale ha provato a acquistare Domagoj Vida dal Besiktas, non si può nemmeno dire che si sia indebolito. L’unica cessione di rilievo ha riguardato il portiere, ma è difficile giustificare un calo così evidente rispetto a un anno fa soltanto con il cambio tra Alisson e Olsen, anche se il rendimento del brasiliano nello scorso campionato era stato effettivamente eccezionale e aveva dato un grande contributo alla performance difensiva della squadra.

 

Una parte della responsabilità potrebbe riguardare il calo fisico di alcuni giocatori, soprattutto i più “anziani” come Fazio e Kolarov, ma è l’intero sistema difensivo a essere in difficoltà. Sembra strano infatti che l’intesa tra i difensori sia improvvisamente crollata dopo un anno passato ad assimilare i principi di gioco di Di Francesco. Con l’esperienza di una stagione i movimenti della linea difensiva dovrebbero in teoria essere ancora più accurati.

 

I problemi offensivi

I problemi, insomma, non possono essere circoscritti alla difesa ma riguardano in modo più profondo l’intero equilibrio tattico, anche se, limitandosi ai dati, la Roma non sembra avere invece grosse difficoltà offensive: ha il quarto miglior attacco del campionato (41 gol) ed è terza nella classifica degli xG creati.

 

I numeri dicono che la produzione offensiva giallorossa è tra le migliori del campionato, ma non rivelano come la Roma crea le sue occasioni, non riescono cioè a descrivere il modo in cui attacca. I principi offensivi di Di Francesco sono noti: la manovra è verticale e la risalita del campo avviene con pochi passaggi e principalmente sulle fasce. L’anno scorso a un certo punto i meccanismi si erano inceppati, la Roma era calata vistosamente tra dicembre e gennaio, ma aveva finito la stagione in crescendo, blindando il terzo posto e conquistando la semifinale di Champions con l’epica rimonta sul Barcellona.

 

Il problema sembrava più che altro l’incapacità di convertire in gol le occasioni create: delle prime sei in classifica dello scorso campionato la Roma era l’unica con un saldo negativo tra gol segnati e xG prodotti, era cioè l’unica che segnava meno di quanto avrebbe meritato secondo le statistiche. Il bilancio è negativo anche nel campionato in corso: da 40 xG creati i giallorossi hanno ricavato 38 gol (escludendo rigori e autoreti). La punta dell’iceberg di questo problema è Dzeko, che continua a segnare meno di quanto ci si aspetterebbe: addirittura solo 4 gol da 9,5 xG generati, ma gli esterni d’attacco e i centrocampisti non riescono a compensare lo scarso contributo del centravanti bosniaco.

 

Quest’anno i meccanismi offensivi sono andati presto in crisi, tanto da spingere Di Francesco a trovare un’alternativa al 4-3-3, che com’è noto è il suo sistema preferito. Nella gara d’andata contro il Milan l’esperimento della difesa a tre e di un tridente offensivo che prevedeva Pastore e due attaccanti, Schick e Dzeko, era andato male ed era stato abbandonato all’intervallo, e da lì in poi Di Francesco ha puntato stabilmente sul 4-2-3-1, ricercando il punto d’equilibrio tra le sue idee e le qualità della rosa, soprattutto tra centrocampo e trequarti.

 

In estate la Roma aveva infatti perso le sue mezzali titolari, Nainggolan e Strootman, e le aveva sostituite con Nzonzi, Cristante e Pastore. In particolare l’inserimento di quest’ultimo è apparso subito problematico: Pastore ha caratteristiche difficili da conciliare con il sistema di Di Francesco, ama toccare spesso la palla e si muove sempre incontro per condizionare la manovra. Nel 4-3-3 ha avuto difficoltà sia come mezzala che come esterno d’attacco che si accentra, quindi con il passaggio al 4-2-3-1 avrebbe dovuto trovare posto nel suo ruolo preferito da trequartista.

 

Dall’infortunio nel derby di andata Pastore è però finito ai margini, perché nel frattempo da trequartisti sono sbocciati due giocatori più adatti a interpretare il sistema di Di Francesco: prima Pellegrini e poi Zaniolo.

 

Il problema, però, è che anche col 4-2-3-1 la manovra della Roma resta verticale e risale il campo preferibilmente dalle fasce: il trequartista non accentra il gioco ma deve più spesso muoversi in profondità per chiudere i triangoli sulle fasce o per compensare i movimenti in appoggio di Dzeko, che continua a essere un riferimento fondamentale tra le linee. Non stupisce quindi che un accentratore come Pastore sia diventato una riserva e che da trequartisti si siano esaltati due giocatori più verticali come Pellegrini e Zaniolo.

