• Calcio
Emanuele Mongiardo

La pastorale campana di Gigi Castaldo

Il totem del calcio campano di provincia.

Nell’inverno del 2019 seguire il Catanzaro era davvero divertente. La squadra di Auteri giocava il miglior calcio della Serie C e, a gennaio di quell’anno, la partita con la Casertana sembrava già chiusa a fine primo tempo: un 3-0 rotondo, diverse occasioni divorate e scambi veloci che facevano sopportare con piacere il classico ventaccio del “Nicola Ceravolo”. Ci si aspettava un secondo tempo di pura accademia. Intorno all’ora di gioco, però, Gigi Castaldo, centravanti dei campani e capocannoniere del girone C, diventa il vero motivo per cui ricordare quella partita.

 

La Casertana attacca e arriva uno strano cross dalla sinistra, strozzato, che rimbalza sul lato corto dell’area piccola. Castaldo va incontro alla palla sul primo palo. È girato di spalle, marcato da due difensori. Non c’è segnale di pericolo, ogni attaccante avrebbe bisogno di controllare per poi eventualmente girarsi. Castaldo però, ha una dimestichezza tutta sua con gli infidi campi del sud Italia, dove le traiettorie faticano a mantenersi regolari sui rimbalzi. Con l’uomo addosso, invece di provare a controllare, uncina la palla con il collo esterno del destro e la alza verso la porta: ne nasce un arco che casca morbido sul secondo palo. Il portiere, di scatto, accenna ad aprire le braccia e si fa indietro, come stordito da un diretto che non ha visto partire.

 

Ricordo di aver assistito al gol proprio dal punto in cui è partito il cross, all’intersezione tra curva e distinti: nessuno, in quello spicchio di stadio, aveva capito come fosse stato possibile, tanto più che la prospettiva schiacciata da dietro la porta impediva di intuire la parabola data alla palla da Castaldo. È un gol che ci si potrebbe aspettare da Ibrahimović, come tanti altri gol della carriera di Castaldo. Eziolino Capuano ai tempi della Juve Stabia amava chiamarlo Castaldović. È un gol che non dovrebbe sorprendere chi conosce bene il centravanti di Giugliano, un attaccante che ai topoi del santone di provincia aggiunge una creatività e delle doti tecniche e acrobatiche da punta moderna di alto livello.

 

 

 

 

 

 

I bomber di categorie inferiori sono tra le figure più amate dagli italiani. Eppure Castaldo, miglior marcatore della storia dell’Avellino e secondo miglior marcatore della storia della Juve Stabia, non rientra tra i principali protagonisti di quel filone. Forse la sua figura entrerà nel canone dopo il ritiro. Di certo, il contesto di questi anni ne demitizza i contorni. Gli attaccanti di provincia hanno perso parte del loro romanticismo: in tv vediamo sempre più partite e così la loro percezione diventa meno rarefatta rispetto ai colleghi del passato. A livello estetico, poi, non c’è proprio paragone: le divise di squadre di B o C, piene fino alla nausea di sponsor, non reggono il confronto con i colori e le fantasie del passato; dettagli tipici del calcio contemporaneo, come i cartelloni pubblicitari elettronici e le riprese in alta definizione, applicati agli stadi fatiscenti delle categorie inferiori, per contrasto rendono lo spettacolo ancora meno gradevole.

 

Castaldo entrerà di diritto nella hall of fame degli attaccanti di provincia, pur senza la popolarità di certi suoi predecessori. Rispetto a Hubner o Corona, per esempio, non ha mai giocato in Serie A. Nelle interviste parla a denti stretti, non si espone molto, e non se ne uscirà mai con tagline alla Pasquale Luiso, del tipo «crossatemi una lavatrice e colpirò di testa pure quella».

 

L’attaccante della Paganese, però, non è solo numeri e qualità tecniche d’alta scuola, possiede anch’egli un’iconografia riconoscibile. La cresta brizzolata, che lo fa sembrare più alto del suo metro e ottantaquattro, un po’ come le guglie che danno tensione verticale al Duomo di Milano; il naso da squalo, le braccia lunghe in maniera sproporzionata rispetto al fisico asciutto. Senza dimenticare le esultanze: Castaldo che si inginocchia per ricordare il padre, Castaldo che, ai tempi di Avellino e Nocera, correva mulinando le braccia e faceva segno ai compagni di allontanarsi, perché voleva abbracciare qualcuno in panchina o perché voleva dedicare il gol alla moglie e alle figlie, sempre stampate sulle sue canottiere.

