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Redazione basket

Fanta-LeBron

Sei possibili destinazioni per il futuro di LeBron James.

LeBron James ai Cleveland Cavaliers

Di Dario Vismara

 

Con il ricordo delle Finals 2018 ormai archiviato in qualche parte remota del nostro cervello e con le immagini di LeBron James che esce dal campo circondato da un alone di “ma sarà la sua ultima alla Quicken Loans Arena?”, è facile pensare che le possibilità di un suo ritorno ai Cleveland Cavaliers ora siano prossime allo zero. Probabilmente è davvero così, ma noi da qui non possiamo saperlo — e soprattutto i Cavs non possono permettersi di pensarlo, se vogliono avere anche solo una minima chance di convincerlo a restare.

 

Sia chiaro: le possibilità sono davvero poche. Usando una metafora pokeristica, i Cavs si siedono al tavolo dei pretendenti a James con in mano una coppia molto bassa, mentre tutte le altre hanno diverse opzioni per andare a completare tris, scale e colori in genere — perché ognuna ha qualcosa più interessante da offrire a LeBron. Che sia un supporting cast di talento (Philadelphia e Boston) un allenatore da Hall of Fame (San Antonio), la possibilità di scegliersi il partner preferito in una città impareggiabile (Lakers) o il gruppo che più è andato vicino a battere gli Warriors (Houston), tutte offrono qualcosa di nuovo e di più intrigante rispetto al derelitto roster degli attuali vice-campioni NBA.

 

Le carte a cui si devono attaccare a Cleveland sono sostanzialmente due, e vanno a braccetto: come sempre è stato nella loro storia, i Cavs hanno la sfacciata fortuna che uno dei migliori giocatori di sempre sia nato a una cinquantina scarsa di chilometri dalla loro città creando un legame fortissimo con la comunità del Northeast Ohio. La seconda è che James, anche per via di quella storia pregressa, abbia deciso di far crescere la propria famiglia in quella zona, scegliendo di tornare nel 2014 per finire la propria carriera in maglia Cavs tra la sua gente e dando una nuova aura alla storia della sua carriera.

 

Come detto anche da diversi beat writer che seguono le vicende della squadra, se mai James decidesse di rimanere a Cleveland sarà principalmente per motivi extra-cestistici, vale a dire il suo legame con quella zona dell’Ohio e la volontà di non trasferire la sua famiglia, che come dichiarato da lui stesso avrà un ruolo più importante nella sua scelta rispetto al passato. Se potesse scegliere senza considerare la parte cestistica, probabilmente LeBron James non vorrebbe mai andarsene dai Cleveland Cavaliers, che rimangono la squadra della sua vita indipendentemente da tutto — e questo ha un peso enorme per la sua legacy.

 

Se questi sono stati gli ultimi playoff in maglia Cavs, è stato comunque un bel modo per dirsi addio.

 

La parte cestistica però c’è e non può essere in alcun modo sottovalutata: James ha obiettivi che per certi versi trascendono i Cavs, come l’inseguimento ai sei titoli del “fantasma di Chicago”, e sente dentro di sé di avere ancora abbastanza stagioni di alto livello per poterlo raggiungere — cosa che peraltro nei playoff ha dimostrato chiaramente. Quello che James non sente di avere a Cleveland è un contesto attorno a sé per poterci riuscire, specialmente ora che ha visto come si è sviluppato e concluso l’anno senza Kyrie Irving. LeBron non ha alcuna intenzione di vivere un’altra annata come quella appena finita e non vuole più ritrovarsi da solo a dover trascinare un’intera franchigia, possibilmente scalando in un ruolo “off the ball” per tre quarti e poi assumere il controllo delle operazioni solo quando strettamente necessario, gestendo lo sforzo del suo fisico. Ma i giocatori in grado di togliere il pallone dalle mani di uno come James sono pochi, oltre che chiaramente degli All-Star.

 

Per questo, l’unica chance che hanno a Cleveland per convincerlo a rimanere è un repulisti generale, o per meglio dire un all-in assoluto: mettere sul mercato tutto ciò che hanno a disposizione e rifare la squadra da capo, sperando che il risultato di questo azzardo sia abbastanza invitante per convincere James a non andarsene. Questo significa impacchettare i due migliori asset a disposizione e vedere se si riesce ad arrivare a un All-Star (Kemba Walker?) o a un giovane con potenziale per diventarlo (C.J. McCollum?) da squadre alla ricerca disperata di un cambiamento. Significa rendere disponibili tutti i membri del roster e accettare di ricevere in cambio giocatori di rotazione con contratti peggiori e/o più lunghi (Kenneth Faried? Nicolas Batum? Sto inventando, sia chiaro), perché i vari J.R. Smith, Tristan Thompson, George Hill e Jordan Clarkson hanno giocato talmente male o hanno contratti talmente onerosi che è semplicemente impensabile non rimetterci negli eventuali scambi. Significa utilizzare giovani che farebbe comodo tenere come Larry Nance Jr., Cedi Osman o Ante Zizic per oliare e rendere più appetibile qualche scambio. Significa molto probabilmente cedere ulteriori scelte al Draft, siano esse al primo (con protezioni varie, perché non si sa mai) o al secondo giro per rendere più digeribili i contrattoni di cui sopra. Significa anche salutare subito Collin Sexton, se servisse a qualcosa.

