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Michele Pettene

Paura del buio

Autopsia dell’ultimo biennio dell’Olimpia Milano (a ritmo di rock).

 

«Non sono mai stato in un posto dove gli sbalzi emotivi fossero così forti. Per questo la sirena di Gara-7 la ricorderò per sempre».
Keith Langford

 

Milano è un posto unico in Italia. E pure molto strano. Per lo sport (in generale) e per la pallacanestro (in particolare), in questa città la pressione e la pretesa della vittoria spesso sfuggono a ragionamenti razionali o meramente sportivi. Che sia per il palato fine e sapientino del tifoso milanese o per l’aridità di risultati degli ultimi due lustri, una sorta di fantasma pare aggirarsi da tempo sulle teste di chi veste la divisa dell’Olimpia Milano, dentro e fuori il parquet del Forum. A maggior ragione nell’ultimo decennio, ovvero da quando San Giorgio Armani ha deciso di devolvere in beneficenza e per passione parte della privata pecunia alla società biancorossa, con l’obiettivo nobile et dichiarato di riportarla ai fasti (irripetibili) degli anni Ottanta.

 

Dal 2005 al 2015 Milano ha sempre avuto uno dei primi tre budget d’Italia (dal 2011 con il progressivo crollo senese, il primo a mani basse), ma i risultati non hanno soddisfatto nessuno, giustamente. Cinque finali Scudetto, un solo trofeo, stop. Per tutto il resto—Euroleghe, Coppe Italia, Supercoppe—si deve tornare indietro addirittura al 1996 e al 1987.

 

Comprensibile dunque che questo maledetto fantasma non accenni a scomparire, figlio legittimo sia della paura di vincere che di quella di fallire, di ricadere nell’anonimato che già aveva colpito l’Olimpia dei primi Duemila, terminata l’era-Stefanel. Una paura dell’oscurità, o “Fear of the Dark” come direbbero gli Iron Maiden, che a metà del biennio targato-Banchi sembrava invece in procinto di cedere finalmente alla Luce…

 

2013-2014: Stairway to Heaven, l’Anno-1

 

Campionato: prima in stagione regolare, campione d’Italia vs. Siena.

Eurolega: quarti di finale persi 3-1 vs. Maccabi Tel Aviv.

Altro: sconfitta nei quarti di Coppa Italia vs. Sassari.

 

Estate 2013

Prendendo spunto dall’ambiente imprenditoriale, l’AJ e il suo presidente Proli attingono dall’eccellenza del proprio settore—la Siena agonizzante campione d’Italia in carica da sette anni—per portarne i cardini a Milano e assorbirne la mentalità vincente. Arrivano dunque un coach emergente come Luca Banchi, da molti indicato come il segreto di Pulcinella dello staff senese e uomo dai principi chiari (difesa, carattere, movimento di palla), oltre a uno dei migliori difensori d’Europa in David Moss e il sottovalutato lungo atipico Kristjan Kangur.

 

La guardia mancina USA Keith Langford, il lungo Nicolò Melli e l’astro nascente Alessandro Gentile sono gli unici che vengono salvati dal “repulisti” della gestione-Scariolo, che si vuol dimenticare al più presto. Le scelte per completare la rosa sono poi le seguenti:

 

– Samardo Samuels, centrone ex-NBA dal gran talento offensivo. Fondamentale nel gioco di Banchi per avere una vera presenza in post basso che possa facilitare le spaziature e attirare raddoppi (cose che non si vedevano da tempo immemore);

 

– per la delicata posizione di playmaker si corrono due rischi, troppi: affidare al forte, ma discontinuo giramondo texano Curtis Jerrells il ruolo di titolare, e coprirgli le spalle con un giocatore simile e da svezzare come Marquez Haynes. Due creatori dal palleggio sicuramente capaci di segnare, ma con evidenti problemi di regia pura;

 

– il supporting cast viene ultimato con CJ Wallace in uscita dal Barcellona, utile come veterano e lungo capace di aprire il campo; Bruno Cerella, guascone italo-argentino diventato presto idolo del Forum, con il fuoco nei polpacci, ma non adatto a certi livelli in attacco; Gani Lawal da novembre, necessario per cambiare Samuels ed elevare il livello atletico in area, soprattutto in Eurolega.

