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G Fiume/Getty Images
NBA Niccolò Scarpelli 17 novembre 2021 9'

La partenza a rilento degli Atlanta Hawks

Trae Young e compagni sembrano aver smarrito la loro identità.

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La sera del 24 giugno 2021 gli Atlanta Hawks tornavano a giocarsi una partita di finale di conference per la prima volta dal 2015 – e per la seconda dal 1970, quando ancora però facevano parte della Western Conference. Non soltanto un traguardo storico, ma festante: 48 punti di Trae Young, 19 rimbalzi di Clint Capela e tante giocate da squadra matura per una vittoria sul campo di quei Milwaukee Bucks che di lì a poche settimane si sarebbero laureati campioni NBA.

 

Fino alla scorsa settimana invece gli Hawks venivano da sei sconfitte consecutive e sedevano nuovamente nei bassifondi della lega. Atlanta: la città della Coca-Cola, delle pesche e… delle montagne russe? No, per divertirsi a Disneyworld bisogna proseguire di 700 chilometri verso sud (direzione Orlando), ma nel 2021 gli Atlanta Hawks ce l’hanno messa tutta per pareggiare il movimento ondulatorio delle giostre. Prima la grande ascesa, con 27 vittorie nelle ultime 38 partite della regular season 2020-21 seguite dalla grande campagna playoff con tanto di eliminazione della testa di serie numero 1 – quei Philadelphia 76ers che da quel giorno devono ancora rivedere Ben Simmons. Poi, una lenta discesa. Nove sconfitte nelle prime tredici partite della nuova stagione e un’identità che appare perduta. Troppo presto per preoccuparsi o siamo tornati al punto di partenza?

 

 

Sicuro Trae Young non sembra preoccupato.

 

Fossimo all’interno di una trilogia cinematografica potremmo dire che la caduta (momentanea) degli Hawks è funzionale: serve affinché la squadra impari a rialzarsi in vista dell’ultimo atto della saga. Non a caso negli ultimi giorni Trae Young e compagni sembrano aver dato segnali di ripresa. Trarre giudizi dalle prime settimane di regular season non è mai cosa buona, ma che qualcosa stia nuovamente cambiando, all’interno degli Atlanta Hawks, sia organicamente che stilisticamente, appare piuttosto chiaro.

 

Visualizzare il plateau

Partiamo dall’organico. Ci sono diversi dati che saltano all’occhio ma nessuno più evidente del calo di rendimento dei veterani. Laddove pochi mesi fa l’inserimento in pianta stabile di Bogdan Bogdanovic nel quintetto titolare e la rinascita di Danilo Gallinari dalla panchina avevano pagato grossi dividendi nella rimonta degli Hawks, in questo avvio di stagioni i due europei hanno vissuto un momento terribile. Prima delle ultime due vittorie casalinghe, con loro in campo il Net Rating di Atlanta affonda a -9.6, ma la loro presenza non basta più a diversificare un attacco altrimenti predicato interamente sulle lune creative di Young.

 

Sia Bogdanovic che Gallinari stanno vivendo la peggior stagione della carriera in termini di assist ed entrambi sembrano in ritardo di un passo in termini di velocità-esplosività. Niente di così preoccupante, d’altronde siamo ancora a novembre. Nel caso dell’azzurro, l’aver disputato l’Olimpiade potrebbe essere un’ulteriore complicazione – considerata anche l’età non più giovanissima. 

 

 

 

Tutte le difficoltà in questo avvio di stagione di Gallinari riassunte nell’incapacità di pungere dal post contro un avversario più leggero di lui. L’azzurro non giocava e segnava (6.3 punti di media a sera) così poco dai tempi dell’anno da rookie a New York, anche se è in ripresa nelle ultime gare. 

 

Un discorso analogo lo si può fare per Capela, i cui numeri sono tornati sulla terra dopo una stagione à-la-Rudy Gobert. In questo caso probabilmente era lecito aspettarsi un calo: immaginarsi che lo svizzero potesse produrre con continuità serate da 15+15 e al contempo tenere gli avversari a medie di dieci punti percentuali inferiori alla media nei pressi del ferro sarebbe stato troppo idilliaco anche per una squadra che gioca nella città della TNT. Ma ancora peggio della normalizzazione statistica c’è la consapevolezza che i suoi giochi a due con Young appaiono meno problematici per gli avversari.

 

Capela resta uno dei miglior roller della NBA, ma se Atlanta è passata dal 64 al 59% nei pressi del ferro in parte c’è anche una maggiore predisposizione delle difese avversarie a proteggere il pitturato – anche a costo di concedere qualcosina al tiro (più su questo più avanti). Anche in questo caso, come per gli altri europei, non necessariamente è il caso di allarmarsi: Capela viene da un’estate dove ha sofferto un problema al tendine d’Achille e trovare la giusta contromossa agli aggiustamenti degli avversari fa parte di ogni naturale processo di crescita. La frenesia verticale del gioco aereo di Capela resta un elemento vitale nelle dinamiche offensive degli Hawks – e sarà interessante vedere come lo staff di coach McMillan deciderà di far fronte a questo momento di appannamento.