 

Il legame con la famiglia si percepisce non solo dalle esultanze, ma anche dalle scelte di carriera, come racconta Francesco Maglione, talent scout campano che definisce Castaldo suo «figlioccio»: «Lo presi dalla Puteolana, in C2 e lo portai ad Ancona, in serie B, quando aveva diciotto anni. Però l’esperienza durò poco: aveva nostalgia dei suoi affetti, della famiglia e preferì tornare a casa». Dopo Ancona, questo l’elenco delle squadre di Castaldo: Puteolana, Juve Stabia, Benevento, Nocerina, Avellino, Casertana, Paganese. Castaldo, insomma, non ha mai lasciato la Campania. Al di là della famiglia, si dice soffra di una lieve forma di diabete, da cui forse la sua stanzialità: nell’estate del 2020 sembrava dovesse abbandonare la sua regione per il Bari, che gli avrebbe garantito l’uso di un centro diabetico specializzato, ma alla fine non si è concluso nulla.

 

In realtà, oltre all’Ancona c’è un’altra breve parentesi lontano dalla sua regione. Nell’estate del 2006 lascia la Juve Stabia per il Siena, intenzionato però a girarlo in prestito al Foggia. Castaldo rifiuta, neanche il tempo di disfare la valigia e torna a Castellammare. «Luigi Castaldo ha abbandonato, di sua volontà e senza autorizzazione alcuna, il ritiro del Siena avendo manifestato seri problemi di adattamento alla realtà professionale che compete a un club di serie A», recita in burocratese il comunicato della società toscana, come una sorta di anatema sulla sua carriera. Rimanere in Campania, alla fine, gli ha precluso la Serie A: «Il fatto di essere troppo legato alla famiglia gli ha impedito di volare come avrebbe meritato. Ma a lui si perdona tutto, anche questo», ha detto Felice Evacuo, altra leggenda del calcio di provincia di questo secolo e suo compagno a Benevento.

 


Stagione 2005/06, il Napoli in Serie C e un derby perso per 3-1 contro la Juve Stabia (gli highlights iniziano a 1:30). In telecronaca per Sky un giovane Gianluca Di Marzio. Castaldo, trascinatore, segna il terzo gol. Il tiro d’esterno collo, con la gamba che si allunga per eliminare l’ultimo passo e rubare il tempo al portiere, è un marchio di fabbrica della punta di Giugliano.

 

Castaldo a mezz’aria
Tra Castaldo e la Serie A, a dire il vero, si è messa di mezzo una traversa, non solo l’amore per la sua terra. È l’episodio più noto della sua carriera: a Bologna, durante gli ultimi secondi della semifinale playoff di B del 2015, l’Avellino è in vantaggio per 3-2 sui padroni di casa, ma ha bisogno di un gol per ribaltare lo 0-1 dell’andata. Sull’ultimo lancio della partita, una spizzata di testa trova Castaldo dietro l’ultimo difensore rossoblù, all’altezza dell’area piccola. Castaldo deve eseguire la sua giocata preferita, quella in cui ha pochi eguali anche in Serie A: stop di petto e tiro al volo. L’esecuzione è perfetta, forse troppo: col primo controllo di petto diventa padrone della palla e la lascia scendere piano abbastanza da caricare il tiro di collo destro, senza farla rimbalzare, con la gamba leggermente di taglio. La palla colpisce il versante inferiore della traversa ed esce. Il Bologna passa grazie al miglior piazzamento in regular season.

 

 

Castaldo stava per regalarsi la Serie A senza abbandonare casa sua, la trasposizione calcistica di chi si rifiuta di abbandonare il sud e riesce comunque a realizzare i propri sogni. Rientrava da un infortunio, in quei playoff gioca solo gli ultimi venticinque minuti al Dall’Ara. Il rimpianto di non aver partecipato alla gara d’andata forse è grande quanto quello per quel tiro all’ultimo secondo. La traversa di Bologna, in controluce, mostra la caratteristica migliore di Castaldo, una sensibilità unica per i palloni alti e, in generale, per il gioco acrobatico.