 

Prima parte della stagione – Pre-Hackett

Milano, come tutte le squadre piene di nuovi giocatori, ingrana lentamente, sollevando i primi malumori dopo la precoce seconda sconfitta consecutiva a Venezia (18 novembre). Anche in Eurolega le cose sembrano ricalcare il poco entusiasmante andamento degli ultimi anni: se la gioca in casa con quelle alla portata nel proprio girone (Zalgiris, Bamberg, Strasburgo), perde male con le “big” (Real Madrid) o che si atteggiano a tali (Efes Pilsen) e poco prima di Natale accede alle Top-16 come seconda, 5 vinte e 5 perse a pari merito con Kaunas.

 

Il derby perso di 15 a Cantù il 23 dicembre è il primo momento “forte” dell’annata: coach Banchi tiene duro, crede nei suoi ragazzi, ma qualcosa in regia deve cambiare, mentre le rotazioni continuano a cambiare per trovare degli aggiustamenti. Nel frattempo, nella più classica delle sliding doors, Siena perde allo scadere nell’ultima partita di Eurolega e viene eliminata. Daniel Hackett, fino a quel momento eroe biancoverde, si “libera” e diventa l’obiettivo numero uno del suo vecchio allenatore.

 

Il primo “What if?” della stagione: Granger e Malaga eliminano Siena con questo buzzer beater.

 

Seconda parte della stagione – Con Hackett

Con l’arrivo di Hackett al posto di Haynes (a Siena insieme al buyout per DH) semplicemente tutte le pedine sembrano andare al posto giusto: Jerrells, sgravato dai compiti di regia di una squadra ambiziosa, può scatenare il suo talento selvaggio; Hackett, accolto a braccia aperte dagli ex-compagni senesi, si amalgama rapidamente riuscendo a trovare un delicato compromesso tecnico e di leadership con Langford e Gentile, le due stelle del gruppo.

 

Quello che inizia a Natale fino a primavera 2014 è il periodo che mostra al mondo la più bella, forte e vincente Olimpia Milano dai tempi dello Scudetto del 1996. La comunanza d’intenti è evidente, e mai abbastanza lodati saranno i meriti di Banchi e dello staff in questo senso: tutti difendono fortissimo (primi in Top-16 per recuperi), le rotazioni sono puntuali, la circolazione della palla non è forzata da dettami tattici, i mismatch creati da Samuels, Gentile, Hackett e Moss spalle a canestro aprono spazi importanti a Langford, che, dal canto suo, gioca il miglior basket della sua carriera, arrivando primo tra i marcatori d’Eurolega. E i risultati, benedetti e invocati, arrivano a grappoli.

 

La batosta rifilata all’Olympiacos campione in carica, con uno Spanoulis annullato, dice a tutti che i milanesi son pronti per l’ultimo step. Il trentello rifilato a un Barcellona già primo matematico e le sette vittorie in fila affermano che Milano ha il talento e le idee per giocarsela con le top d’Europa. Ingranato il pilota automatico, il campionato italiano diventa una mezza formalità, con una striscia record da 20 vittorie, interrotta solamente a Pistoia in gara-3 dei quarti di playoff.

 

Milano non arrivava prima in Serie A dal 1990/91 e, nonostate l’euforia vada vicina a fare un brutto scherzo, con i quarti vinti solo alla “bella” e Sassari faticosamente eliminata per 4-2 in semifinale, l’Olimpia sembra essere tornata ai fasti di un tempo, con i quarti d’Eurolega contro il Maccabi Tel Aviv e la finale Scudetto da affrontare addirittura da favorita, contro Siena.

 

L’apice delle Top-16 2014 milanesi: il +30 al Forum contro i campioni in carica.