 

 

 

 

Nelle partite in cui lo svizzero ha chiuso con oltre il 63% dal campo Atlanta è imbattuta anche in questa stagione (3-0). Inoltre, un Capela sano potrebbe tornare a lucrare qualche possesso in più da rimbalzo d’attacco, un altro fondamentale dove Atlanta è calata rispetto a pochi mesi fa. 

 

Le ultime considerazioni sul roster non possono che riguardare la sezione “giovani”. Su Young e Collins in realtà non c’è molto da dire. Il primo sta compiendo l’aggiornamento alle nuove predisposizioni NBA in termini di regolamento, ma la linea editoriale resta la stessa degli altri anni: tanti floater, tanti spacca-caviglie, tanto volume di gioco dalla punta, pochi tiri da tre punti? In ogni caso il suo playmaking sembra essere ancora più raffinato, se possibile. Così come il contributo di Collins, ormai irrinunciabile al punto che senza di lui Atlanta viene surclassata di quasi 8 punti su 100 possessi.

 

Discorso molto diverso per De’Andre Hunter, Cam Reddish e Kevin Huerter. McMillan è stato chiaro: minuti per tutti non ce ne sono. Chi vuol giocare deve dimostrarlo con i fatti, possesso dopo possesso. Ma trovare una quadra non è facile. Huerter sta cercando di aggiustarsi nei quintetti in uscita dalla panchina ma le sue percentuali al tiro (soprattutto da tre, 31%) non lo stanno aiutando. Negli anni Huerter è sempre apparso più a proprio agio nell’agire da spalla di Trae Young, in una versione rivisitata e pure annacquata (sic) degli Splash Brothers. Ma McMillan, tenendo fede alla propria anima difensivista, quest’anno per il backcourt titolare è sembrato preferire Hunter, che nella metà campo difensiva offre garanzie superiori. Il fatto è questo: dal punto di vista statistico i dati di queste prime partite hanno dato ragione a McMillan. Nei 214 minuti in cui il quintetto di Atlanta è stato in campo (cioè nei minuti condivisi da Young, Bogdanovic, Hunter e i due lunghi Collins e Capela) gli Hawks hanno avuto un differenziale positivo di 3 punti e con 117 punti segnati su cento possessi sarebbero stati pure la miglior macchina da canestri della NBA.

 

Il problema riguarda trovare soluzioni concrete nei minuti e nei quintetti restanti. Per il momento McMillan sta forzando la mano al punto che il quintetto ad aver giocato più dopo quello sopra elencato non arriva a 50 minuti di utilizzo. Ouch. Soprattutto perché in quei minuti extra, per così dire, molto spesso agisce Reddish, la pedina sulla quale coaching staff e tifosi avevano riposto molte delle speranze in termini di imprevedibilità.

 

E di lui c’è ancora bisogno.

 

Rompere lo stallo e ripartire

Per colpa di un infortunio Reddish non aveva preso parte all’eccitante finale di stagione scorso e al suo terzo anno in NBA ai nastri di partenza erano in molti a chiedersi se questa potesse essere la stagione buona per compiere quel salto di qualità e diventare lo slasher/playmaker secondario di cui questa squadra avrebbe un disperato bisogno.

 

Sebbene i numeri siano decisamente migliorati rispetto agli inizi in NBA, con un 38.9% da tre e un ancor migliore 89% ai liberi che fanno ben sperare, Reddish appare ancora piuttosto acerbo sia nella selezione dei propri tiri che nella costruzione stessa. La sua meccanica non è ancora eccessivamente fluida e spesso si muove senza calcolare le proprie mosse, di puro istinto, il che lo porta ad aggiustarsi con fatica alle situazioni dinamiche, forzando tiri o prendendo la decisione sbagliata. Un realizzatore restio ad avvicinarsi al ferro che tira con il 30% dal palleggio dalla lunga distanza difficilmente riesce a fare la differenza in NBA, e Reddish non fa eccezione.

 

Ovviamente stiamo parlando di un ragazzo che ha da poco compiuto 22 anni, ma in un momento come questo – nel quale Atlanta sembra aver smarrito parte della propria identità offensiva – affidarsi a un giocatore imprevedibile e scostante non appare la migliore delle soluzioni.

 

 

 

 

Una tripla in stepback con ancora 16 secondi sul cronometro dei 24 senza far toccare palla a nessun altro decisamente non è la soluzione migliore. Reddish ha grandissimi margini di miglioramento, ma al momento è anche l’unico giocatore a produrre un differenziale positivo nei minuti in cui siede in panchina rispetto a quelli in cui gioca. 

