Ogni anno quando ci approcciamo all’incombente stagione NBA ci facciamo sempre grossomodo le stesse domande: quale sarà la squadra da battere? Chi vincerà il premio di MVP? Quale sarà il primo giocatore a venire scambiato? E dove? Con così tanta carne al fuoco tra nuovi sistemi di gioco e adrenalina-da-ripartenza è normale guardare al grande insieme che contiene l’intero universo NBA, arrovellandosi sui temi più ampi mentre si mettono alla prova le proprie capacità di previsione.
Ma siamo sicuri che queste siano le questioni che ci interessano davvero? Certo, l’idea che la nostra squadra del cuore possa vincere tutte le partite è attraente, ma non è che c’è qualcos’altro che ci tiene in piedi alzati ogni notte? Qualcosa di più difficile da afferrare, ma anche estremamente più intrigante? Non sto parlando dei tabellini dei giocatori che abbiamo scelto nelle nostre squadre fantasy, ma della possibilità di scoprire una realtà ancora inesplorata: la nascita di una stella, la consacrazione di un nostro vecchio pupillo, il seguire l’evoluzione di quel giocatore di cui ci eravamo segnati il nome nelle ultime partite della stagione precedente. Dopotutto, non è forse vero che i giovani sono il volto della ripartenza?
In questo articolo ne abbiamo scelti dieci da tenere d’occhio nel corso dei prossimi mesi: nomi magari meno appariscenti dei soliti ruba-copertina come Luka Doncic o Zion Williamson, ma che dalla traiettoria delle rispettive carriere potrebbe dipendere un pezzo della prossima stagione e di quelle successive.
Tyler Herro
Magari non avrà il physique du rôle del tradizionale giocatore franchigia, ma Herro possiede sufficiente faccia tosta e talento per ritagliarsi un ruolo fondamentale nel futuro dei Miami Heat. Chiunque abbia visto anche solo qualche azione delle sue partite nella bolla di Orlando non può non essere rimasto colpito da quel (allora) playmaker 19enne, ambidestro, capace di scansionare il campo correttamente e di crearsi un tiro dal palleggio in ogni situazione. Herro sembrava indirizzato verso i primissimi gradini della gerarchia degli Heat, ma la realtà è andata a infrangersi sull’enorme muro delle aspettative.
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C’è da dire che le prestazioni in questa preseason sono state molto incoraggianti.
Herro non ha fatto così male al suo secondo anno nella lega – 15 punti, 5 rimbalzi e 3.4 assist di media a sera, tutti numeri migliori rispetto alla prima stagione – ma il suo talento è apparso ridimensionarsi, come se quelle stesse cose che gli riuscivano così spontanee pochi mesi prima fossero state cancellate non appena scoccata la mezzanotte, non appena lui e gli Heat (che paradossalmente hanno subito una metamorfosi simile) sono usciti dalla bolla per tornare nel mondo reale.
Mi chiedo se non sia stata la bramosia di vederlo esplodere a manipolare il giudizio reale. Se andiamo a vedere i dati, ci accorgiamo che Herro nella scorsa stagione è migliorato in molti aspetti del suo gioco. La sua selezione di tiro si è fatta più conforme agli standard moderni, tentando 40 conclusioni in più al ferro – e passando dal 56.4% a 64.5% in questa particolare situazione. Lo stesso si può dire sia del suo gioco dalla media distanza (da 39.4% a 43%) che della sua gestione dei pick and roll (da 0.68 a 0.91 punti per possesso). Gli unici dati in calo rispetto alla stagione da rookie riguardano le percentuali al tiro, un ridimensionamento che però era lecito aspettarsi visto che Herro aveva chiuso la stagione nella top-10 per efficienza sia in situazioni di spot-up che di catch and shoot. È bene far notare, inoltre, come in realtà gli Heat siano stati una squadra migliore con Herro seduto in panchina sia al suo primo anno che nella passata stagione; perfino nei memorabili playoff giocati a Disney World Miami aveva un Net Rating decisamente migliorare nei minuti senza di lui (+9.5) rispetto a quando era in campo (-0.6).