 

Taglio-Zaniolo

Kluivert si abbassa, Zaniolo taglia verso l’esterno per andare a ricevere il lancio di Karsdorp.

 

Il passaggio al 4-2-3-1, in teoria, avrebbe dovuto facilitare l’inserimento non solo di Pastore, ma anche di Nzonzi e Cristante. Quest’ultimo, da mezzala con Pellegrini nel 4-3-3 di inizio campionato, faticava a inserirsi in area, una delle cose che gli riescono meglio, e finiva per allungare la squadra in fase difensiva, rendendola vulnerabile negli spazi ai fianchi del mediano. Invertendo il triangolo a centrocampo per giocare con due interni come De Rossi e Nzonzi, Di Francesco puntava probabilmente a proteggere meglio il centro, oltre che a mettere a suo agio il francese, che si trova meglio in un centrocampo a due.

 

L’importanza di De Rossi

L’infortunio di De Rossi, rientrato da titolare contro il Milan a più di tre mesi dalla sua ultima presenza in campionato (a Napoli a fine ottobre), ha quindi reso inevitabile la soluzione con due interni, Nzonzi e Cristante, con quest’ultimo schierato in un ruolo in cui non sembra poter rendere al massimo. Per Di Francesco, però, l’assenza di De Rossi era così grave da rendere impraticabile il 4-3-3: «In quel sistema non possiamo fare a meno di lui, le sue caratteristiche sono fondamentali», ha spiegato dopo il pareggio per 1-1 con il Milan. Non è quindi una coincidenza che con il ritorno in squadra di De Rossi la Roma sia tornata al 4-3-3, anche se contro i rossoneri mancavano per squalifica sia Nzonzi che Cristante.

 

L’assenza di De Rossi ha insomma rivelato una carenza nella rosa: quella di un centrocampista in grado di sostituire il capitano e sostenere il 4-3-3 verticale di Di Francesco giocando da mediano, pulito nella distribuzione della palla e abile a proteggere la difesa, specie ora che la squadra pressa meno rispetto alla scorsa stagione.

 

Il rimedio trovato dal tecnico giallorosso è stato il più logico, il centrocampo a due con Nzonzi e Cristante, entrambi bravi a verticalizzare e a difendere in avanti, una caratteristica che li porta spesso fuori posizione e che spiega forse il motivo per cui Di Francesco li ritiene poco adatti a giocare da soli davanti alla difesa.

 

Un gioco difficile

In questo modo la Roma non ha rinunciato alla tensione verticale con la palla, ma ha perso equilibrio: la combinazione tra la manovra verticale, ma con meccanismi meno fluidi di risalita del campo sulle catene laterali, e la maggiore prudenza senza palla ha finito per allungare la squadra. La Fiorentina in Coppa Italia ha esposto nel modo più chiaro possibile questa ambiguità, prima costringendo la Roma a sbilanciarsi e a tentare giocate complesse per avanzare, e poi colpendola di continuo in ripartenza.

 

Ripartenza-Fiore

Non è un recupero che porta a un gol, ma si nota bene quanto è sbilanciata la Roma, che ha entrambi i centrocampisti, Nzonzi e Cristante, alti e fuori posizione. Quattro giocatori della Fiorentina sono invece nella zona della palla, pronti a scatenarsi in campo aperto.

 

Il rischio di perdere le distanze e regalare spazi enormi agli avversari è sempre dietro l’angolo quando la risalita del campo avviene con la velocità che richiede il gioco di Di Francesco. Portare avanti la palla in assenza di fasi di consolidamento che preparino la verticalizzazione impone grande tecnica e creatività a chi comincia l’azione, perché spesso è necessario trovare linee di passaggio elaborate per raggiungere i compagni più avanzati. Il più delle volte tocca ai terzini, ma anche i difensori centrali sono piuttosto sollecitati, come dimostra ad esempio il passaggio con cui Fazio ha innescato l’azione del gol di Zaniolo contro il Milan, aggirando lo schieramento rossonero con un’apertura su Karsdorp.

 

Passaggio-Fazio-per-Karsdorp

Dal centrocampo all’area del Milan con un solo passaggio.

 

In questo senso, l’intraprendenza con la palla di Karsdorp, titolare nelle ultime tre partite di campionato dopo un’assenza di circa un anno e mezzo a causa di diversi problemi fisici, ha aggiunto qualità nelle uscite dal basso, e ovviamente a sinistra Kolarov resta un’opzione più che affidabile quando si tratta di trovare soluzioni complesse per tagliare lo schieramento avversario.