 

I Momenti di Svolta dell’Anno-1

Ai milanesi sembra un sogno: con le Final Four europee ospitate proprio al Forum di Assago, i quarti contro gli israeliani del Maccabi Tel Aviv e l’Europa dominata nei mesi precedenti, si può fare la Storia. Gara-1 in casa contro la squadra di coach David Blatt è pazzesca per intensità e gestita quasi perfettamente da Milano, che è sopra di 7 punti a 35 secondi dalla fine.

 

Quel che succede da lì in poi è un qualcosa d’indescrivibile a parole: il Maccabi riesce a pareggiare, viene graziata da un libero sbagliato di Langford a 70 centesimi dalla sirena e vince al supplementare. Il morale dei biancorossi è distrutto: nonostante vincano gara-2, qualcosa sembra esser scivolato loro dalle dita, quell’opportunità rara che svanirà completamente a Tel Aviv e che si ripercuoterà sulle teste dei giocatori durante tutti i playoff italiani.

 

Con le prime due vittorie casalinghe, Milano avrebbe potuto ragionevolmente raggiungere le Final 4, coronando un percorso europeo stupendo—al pari di Real e CSKA, vincenti solo in casa nei quarti—e probabilmente confermando quasi integralmente la rosa per l’anno successivo. E magari David Blatt ora non sederebbe sulla panchina dei Cleveland Cavaliers, ma questa è un’altra storia.

 

Con la sconfitta in gara-1, i cuori dell’Olimpia per la prima volta dagli inizi dell’anno tremano, e quel fantasma che sembrava essere mandato in soffitta torna ad aleggiare sulle loro teste. Ma a Siena, in gara-6 di finale Scudetto, qualcosa cambia: sul 3-2 Montepaschi, a 15 secondi dalla fine e sul 72 pari, Janning spara la tripla del KO e dello Scudetto dei Miracoli di Marco Crespi. La palla scivola lentamente su tutto il ferro: in & out, palla fuori, Olimpia ancora in corsa. Si va di là, Gentile vorrebbe la palla, ma Jerrells ha idee diverse: il cronometro scende a 2 secondi, palleggio-arresto-tiro da due. Solo rete, sulla sirena.

 

Talk about BIG shots.

 

Tornati a Milano per gara-7, l’Olimpia, superato il potenziale baratro della sconfitta-simbolo di un’era maledetta, conquisterà il primo Scudetto dopo 15 anni, scatenando la festa irrazionale e straripante dei tifosi, talmente numerosi sul campo del Forum da costringere Re Giorgio a ricevere la coppa sul tavolo degli ufficiali di campo.

 

Campione d’Italia e tra le prime otto d’Europa, dunque. Sembrano i primi gradini di una scalinata verso un futuro solido e brillante. Una scalinata verso il Paradiso che verrà presto interrotta.

 

2014-2015: The Dark Side of the Moon, l’Anno-2 (1-bis)

 

Campionato: prima in stagione regolare, eliminata in semifinale da Sassari.

Eurolega: Top-16.

Altro: sconfitta in Coppa Italia in finale vs. Sassari, sconfitta in Supercoppa vs. Sassari.

 

Essersi soffermati sul primo anno di coach Banchi diventa essenziale per comprendere le reazioni a catena che si scatenano nella sua seconda stagione all’ombra della Madonnina. Pare evidente che una Milano campione d’Italia e così competitiva in Europa debba essere cambiata il meno possibile, soprattutto nelle sue pedine chiave e alla luce degli equilibri raggiunti. Anche a costo di qualche sacrificio, come è giusto e normale al termine di una stagione trionfale: il mercato europeo sulle prestazioni in crescere di Jerrells e Langford, entrambi in cerca di rinnovo, comandano contratti al rialzo. Le trattative vengono intavolate, ma non c’è mai la reale sensazione che l’Olimpia voglia spendere di più per trattenere due dei protagonisti dei recenti successi. Il prezzo da pagare però è molto più elevato di un semplice esborso aggiuntivo di denaro.