 

Ci vuole insomma un all-in in piena regola rimescolando tutto ciò che si ha a disposizione, in modo tale da presentarsi al cospetto di LeBron James con un roster del tutto nuovo per convincerlo a rimanere. Di fatto, i Cavs se vogliono avere una chance non devono più essere i Cavs che abbiamo conosciuto fino a oggi, ma una squadra del tutto diversa secondo i dettami indicati tra le righe da LeBron in una delle sue ultime conferenze stampa durante le Finals: talento e intelligenza cestistica, perché per battere gli Warriors servono entrambe. Ma i giocatori di talento e intelligenti costano giustamente tanto, ed è per questo che questo tentativo dei Cavs sembra un long shot, ma di quelli lunghi per davvero: ricostruire una contender nel giro di 10 giorni scarsi avendo quei pochi pezzi tra le mani sarebbe un’impresa titanica per chiunque, figuriamoci per un General Manager 35enne catapultato nel ruolo per la sorpresa di tutti da meno di un anno.

 

Koby Altman per la verità ha già provato una tattica del genere alla scorsa deadline del mercato, rimescolando la parte disfunzionale del roster per dare a James una squadra diversa con cui dare l’assalto al titolo. La grandezza di LeBron li ha portati di nuovo alle Finals, ma i nuovi acquisti hanno dato un contributo altalenante a voler essere buoni, con i veterani delle ultime stagioni — i vari Thompson, Smith, Love e Korver — ad assumersi le maggiori responsabilità nei momenti più difficili, specialmente nelle serie della Eastern Conference. È andata male, ma se vogliono convincere James non possono fare altro che provarci di nuovo e sperare in un vero e proprio miracolo.

 

 

Quello su cui i Cavs non possono contare a questo giro è l’aiuto del Re, che non muoverà un dito né in un modo né in un altro senza dare alcuna indicazione: se c’è una cosa su cui si può scommettere è che James osserverà da lontano i movimenti orchestrati dal Altman e dall’odiato proprietario Dan Gilbert per vedere cosa riusciranno a fare, senza lanciarsi nel recruiting di qualcuno in free agency per avere aiuto (anche perché lo scorso anno si spese in prima persona con Jamal Crawford e la dirigenza rispose “no, grazie”, preferendogli Osman).

 

Questa è la road map nel caso in cui i Cavs volessero cercare un tentativo disperato di convincerlo a rimanere, ma non è da escludere che la proprietà guidara da Gilbert capisca che è impossibile vincere questa mano e decidesse di fare fold, tirando i remi in barca e accettando il proprio destino di vedere James con un’altra maglia. Sarebbe difficile da spiegare alla tifoseria, ma in questi quattro anni Gilbert ha pagato uno sproposito per questa squadra cercando di mantenerla competitiva, principalmente perché questo era il patto con LeBron: fintanto che hai uno come il Re in squadra devi accettare di essere in luxury tax senza cercare di risparmiare niente, altrimenti puoi anche scordarti che rimanga. Fare un nuovo all-in comporterebbe però assimilare contratti molto indigesti di giocatori di rotazione alzando ulteriormente il monte salari invece di abbassarlo come suggerirebbe la repeater tax che scatta a partire dalla prossima stagione — portando l’esborso totale a qualcosa come 300 milioni di dollari per una stagione senza alcuna certezza di vincere. (Conviene ricordare che nessuno ha mai pagato più di 193 milioni, primato tristemente detenuto dai Brooklyn Nets 2013-14).

 

Per quest’ultimo motivo, non è da escludere che Gilbert decida di non sottostare un’altra volta alla volontà di James e scegliesse di lanciare un messaggio chiaro a LeBron: qui gli anni con cui si può contendere per il titolo sono finiti, il nostro anello lo abbiamo vinto e siamo pronti a ricominciare da capo. Basta non fare niente nelle prossime settimane — come successo tenendo l’ottava scelta al Draft e non imbastendo nessuno scambio — per far capire al Re che la festa a Cleveland è finita. A quel punto James si ritroverebbe a dover fare una scelta in fretta: il 29 giugno deve far sapere se intende rimanere all’interno dell’anno di contratto da 35.6 milioni previsto per la prossima stagione oppure se mettersi sul mercato dei free agent, una decisione che ha tantissime ripercussioni e che lo porterà molto probabilmente lontano da Cleveland – attraverso uno scambio o una firma. E a quel punto ogni scenario diventerebbe possibile.