Il fatto che è che Herro è stato posto nella posizione più scomoda possibile, dovendo imparare giorno dopo giorno quello che tutt’ora è il ruolo più difficile della lega (cioè il creatore di gioco con grosse responsabilità con la palla in mano) all’interno di una squadra già pronta e desiderosa di vincere. Ma se un coaching staff esperto come quello di Miami lo ha esposto a una tale pressione è soltanto perché loro in primis sono convinti che Herro possa diventare un giocatore davvero speciale. Anzi, che lo sia già in questo momento. Basti pensare a come Herro sia il giovane ad aver giocato meno minuti insieme a Butler, dovendo tenere in piedi delle second unit spesso raffazzonate e poco talentuose. Ecco perché Herro si approccia a questa cruciale stagione come giocatore simbolo di questa categoria di giovani sospesi a metà tra dolori di crescita e prospettive future, ma anche come X-Factor che potrebbe determinare un pezzo di storia futura.
Collin Sexton
A proposito di guardie giovani con enormi responsabilità. Sexton si presenta al suo quarto anno con grandi incertezze sul suo futuro – e questo nonostante una scorsa stagione da 24.3 punti e 4.4 assist di media a sera tirando con il 48% dal campo, il 37% da tre e oltre l’80% ai liberi. Capire quali siano i piani a lungo termine dei Cavs non è impresa semplice, e sciogliere il nodo gordiano che avvolge lui e Darius Garland appare ancora più intricato. Sexton è una trottola impazzita in grado di penetrare tra le linee nemiche con un’efficacia da primo della classe: soltanto James Harden, Luka Doncic, Trae Young e DeMar DeRozan hanno segnato più punti di lui arrivando fino al ferro nelle ultime due stagioni. Inoltre, dal suo ingresso nella lega ha saputo smussare il proprio gioco, imparando ad agire lontano dalla palla, arrivando a toccare l’83° percentile in situazioni di spot-up.
Inoltre è “The ultimate teammate”: guardate come non batta ciglio nonostante la schiacciata di Collins (a differenza di tutta la panchina dei Cavs).
Il problema è che nei 2.354 minuti in cui finora le due guardie hanno condiviso il terreno di gioco i Cavs sono stati sovrastati dagli avversari di quasi 10 punti su 100 possessi. Un dato tremendo, considerato soprattutto l’upside mostrato da Garland nella scorsa stagione. Tuttavia, Sexton resta un giocatore estremamente divertente da veder giocare: un piccolo bulldozer dalla grandissima stamina (appena 12 partite saltate in tre anni) e con una ferocia agonistica genuina. Un giocatore a volte quasi brutale, un assaltatore con la mentalità di un running back NFL, e che in attesa del prossimo contratto appare ben posizionato per entrare nella top-15 dei marcatori NBA. Non una cosa da poco, indipendentemente da tutto.
Jaren Jackson Jr.
Dopo aver disputato appena 19 partite ufficiali nel corso degli ultimi 20 mesi, Jaren Jackson Jr. ha finalmente potuto godere di un’intera estate senza infortuni o ricadute, potendo lavorare sul proprio fisico e sul proprio gioco nella speranza di tornare a essere una pedina di assoluta centralità nel progetto di Memphis – che dopo aver scambiato Jonas Valanciunas per Steven Adams durante l’estate avrà ancora più bisogno dell’impatto di JJJ nella metà campo offensiva.
Questo è il livello di impatto offensivo di cui hanno bisogno i Grizzlies per fare un ulteriore salto di qualità.