 

Sottovalutando l’ecosistema milanese che sottopone la società di Piazzale Lotto a pressioni esasperate e rovinando una chimica vincente che era riuscita a reagire positivamente all’ansia da risultato, quello che il management non riesce a salvaguardare è un contesto difficilissimo da replicare e che forse da solo vale il costo di 3-4 stagioni. Ragionando in termini imprenditoriali, si è distrutto un know-how faticosamente cercato da vent’anni e finalmente scovato, una sorta di nuovo anticorpo composto dalla fusione psicologica e sportiva di un certo gruppo di giocatori, per ributtarsi nella Ricerca & Sviluppo.

 

Chiaramente Armani dei suoi soldi può far quel che più gli aggrada, e anzi per Milano ha già fatto tantissimo, ma dopo le milionate spese per un pugno di mosche, la perdita più elevata è lo sfaldamento di questi “Ghostbusters”, molto più dei soldi risparmiati per non riconfermarli.

 

Estate 2014

Inizia quindi il rebuilding.

– Via Langford per MarShon Brooks: si rinuncia a un giocatore che aveva imparato a essere decisivo anche in difesa e che era riuscito a convivere con Gentile per una matricola in campo europeo, tatticamente indisciplinato e per ovvi motivi incapace di assorbire in tempi brevi l’impatto con il Vecchio Continente, con il figlio di Nando e con un coach come Banchi;

 

– Via Jerrells per Joe Ragland: a un creativo forse un po’ troppo anarchico, ma fondamentale (26 punti in gara-1 e il canestro-salvezza di gara-6 nelle finali Scudetto, per limitarsi solo alle impronte più eclatanti) e capace di mettere una forte pressione sulla palla, viene preso un soldatino dalla vicina Cantù, inesperto in Europa e senza la personalità e il talento atletico del predecessore;

 

– Via Kangur, Wallace e Lawal per Linas Kleiza, Trenton Meacham, Shawn James, Frank Elegar, Angelo Gigli e Jonathan Tabu: il fatto che l’Europa snobbi Kleiza durante il mercato la dice lunga su quanto poco affidabile sia ritenuta l’ala lituana dopo gli infortuni e l’età che avanza, ma un lungo che apra il campo è vitale. Purtroppo però manca tutto il resto, dal carattere agli attributi alla continuità, l’esatto contrario di quanto aveva portato un nome meno blasonato come Kangur, ma che a più riprese era stato incredibile nel rapporto minuti/giocate positive nei momenti cruciali della passata stagione (3/3 da 2 e 2/2 da 3 in gara-2 col Maccabi, tanto per citarne una). Idem per Wallace, che non viene rimpiazzato, e Lawal, lasciato andare per un Shawn James su cui pochi scommetterebbero dopo gli infortuni dell’ultimo anno a Tel Aviv.

 

La spina dorsale dell’Olimpia 2013-14 è ormai compromessa: troppi i cambiamenti per poter dare continuità al ciclo che si pensava d’avere aperto, troppi i volti nuovi e le scelte rischiose per non dover ricominciare da zero. Per l’ennesima volta.

 

Le cinque nuove scelte: con il senno di poi il paragone con il 13-14 è quasi ingeneroso…

 

La stagione

L’annata 2014-15 di Milano (orfana di Proli, con Portaluppi presidente e Casali promosso a GM), quella conclusasi lo scorso maggio, è l’immagine sul campo di tutti i dubbi e le scelte errate che si sono succedute nella preparazione della squadra, errori che vengono amplificati dalla gestione del caso-Hackett con la Nazionale e la seguente squalifica che fa andare fuori giri sia il giocatore che Milano in campionato.