 

In Serie B, ma soprattutto in Serie C, è difficile trovare campi dove il pallone abbia rimbalzi regolari: secchi e accidentati in primavera, acquitrinosi d’inverno, con le zolle che volano via sui contrasti. Il manto erboso non è un fattore trascurabile. Se molte squadre di Serie C rifiutano di palleggiare, non è solo per le idee degli allenatori o per i giocatori a disposizione, ma proprio per necessità pratiche: è difficile far correre la palla su certi campi. Per questo motivo, avere Castaldo in rosa è stato un vantaggio competitivo inestimabile per tutte le squadre in cui ha militato. Nonostante l’altezza, gode di un’agilità straordinaria e anche da fermo stacca molto in alto. Fosse solo per le doti fisiche, però, Castaldo sarebbe solo uno dei tanti centravanti lungagnoni di provincia. A rendere eccezionale il suo gioco, invece, sono la tecnica e la creatività. Castaldo ha i piedi sensibili del trequartista, una coincidenza di opposti rispetto alla ferocia agonistica con cui calcia ed esulta in cui risiede tutto il suo fascino. Stupisce soprattutto la morbidezza con cui il collo del destro tratta i palloni a mezz’aria. È come se quella parte del suo piede fosse concava e non stesse aspettando altro che inghiottire il pallone su uno stop o scaricarlo sulla corsa di un compagno con un alley-oop.

 

Anche Castaldo sa che a renderlo speciale è la tecnica prima dei gol. Lui se ne compiace e si diverte a ricordarcelo su Instagram. Questo controllo avrebbe potuto finire in qualsiasi compilation di Dimitar Berbatov.

 

Oltre ai piedi, poi, Castaldo domina in maniera naturale tutte quelle parti del corpo con cui può impossessarsi di un rimbalzo: la testa, il petto, la coscia, persino il basso ventre. A volte sui lanci li alterna e si mette a palleggiare come fosse da solo in allenamento e non circondato da avversari. Se una palla spiove nella sua zona, è lui ad essere in controllo, non il difensore – anche perché usa benissimo le braccia per tenerlo lontano.

 

 

 

I piedi e il petto di Castaldo sui palloni alti sono morbidi come i polpastrelli di un alzatore e questa delicatezza stride con le forme acuminate del suo corpo, dalle spalle, ai gomiti, al bacino. Eppure, abbinare la tecnica a quel fisico spigoloso gli ha permesso di regnare su tutti gli sconnessi campi del sud Italia, di portare ordine dove si fa presto ad alzare la palla. Ecco perché, prima dei gol, Castaldo garantisce soprattutto un vantaggio tattico. I lanci dei compagni sono una professione di fede verso di lui, una preghiera che si spera possa inverarsi in una protezione palla o in un controllo al volo senza senso.

 

Dal palleggio, senza far toccare la palla a terra, Castaldo può costruirsi anche il tiro. Uno dei suoi ultimi capolavori è un gol al Rieti, segnato nel 2019 con la maglia della Casertana. L’azione parte da un’iniziativa sulla corsia mancina del suo inseparabile scudiero Antonio Zito. Se Castaldo è l’Ibrahimović della Campania, Zito, esterno sinistro napoletano, è il suo Maxwell: hanno giocato insieme ad Avellino e a Caserta e quest’anno si sono ritrovati alla Paganese. Arriva un cross a pallonetto quasi sul limite dell’area. Castaldo, spalle alla porta, controlla di petto e si manda la palla sul destro. Di fronte, però, ha un avversario che rientra. Allora non lascia rimbalzare la palla a terra e la uncina con un tocco che diventa un controllo orientato verso il centro dell’area, mentre fa perno sulla gamba sinistra per girarsi, come in una piroetta. Dietro di lui, a pochi centimetri, c’è un difensore; Castaldo però non gli dà il tempo di frapporsi tra sé e la porta e quasi senza distendere la  gamba, di collo, calcia a mezz’altezza sul secondo palo. Il portiere resta immobile. La palla non ha mai toccato terra ed è sempre rimasta sotto la sfera d’influenza di Castaldo, nonostante due difensori intorno a lui. «Ti posso assicurare che in quel momento il “Pinto” (stadio della Casertana nda) è venuto giù. Dopo il gol nessuno è rimasto in tribuna, siamo tutti scesi a bere», racconta Ferdinando, tifoso della Casertana che, come altri tifosi di Casertana e Avellino, ho contattato per farmi raccontare cosa si provasse ad avere Castaldo in squadra. «Le serie minori vivono di attaccanti scarsi, però tu vedevi lui che sapeva controllare il pallone e inventarsi gol in ogni modo».