 

Sotto il profilo stilistico non sono sicuro che la robusta dieta a base di tiri dalla media sia la soluzione giusta per invertire la rotta. Soltanto due squadre in questo avvio di stagione tentano più conclusioni dal midrange rispetto ad Atlanta, i San Antonio Spurs e i Phoenix Suns di Chris Paul – che dal midrange continua a spiegare il proprio tractatus sera dopo sera. L’aumento delle conclusioni dalla media non ha soltanto reso l’attacco degli Hawks più prevedibile, ma sta riducendo gli spazi per i tagli senza palla (di Capela e Collins, certo, ma anche degli altri esterni) e ha fatto crollare il numero delle conclusioni dalla lunga distanza – soprattutto quelle in situazioni di catch-and-shoot, un fondamentale nel quale Atlanta era tra le prime della classe nella scorsa stagione.

 

La cattiva notizia per Atlanta è che 3 resta un numero maggiore di 2; quella buona è che esistono diverse soluzioni per rompere lo stallo e ripartire. Sia dal punto di vista stilistico che sotto quello organico. Aumentare il ritmo e giocare maggiormente in transizione potrebbe aiutare, così come creare maggiore movimento lontano dalla palla nei pick and roll centrali tra Young e uno dei due lunghi – anche quest’anno al contempo la soluzione più usata e quella più efficace dell’arsenale offensivo di Atlanta. McMillan potrebbe decidere di reintrodurre Huerter in quintetto e usare Bogdanovic come fonte primaria della second unit. Inoltre è evidente come la difesa debba compiere un passo in avanti concreto. In questo momento soltanto Grizzlies e i derelitti Pelicans concedono più punti degli Hawks, mentre nessuno permette ai propri avversari di tirare sia col 70% al ferro che col 37% da tre come sta facendo Atlanta.

 

 

https://twitter.com/rayfordyoung/status/1459375846662234113?s=20

Ad ogni modo, neppure il padre di Trae Young sembra preoccupato.

 

Il problema è la scelta

Esiste anche una soluzione più estrema: muoversi sul mercato. Gli Hawks gestiscono uno degli arsenali (tra giovani e pick) di maggior prestigio nella NBA e le scelte di Atlanta fanno sempre gola. Sebbene la città sia meta gradita da molti giocatori, specialmente per la sua vita notturna, la franchigia non possiede quello status che si confà alle big della lega. Un broncio di Trae Young e tutto può cambiare. Anche perché la proprietà ha già dimostrato di non essere eccessivamente paziente e la testa del General Manager Trevis Schlenk è apparsa traballante nel corso dei mesi che avevano portato all’avvicendamento di McMillan in panchina.

 

In questo momento gli Hawks danno di sentirsi a disagio all’interno della loro stessa comfort zone. Le regular season NBA spesso sono rivestite di carta velina e vanno dove tira il vento: una tripla, una giocata decisiva, il più piccolo dei momenti può cambiare le sorti di ogni squadra. L’infortunio di Hunter ha costretto (permesso?) McMillan di tornare a quello starting five che tanto aveva fatto bene lo scorso anno. Risultato: due vittorie schiaccianti contro Bucks e Orlando Magic. Tuttavia, è innegabile che gli Hawks – al netto delle ultime vittorie contro Bucks e Magic – siano alla ricerca di qualcosa e che questo non so che, quantomeno fino a questo momento, non siano riusciti a trovarlo al proprio interno.

 

Sembra quasi che l’anima della squadra sia spaccata a mezzo tra la volontà di riassaporare immediatamente quelle dolci emozioni da playoff e una prospettiva più a lungo termine – dando ai giovani il tempo necessario per farsi le ossa. E non c’è niente di peggio di stare in un limbo del genere, perché una sera Reddish azzecca ogni singola lettura e sembra un giovane Tracy McGrady e la sera dopo ti accorgi che in tre anni a 132 assist corrispondono 152 palle perse. Ovviamente è un esempio: sostituite il nome dell’ex Duke con quello di Huerter o Hunter o Okongwu e la situazione resta la stessa.

 

Se fossimo all’interno di una trilogia cinematografica potremmo dire anche ancora una volta il problema è la scelta: giocare sul lungo periodo o sacrificare qualcosa e vincere subito. Ma le stagioni NBA non aspettano i titoli di coda, e se non vogliono vedersi sfuggire la stagione dalle mani gli Atlanta Hawks farebbero bene a ritrovare la strada giusta al più presto. Niente è compromesso. Per ora. 

 

Tags : atlanta hawkstrae young

Nasce a Firenze nel 1990, si è fatto adottare dagli sport americani ancora in fasce. Scrive e parla di NBA con la speranza di ritrovare se stesso.

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