 

Brooks ci metterà mezza stagione per capire i concetti basilari del basket europeo, risultando comunque sempre poco decisivo al fine del risultato finale e non incidendo in difesa, fattore che in Europa—insieme alle deficienze fisiologiche di Ragland e Gentile—condannano Milano a subire qualunque squadra europea (Vitoria, con Causeur, Adams e Mike James come guardie, gliene rifilerà 20 in Top-16). Hackett, il fattore determinante per l’ultimo salto di livello della precedente stagione, complice squalifica e acciacchi vari giocherà da trascinatore solo poche partite (memorabile però l’ultimo quarto contro il Bayern, valevole l’accesso alle Top-16), svanendo nel finale d’anno e contro Sassari.

 

L’Olimpia in Eurolega si fermerà alle Top-16, con un record poco lusinghiero di 4 vittorie e 10 sconfitte e la cupa certezza di aver fatto due passi indietro rispetto al 2014, mostrando un basket carente di idee, con giocatori slegati o non migliorati (Melli), allenatori nervosi, zero fluidità offensiva, difesa debole (sesta per punti subiti in EL a 82 di media) e un sapore amaro per quanto si era mostrato al Forum solo 12 mesi prima.

 

In Italia conquisterà ancora il primato in regular season (d’altronde il talento rimane nettamente superiore rispetto al resto delle squadre), ma in una serie schizofrenica di semifinale contro Sassari cadrà definitivamente (sotto 3-1 rimonta fino al 3-3, sconfitta in gara-7 in casa dopo un overtime e con due rimbalzi offensivi subiti negli ultimi secondi dei regolamentari), scatenando gli inevitabili processi mediatici—Kleiza zero e Brooks 11 minuti in gara-7 sono l’emblema del mercato sbagliato—e le lacrime di un Alessandro Gentile inconsolabile. Proprio il capitano commenterà così quella che doveva essere l’annata della conferma del tricolore: «La delusione è enorme. Questo è un fallimento totale che coinvolge tutti».

 

Frase che concluderà sommessamente il 2014-2015 dell’Olimpia Milano, facendo calare ombre su tutto, dal volto di Armani a quello dei tifosi (l’unica buona notizia è il Forum sempre pieno), mostrando quanto sia sottile l’invisibile linea che divide il lato luminoso della Luna da quello oscuro.

 

I due rimbalzi offensivi concessi a Sassari per il pareggio di Sanders in gara-7 di semifinale.

 

2015-2016: You Can’t Always Get What You Want, l’Anno-3 (1-tris)

 

Pronostico Campionato: primi tre posti in stagione regolare, Scudetto?

Eurolega: Top-16?

Altro: vincere la Coppa Italia?

 

L’inevitabile tabula rasa introduce l’Olimpia al terzo “Anno-zero” in tre anni. La ricostruzione questa volta è completa, crudele, necessaria. Del 2014-15 si tengono solo Gentile e l’innocuo Cerella: Banchi viene licenziato, Proli torna da presidente riportando Portaluppi alla carica di GM e Casali a quella di responsabile dello scouting.

 

L’allenatore che viene preso per la strada verso la redenzione è Jasmin Repesa, una vecchia conoscenza del Forum, considerato che era stato lui, con la sua Fortitudo Bologna, a vincere lo Scudetto in casa di Milano in quello storico 16 giugno 2005 e l’instant replay di Rubén Douglas.

 

Forse è un modo per esorcizzare i peccati passati, ma l’assunzione di Repesa porta a delle scelte ben precise sul mercato: basta nomi altisonanti o con carriere recenti in Italia. «Non puoi ottenere sempre ciò che vuoi… ma potresti trovare quello che ti serve». L’Olimpia l’ha capito, e gira pagina. Si tenta di trattenere Melli, di firmare Gigi Datome, ma entrambi per motivi economici firmano con squadre estere. Ci si separa con qualche rimorso da Hackett, finito all’Olympiacos.

 

Proprio la squadra ateniese vice-campione d’Europa sembra poi diventare il modello di una Milano che ha evidentemente ridimensionato il proprio budget. Via un lungo condizionante e statico come Samuels e dentro—di nuovo—Gani Lawal, atleta e intimidatore sulla stregua dei centri che hanno fatto la fortuna dei greci nell’ultimo quadriennio.