 

 

 

 

 

 

Castaldo va in C alla Casertana, a trentasei anni, nell’estate 2018. Arriva dall’Avellino appena fallito, e rappresenta il gioiello di un mercato da Serie B (quell’estate raggiungono la Reggia anche Floro Flores e Vacca, oggi regista del Venezia in Serie A). «Nella mia esperienza da giovane tifoso Gigi è la cosa più bella a cui abbia potuto assistere», mi dice Domenico, venticinque anni e tifoso dei falchetti. A rimarcare la magniloquenza dell’acquisto, la Casertana lo annuncia con la stessa grafica con cui la Juventus, in quei giorni, ha presentato Cristiano Ronaldo: sfondo blu, cognome gigante in rosso e la sagoma del bomber di Giugliano mentre carica il tiro.

 

«Aveva portato entusiasmo a tutto l’ambiente sportivo di Caserta» mi dice Domenico. «Ogni gol era un’esplosione pazzesca allo stadio». Alle sue reti, il “Pinto” ruggisce come Old Trafford ai tempi di van Nistelrooy, con «Gigi! Gigi! Gigi!» al posto di «Ruud! Ruud! Ruud!». Basta la sua presenza, sulla carta, a rendere credibile la Casertana per la vittoria del campionato. Non tanto per i gol – non ha mai avuto medie realizzative troppo alte, anche se quell’anno raggiunge il record di gol in un solo campionato, 17, quanto per l’onnipotenza tecnica e atletica, quasi intatta nonostante l’età. Una delle conseguenze più evidenti della sua abilità con la palla in aria, per esempio, è il gioco acrobatico. Non si sa se Castaldo abbia imparato a sforbiciare sulla spiaggia di Giugliano, visto che il litorale basso e sabbioso di solito favorisce le partite a tedesca. Alcune sue rovesciate, però, per la naturalezza con cui si allontana dal marcatore e si contorce in aria, sembrano uscite dal beach soccer.

 

Difficile dire quale sia la più bella, se quella segnata nel 2010/11 in un Pisa-Nocerina di Serie C1, allora prima divisione di Lega Pro, o quella di Ternana-Avellino 2-2, nell’anno del playoff perso a Bologna. La seconda forse è la sua rete più celebre, meravigliosa per la perfezione formale con cui si dispiega in aria. La distratta difesa della Ternana, però, gli aveva dato tutto il tempo di controllare e preparare il tiro.

 

 

 

 

 

 

Contro il Pisa invece, le condizioni in cui segna sono proibitive. È il primo gol della stagione dei molossi, che con Castaldo capocannoniere e Auteri in panchina avrebbero raggiunto la promozione diretta in B, la prima per la punta campana. Arriva un lancio morbido ma scomodo e centrale nel cuore dell’area, che Castaldo deve controllare spalle alla porta e col marcatore incollato. La palla è leggermente alta, lui allora stacca altissimo da terra – uno di quegli stacchi per i quali, in Serie A, le tv misurerebbero sbalordite l’altezza – e nel salto spinge il difensore all’indietro; col pettorale sinistro si alza la palla e la colpisce con una torsione di busto e gamba destra che spedisce il tiro sotto l’incrocio del secondo palo. Come i migliori centravanti, Castaldo non guarda mai la porta. Contro il Pisa non c’è la grazia da ginnasta del gol alla Ternana. E però quello stacco da fermo non tiene conto della presenza di un difensore a pochi centimetri, quindi presuppone qualità atletiche che con la Serie C – e anche con la B – non hanno nulla da spartire. 