 

LeBron James ai Philadelphia 76ers

Di Lorenzo Bottini

 

È iniziato tutto come un gioco, con quei cartelloni per strada che facevano il verso a un film che aveva appena fatto il pieno agli Oscar. Poi, tambureggianti come le piogge estive, ecco i primi sorrisi, gli sguardi incrociati. LeBron James ha mostrato in più circostanze un atteggiamento benevolo verso i giovani Philadelphia 76ers, da vecchio saggio che vede crescere bene i suoi successori. Il suo preferito, per ovvie ragioni, è sempre stato Ben Simmons: LeBron e Ben si allenavano insieme già prima che quest’ultimo giocasse la sua prima partita tra i professionisti e ha dimostrato più volte di voler svolgere il ruolo di Obi Wan verso il suo giovane Padawan. I due non condividono solo lo stesso agente (Rich Paul) ma soprattutto una passione folle per la competizione, per superare i propri limiti piuttosto concentrarsi su quelli altrui. Durante la sfida di regular season con cui i Sixers hanno scavalcato i Cavs nelle gerarchie della Eastern Conference, Simmons e LeBron si sono ripetutamente stuzzicati in campo per poi abbracciarsi una volta finita la partita. Un’immagine che entrambi hanno condiviso su Instagram con una descrizione che sembra già il pilot della miglior serie tv del 2019:

 

 

Per molti ha rappresentato un passaggio di testimone, una cerimonia nella quale Ben ha piegato il ginocchio e ha accettato un giorno di prendere il posto del Re, quando quest’ultimo deciderà di diventare il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma questa quasi sovrapponibilità tra i due ha portato molti a dichiararli incompatibili: recentemente Simmons, stimolato sull’argomento ha addotto la prova empirica, della serie “fateci provare e vediamo come va”.

 

A Phila James non troverebbe solo Simmons, ma uno dei gruppi più affiatati e talentuosi della lega. Coach Brett Brown, uomo di scuola Pop, è sicuramente un allenatore di suo gradimento e ha dimostrato lo scorso anno di meritare l’estensione firmata l’altro mese. Dario Saric e Robert Covington sono due bersagli da cercare dietro l’arco, aspettando sempre che Markelle Fultz torni dalle vacanze con un nuovo jumper nella custodia dei racchettoni. Poi ci sarebbe Joel Embiid, forse l’unico giocatore in NBA con il quale rivaleggia per carisma e strapotere fisico. LeBron, Simmons e Embiid formerebbero i Big Three più grossi di sempre, tre atleti senza alcun senso pronti a mettere a ferro e fuoco la costa Est come dei chopper modificati. Forse non riusciranno a far crollare la dinastia dei Golden State Warriors, forse si dovranno arrendere addirittura contro i rinnovati Boston Celtics del terrapiattista con il dente avvelenato. Ma sarebbe comunque una cavalcata memorabile, l’ultima recita di un grande attore. Probabilmente il più grande di tutti.

 

Le stelle che indicano il cammino si stanno allineando. Grazie all’improvvido utilizzo dei social della moglie, Colangelo Jr. è finalmente fuori scena, talmente lontano che non si vedono più neanche i suoi colletti. Al suo posto potrebbe arrivare David Griffin, molto vicino a LeBron e artefice primo del suo coming home. Per liberare lo spazio necessario a garantire al Re il massimo salariale, Phila dovrebbe rinunciare ai diritti su J.J. Redick e Amir Johnson, per poi provare a ridiscutere i loro contratti da free agent come tutti gli altri. Bisognerà poi trovare un modo legale per far sparire le disiecta membra di Jerryd Bayless e liberarsi di qualche altro sventolatore di asciugamani per arrivare alla fatidica cifra di 35 milioni. A quel punto servirà la volontà di LeBron di scommettere su Philadelphia come la squadra con la quale chiudere la sua attività agonistica: un’altra decisione complicata, l’ennesima della sua carriera, e che chiuderebbe il cerchio del Processo.

 

Da dieci vittorie in una stagione ad essere una delle favorite per l’anello: Sam Hinkie non sarà più morto invano. (Bryan Colangelo invece sì).

 

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La redazione basket è composta da gente molto alacre che vorrebbe giocare a basket ma che purtroppo sarebbe troppo bassa anche per il campionato filippino. Almeno due membri della redazione basket sono convinti che il film A Beautiful Mind parli di loro.