 

Insieme a lui arriva gente che ha le caratteristiche richieste da coach e società per ricostruire e riconquistare la metropoli meneghina.“Uomini e giocatori veri” con attributi, fame o forgiati in ambienti complicati da gestire: ovvero il play finalista con Reggio Emilia e della Nazionale Andrea Cinciarini, il suo futuro cambio Oliver Lafayette dall’Olympiacos (appunto), la forte guardia croata (e pretoriano di Repesa) Krunoslav Simon dal Lokomotiv, il lungo intelligente e versatile Milan Macvan dal Partizan Belgrado e l’MVP del campionato tedesco Jamel McLean, ala forte dal gran talento e formidabile a rimbalzo.

 

Nonostante l’ultimo innesto possa ambire al quintetto (il “3-4” dei Timberwolves Robbie Hummel) sarà questo il più probabile, ma Repesa, con nove giocatori di valore a disposizione, adatterà come sua consuetudine gli starting five agli avversari, potendo contare in uscita dalla panchina, oltre che su Cerella, anche su Charles Jenkins, guardiona dalla Stella Rossa Belgrado, e sugli italiani, con il gioiellino Andrea La Torre prelevato della Stella Azzura e girato in prestito a Biella e il ritorno del play Andrea Amato (le giovanili Olimpia non vedevano un loro prodotto “vero” nella rosa della prima squadra dai tempi di Marco Mordente), oltre a Daniele Magro per completare il reparto lunghi.

 

Coach Jasmin Repesa: severo ed esperto… riuscirà a essere anche vincente?

 

Proprio l’ex Pistoia giunge in corsa a occupare il posto che doveva essere di Riccardo Cervi, pivot azzurro in questi giorni al centro del caso più bollente dell’estate italiana dopo l’annuncio dell’accordo con l’Olimpia annullato dopo una settimana. Si sussurra di un ginocchio che necessita di terapie costanti, ma attualmente nessuna delle due parti ha commentato ufficialmente l’evento. Rimangono i fatti, cioè che il contratto con l’EA7 (secondo le dichiarazioni dell’agente Balducci con firme già presenti) è saltato nonostante i benvenuto ufficiali sui social e le parole d’entusiasmo, oltre agli allenamenti in Nazionale e la firma con Avellino (per i medici azzurri quindi è ok?). Forse per motivi di privacy non sapremo mai la verità, ma a livello di comunicazione si poteva gestire molto meglio di una semplice cancellazione della notizia come se nulla fosse mai successo.

 

Situazione-Cervi a parte, il mercato ultimato può già essere considerato diametralmente differente dai precedenti: più “operaio”, meno costoso e roboante (e con meno talento), e che decisamente farà della versatilità, della gestione del ritmo e della difesa i punti forti di una squadra che, corta e carente a livello realizzativo sugli esterni, avrà in Gentile il go-to-guy per eccellenza, su esplicita richiesta di Proli, confermata da Repesa ai media. Scelte diverse, impossibili da pronosticare ora, ma che ancora una volta tenteranno di spazzar via le delusioni della scorsa stagione, capace di riportare paure e dissapori tipici dell’ultimo decennio che la prima grande annata firmata Luca Banchi sembrava avere cancellato.

 

È una paura inconscia, quella di non essere all’altezza delle aspettative. Riuscirà prima o poi l’Olimpia a liberarsi da questo oscuro fantasma che silenzioso da anni sembra infestare il Forum?

 

“When I walk in a dark road

I am a man who walks alone”.

 
 

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Michele Pettene è veronese di nascita, iversoniano d'adozione e scrive ovunque ci sia spazio per almeno 20k battute. Dopo il suo primo libro nel 2015 "La Morte è certa, la Vita no - La storia di Klaudio Ndoja", nel 2019 ha pubblicato con l'editore Rizzoli il suo secondo libro "Basketball Journey - Viaggio on the road tra luoghi e leggende del basket USA"