 

 

 

 

 

 

Il tratto in comune tra i due gol è il controllo di petto che apparecchia il tiro. Castaldo non si limita a smorzare il pallone, ma in entrambi i casi con una scrollata di spalle lo fa rimbalzare molto in alto, come se avesse la leggerezza di un Super Santos o come se davvero palleggiasse con le mani. Molti attaccanti usano il petto solo per sgonfiare i lanci o appoggiare sponde corte, che non richiedono di indirizzare la palla né di darle potenza. Castaldo invece usa il petto anche per esecuzioni complicate, ad esempio per chiudere triangoli, lanciare un compagno nello spazio, addirittura passarla a qualcuno alle proprie spalle senza girarsi. Basta essere creativi, sapere che si può usare altro oltre ai piedi e alla testa.

 

Deve essere facile giocare con Castaldo
Castaldo di creatività ne ha da vendere, lo dimostra il modo in cui si muove per il campo. In zona centrale, si abbassa come un vero regista offensivo per farsi dare il passaggio addosso, alto o rasoterra poco importa. Controllata la palla, ama prodigarsi in dribbling difensivi per ripulire il possesso, e se l’avversario è distratto non disdegna qualche tunnel, a dimostrazione di una tecnica straordinaria anche con la palla a terra.

 

Nell’ultimo terzo di campo gli piace fare da sponda ed è un partner perfetto con cui chiudere triangoli. Godetevi questo tocco alla Bergkamp in un Casertana-Bisceglie. Mentre l’ala Padovan porta palla dalla fascia verso il centro, lui esegue un taglio interno-esterno per fargli spazio. Il difensore lo segue, Padovan lo serve e si lancia nel corridoio libero. La palla arriva a Castaldo leggermente arretrata, ma non c’è problema: ha già visto l’inserimento di Padovan, allora si gira verso la palla prima che il difensore possa mettere il piede e fuori equilibrio, col corpo all’indietro, la scava con l’esterno del destro. Il triangolo si chiude e Padovan segna. Adesso chiedetevi: quanti attaccanti in Serie A avrebbero saputo farlo?

 

 

 

 

 

 

Altre zone da cui influenzare le combinazioni offensive sono le fasce. Castaldo ha passato tutta la sua carriera a giocare contro squadre che coprono il centro e lasciano spazio solo sull’esterno. Con quella tecnica, allora, Castaldo può permettersi di allargarsi, sia a destra che a sinistra, per chiamare un passaggio facile da eseguire ma difficile da controllare, togliendo così palloni scottanti dai piedi dei compagni. Tante volte la palla gli arriva dritta dal terzino: un passaggio scomodo da controllare, spalle alla porta e col marcatore dietro aiutato dalla linea laterale. Lui protegge palla – a volte con giocate di fino, altre volte con l’aiuto delle braccia e di qualche trattenuta –  e fa salire la squadra, oppure prova a puntare il fondo o a servire i compagni in corsa. Lanciare su di lui, in definitiva, significa comunque conservare il possesso.

 

Nei momenti migliori, c’è l’impressione che sia troppo facile giocare insieme a Castaldo o allenarlo. Il peso delle giocate difficili se lo può addossare tutto lui, l’alfa e l’omega della fase offensiva di tutte le squadre in cui ha giocato: mille volte in carriera si è abbassato per mettere a terra un lancio, scaricare sul compagno e attaccare l’area in corsa. È lui che costruisce gli attacchi – permette di eliminare alla radice il giro palla – ed è lui che li finalizza, nella stessa azione se possibile. Lo ha fatto con allenatori più diretti, come Novellino e Rastelli ad Avellino, ma anche con un allenatore dalla fase di possesso sofisticata come Auteri, che a Nocera lo usava per dialogare palla a terra e a due tocchi. Vincenzo Platone, già allenatore delle giovanili della Casertana, mi ha parlato di effetto crick in relazione alle sue responsabilità con la palla: «Con Castaldo, una squadra in fase di costruzione trova lo strumento perfetto per produrre l’effetto crick: massimo effetto col minimo sforzo». Non a caso, Castaldo è sempre stato il centro di gravità di qualsiasi reparto offensivo, a prescindere da sistema di gioco e compagni: ha affiancato con successo centravanti classici (Evacuo e Bueno a Benevento, Biancolino, Ardemagni, Trotta e Mokulu ad Avellino), ma anche ali brevilinee (Catania, Farias e Negro a Nocera).