 

Il serbo è però una fonte di gioco meno importante rispetto allo scorso anno, anche perché col 4-2-3-1 la costruzione tende a sbilanciarsi a destra e Kolarov riceve più spesso isolato sui cambi di gioco: davanti a sé ha cioè meno soluzioni, perché nel frattempo l’esterno si è accentrato e manca una mezzala che chiuda il triangolo. Rispetto allo scorso campionato tenta meno passaggi (52,5 per 90 minuti, contro i 58,4 della scorsa stagione) e crea meno occasioni (1,7 per 90 minuti, 2,5 lo scorso anno).

 

Kolarov-isolato

Kolarov riceve in isolamento, come al solito è Dzeko a muoversi incontro ma il serbo va in verticale su Kluivert.

 

Una volta iniziata l’azione, ai giocatori più avanzati sono richiesti continui movimenti senza palla che creino spazi per andare in profondità, rapidità di pensiero e una notevole precisione tecnica per non interrompere la tensione verticale. La fluidità dei meccanismi per portare la palla avanti ha corso su equilibri ancora più sottili con la rinuncia ai triangoli tipici del 4-3-3, esaltando i giocatori più bravi a improvvisare e abbastanza ambiziosi da tentare giocate complesse, come Ünder, Pellegrini e Zaniolo, che è diventato un riferimento prezioso su cui appoggiarsi per guadagnare metri e ha visto la sua importanza crescere esponenzialmente in poco tempo.

 

🌪️⚡️🌪️ pic.twitter.com/it32EUeZzu

— AS Roma (@OfficialASRoma) 5 febbraio 2019

 

Ovviamente una manovra di questo tipo non è per tutti: le difficoltà di Pastore sono evidenti, ma anche Cristante, pur arrivando da un sistema verticale e aggressivo come quello di Gasperini, non si sta esprimendo al meglio e nelle ultime partite i suoi errori hanno innescato diverse ripartenze avversarie, anche se va detto che la sua prima parte di stagione è stata sostanzialmente positiva.

 

Il rischio di un gioco che punta a risalire il campo velocemente e con pochi passaggi è anche quello di non riuscire ad accorciare tempestivamente a palla persa, con la squadra che resta lunga e si apre alle ripartenze avversarie. Ad accentuare questa tendenza ha contribuito il cambio di atteggiamento difensivo: se nella passata stagione il pressing era il collante che permetteva ai reparti di restare corti, quest’anno non solo la qualità del pressing è calata, ma nelle partite contro avversarie di livello la Roma ha spesso rinunciato a pressare in alto, senza però avere un’alternativa credibile. In assenza di pressione, con i reparti lunghi e la linea di difesa alta, le squadre affrontate di recente hanno trovato ampi spazi in cui manovrare.

 

Gomez-tra-le-linee

La squadra aspetta, ma non ha le idee molto chiare su come difendersi. Cristante si alza da solo e fuori tempo, alle sue spalle Gómez può ricevere comodamente, girarsi e lanciare Ilicic, che taglia in profondità partendo da destra.

 

Oltre a far dissolvere la solidità difensiva che poteva vantare l’anno scorso, la rinuncia al pressing alto ha fatto perdere alla Roma una preziosa fonte di gioco, in grado di nascondere i limiti di una manovra che rischia sempre di diventare prevedibile, soprattutto quando non riesce a prendere di sorpresa gli avversari. La produzione offensiva resta elevata grazie al talento diffuso e al notevole tasso di fisicità aggiunto quest’anno: in Serie A nessuna squadra ha segnato più dei giallorossi su calcio piazzato (11 gol).

 

Alcuni vecchi problemi, come l’incapacità di finalizzare quanto creato o la tendenza a sbilanciarsi per portare la palla avanti, non sono stati risolti e le soluzioni sembrano poter arrivare solo intervenendo sui principi di gioco, visto che ormai le possibilità di potenziare la rosa sono svanite.

 

L’evoluzione della Roma in questo momento sembra rallentata da diverse ambiguità, come i problemi avuti da Di Francesco a conciliare le qualità degli acquisti estivi con le sue idee o l’incapacità di pressare alto con efficacia, perdendo così l’aspetto più caratterizzante e ambizioso del gioco del tecnico abruzzese. Il rientro di De Rossi e magari il ritorno al 4-3-3 possono restituire alcune certezze nell’immediato, ma i giallorossi hanno bisogno di interventi più profondi per tornare a essere la squadra brillante e dall’identità di gioco chiara vista la scorsa stagione.

 

 

Tags : eusebio di francescoromaserie aserie a 2018-19

Federico Aquè ha collaborato con Sprint&Sport, Datasport e Sportmediaset.

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