 

Eziolino Capuano, suo allenatore alla Juve Stabia, non gli risparmia mai complimenti in questo senso: «Nonostante l’altezza è rapido nel girarsi, un fenomeno spalle alla porta, ha progressione, è bravissimo a servire anche i compagni di reparto e ad inserirsi. Un misto tra Cavani e Gomez, o forse anche un po’ Van Persie». Quando si parla di Castaldo, sembra impossibile non tirare in ballo similitudini con grandi giocatori per spiegarne le caratteristiche. È un riflesso involontario, l’ha fatto anche Ferdinando parlando della Casertana: «Gigi ci ha regalato un sacco di emozioni, sapevi che quando la palla arrivava a lui sicuramente accucchiava qualcosa di buono. Tu potevi contare su un giocatore di un altro livello, come le grandi squadre in Serie A: che ne so, arriva la palla a Lukaku e puoi star certo che qualcosa verrà fuori. Di solito non immagini che possa succedere alla tua squadra in Serie C». Nel 2012/13, dopo un gol al volo in un Gubbio-Avellino su un cross teso e difficile da impattare, l’attaccante irpino De Angelis gli dedica il classico commento riservato dai tifosi più anziani a quei calciatori della propria squadra che avrebbero potuto giocare ai massimi livelli, ma che invece sono rimasti leggende locali: «È stato eccezionale, se l’avesse fatto Ibra ne parleremmo per settimane».

 

Castaldo e il proprio passato
Nei confronti di Castaldo, i sentimenti dei tifosi dell’Avellino sono contrastanti. Dal momento dell’addio, nel rapporto con la città è spuntata più di qualche qualche crepa. Eppure, negli anni con la maglia biancoverde, il pubblico ha avuto fede cieca in lui, anche nei momenti più difficili. «La traversa di Bologna è stato il momento di maggior empatia con i tifosi dell’Avellino», mi racconta Guido, sempre presente allo stadio in quegli anni. Nell’estate 2015, subito dopo la delusione dei playoff, arriva una squalifica di quattro mesi per dei pagamenti in nero ai tempi della Nocerina. Castaldo ha già superato i trentatré anni, non è più un ragazzino e un periodo così lungo fuori dal campo potrebbe condizionarne il finale di carriera. In realtà ha ancora tanto da dare – se vogliamo insistere nel paragone, come Ibra dopo la MLS – e alla terza partita ritrova il gol, completando il 3-2 con cui l’Avellino rimonta il Lanciano di D’Aversa. Castaldo tira al volo da limite dell’area, segna e scoppia a piangere. L’abbraccio dei compagni lo nasconde alle telecamere.

 

Le stesse lacrime tornano un anno dopo, quando all’ultima di campionato salva l’Avellino dai playout grazie a un’altra vittoria in rimonta, stavolta per 2-1 sul Latina. «Nel 2016/17 ha giocato poco e male, ci sentivamo persi senza di lui», prosegue Guido «poi però compariva sempre nei momenti decisivi: il gol salvezza è suo». In effetti, è la stagione più difficile per Castaldo, in tutti i sensi: segna solo quattro gol, ma finisce sotto indagine per il calcio scommesse, insieme, tra gli altri, a Pisacane e ad Izzo. Chissà, magari l’astio di alcuni tifosi dell’Avellino deriva proprio dai sospetti di quei giorni, nonostante Castaldo sia stato assolto. O forse c’entra l’addio della stagione successiva, la 2017/18. Castaldo segna tredici gol, salva ancora la squadra all’ultima giornata, contro la Ternana, ma in estate la società del presidente Taccone fallisce. Qualcuno spera che possa rimanere; lui, però, ha già trentasei anni e per restare nel professionismo va alla Casertana.

 

Castaldo ha trascorso sei anni ad Avellino, ma si è trattato di un’eccezione; per il resto, non è rimasto mai più di tre stagioni nella stessa squadra e forse i tifosi non avrebbero dovuto sorprendersi nel  giorno dell’addio. Più che bandiera di una squadra, Castaldo è una bandiera di tutto il calcio campano. Non a caso, Salvatore, tifoso biancoverde, mi parla delle sue perplessità prima dell’arrivo nell’estate del 2012: «Quando è arrivato, in Serie C, ero un po’ scettico. Non tanto per le sue doti, perché si sapeva che sarebbe stato dominante, ma per semplici questioni di campanilismo. Si sa come funzionano queste cose».

 

Nonostante tutto, ancora quest’estate si è parlato di un suo possibile ritorno in Irpinia. «Le ultime due stagioni le ha passate un po’ in sordina, ma quest’anno ha già fatto più gol dei nostri attaccanti», mi dice con una risata di rammarico. L’Avellino ha una delle squadre migliori del girone C – anche se oggi languisce a metà classifica – e Castaldo avrebbe potuto offrire certezze per il salto di categoria. «Da quando siamo in C, una parte della tifoseria, ogni volta che c’è da chiedere un attaccante, fa il nome di Castaldo. Molti sono convinti che a quarant’anni possa fare ancora la differenza», dice Oscar Cini, tifoso dell’Avellino e autore per Undici ed Esquire. Le partite di Castaldo in biancoverde non può non ricordarle con malinconia: «Quando entrava lui, spesso c’era la sensazione che stesse per succedere qualcosa, o che la partita potesse cambiare. Come quando si gioca il torneo con gli amici e quello forte esce per riposarsi; al suo rientro ti senti più tranquillo, senti di poter ribaltare anche la situazione più complessa».

 

Il richiamo ai tornei amatoriali, alla dimensione primordiale del calcio, mi sembra davvero calzante. Per il modo in cui gioca, in effetti, Castaldo porta alle estreme conseguenze l’ideale di sé stesso coltivato da tutti gli attaccanti che abitano i campi del sud Italia, dalle partite di C e D fino a quelle tra amici al campetto: il desiderio, la falsa convinzione – vera per Castaldo – di poter risolvere ogni situazione da soli, proteggendo palla da tutti gli avversari e buttando giù le porte.

 

Per le squadre di C, il rapporto con la punta ha una mistica particolare. Vige, forse, l’idea che un attaccante da 15-20 gol possa occuparsi da solo delle sorti offensive della squadra, in un campionato dove è difficile costruire occasioni in maniera lineare. A Catanzaro, per esempio, abbiamo avuto diversi giocatori forti negli ultimi anni, soprattutto centrocampisti e seconde punte. Eppure, come nell’attesa di un messia, il cruccio più grande è di non aver ancora trovato l’erede di Giorgio Corona, come se per le squadre di Serie C il centravanti fosse un feticcio su cui proiettare tutte le proprie speranze. La Campania di questi attaccanti-totem ne ha prodotti in quantità industriale negli scorsi anni e Castaldo è il migliore della serie. Capisco, allora, come mai i sentimenti di molti tifosi dell’Avellino nei suoi confronti vadano dal rancore all’euforia, senza troppe soluzioni di compromesso.

 

Per la prima volta dall’addio nell’estate 2018, Castaldo domenica avrebbe dovuto giocare da avversario al “Partenio-Lombardi”, per Avellino-Paganese. Sembra assurdo, ma nonostante abbiano condiviso la Serie C nelle ultime tre stagioni, l’attaccante non ha mai affrontato la sua vecchia squadra, sempre infortunato al momento dell’incontro. Alla vigilia, tutte le discussioni riguardavano l’accoglienza da parte degli spalti, se l’affetto avrebbe sovrastato il risentimento o viceversa. Un giorno prima della partita, però, ecco il nuovo forfait: Castaldo fuori per dolori al polpaccio. Detto di una sostituzione nella precedente gara col Potenza per problemi fisici, parte del pubblico avellinese non può non sospettare: Castaldo non affronta il “Partenio” per paura dell’impatto emotivo o per amore verso la sua ex squadra.

 

Di Natale, qualche anno fa, giustificava così le ripetute assenze contro il Napoli: «Fargli gol era come segnare a mio fratello ed è per questo che era meglio evitare». Da parte di Castaldo, non sorprenderebbe un ragionamento analogo. Per quanto riservato ai microfoni, in campo e di fronte ai tifosi non ha mai saputo nascondere i propri sentimenti, fino ad arrivare alle lacrime (non solo dopo i gol, ma anche in un confronto con la curva, nel 2016, frustrato dalle critiche prima di una partita con la Ternana). Se ne rileggiamo la carriera alla luce di questa sensibilità, forse la scelta di rimanere in Campania diventa più logica di quanto sembri, senza nessun rimpianto.

 

 

Tags :

Emanuele Mongiardo nasce a Catanzaro nel 1997. Scrive di calcio su "Fuori dagli schemi" e di rap su "Four Domino".