Le oltre 400 triple tentate dalla zona centrale del campo con percentuali che sfiorano il 38%, sommate alla crescita (questa intravista anche nelle pochissime partite della scorsa stagione) nei pressi del ferro, ne fanno un complemento perfetto nei pick and roll attorno ai quali si sviluppa l’attacco di Memphis. Nel corso della sua carriera Jackson Jr. ha saputo migliorare il proprio gioco in post, così come la sua capacità di tagliare al momento giusto verso il ferro; inoltre, nell’anno di forzata inattività ha messo su massa e questo gli tornerà utile in situazioni di rimbalzo e di protezione del ferro, dove, almeno finora, i suoi numeri sono piuttosto mediocri in relazione allo specimen fisico.
I Grizzlies degli ultimi tre anni sono un laboratorio nel quale giovani speranze in cerca di una vetrina e veterani desiderosi di rilanciarsi venivano riprogrammati da uno dei coaching staff più competenti in circolazione. Ja Morant è il cuore al cui battito si muove tutta la franchigia, ma la dirigenza sa bene che per compiere un ulteriore salto di qualità c’è bisogno di talento, di qualità, di star power puro. E Jackson Jr., almeno sulla carta, possiede tutto il necessario non soltanto per esplodere nel front-court ma anche per accoppiarsi a meraviglia con Morant. Inutile dire che una grossa fetta del futuro della franchigia passa dalla sua evoluzione dei prossimi mesi: l’estensione da 105 milioni in quattro anni appena firmata ne è la dimostrazione.
Tyrese Haliburton
Uno dei giocatori più elettrici da veder giocare nella NBA, inserito in una squadra incapace di difendere organicamente e volenterosa di spingere sull’acceleratore. Dopo aver preso le misure in una campagna da rookie da 13 punti, 3 rimbalzi e 5.3 assist di media a sera, Haliburton si prepara a entrare definitivamente nei vostri schermi a suon di passaggi laser e assist che sembrano colpi di biliardo.
Batti le ciglia e la palla non c’è più.
Ancora più sorprendente della visione, Haliburton ha fatto registrare una delle stagioni da rookie più precise al tiro, chiudendo con il 47% dal campo, il 40% da tre e l’85% ai liberi. La sua mappa di tiro è ancora acerba, figlia di una guardia alle prime armi nella lega, ma priva di macchie: 68% al ferro, un 48% al di fuori del pitturato che certifica la sua gamma di morbidi floater, ben oltre il 40% dagli angoli e soprattutto un tondo 40% dalla zona centrale del campo – su oltre 200 triple tentate.
Il fatto che tre quarti delle sue conclusioni sia arrivata con un difensore distante almeno tre metri potrebbe spiegare l’efficacia, così come mettere in questione la futura riuscita dal momento che difficilmente le difese avversarie gli lasceranno le stesse libertà quest’anno. Ma Haliburton possiede una comprensione del gioco di altissimo livello, una dote che riesce ad esprimere tecnicamente scansionando il campo in tempo reale senza perdere punti di riferimento. Una capacità rara (nonché entusiasmante) per un giocatore così giovane, e che i Kings dovranno spremere il più possibile per non confinarsi all’ennesima stagione sottotono della loro storia recente.
OG Anunoby
Nonostante una lunga serie di infortuni, Anunoby è riuscito a migliorarsi di stagione in stagione, passando dai 5.9 punti dell’anno da rookie ai 16 (che sono diventati 18.3 dopo la pausa per l’All-Star Game) dello scorso anno. E se da una parte una grossa fetta dei suoi numeri offensivi continua ad essere indotta dal sistema dei Raptors, con 5.4 triple sulle 6 tentate di media a sera che arriva in situazioni di catch and shoot, il coaching staff di Toronto ha già iniziato a sottoporlo alla stessa dieta che ha fatto esplodere Pascal Siakam. Più controllo del pallone, più possessi da ball handler in situazioni di pick and roll e migliori linee di penetrazione verso il ferro – dove in tre anni è passato dal 62 al 68%.
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Non male neanche l’esordio in preseason.
Abbinando elasticità a grande forza fisica, in un telaio che ricorda un Kawhi Leonard 2.0, Anunoby è il classico esempio di Quanto Sarebbe Pazzesco Se… reso vano dai pochi miglioramenti sotto il profilo tecnico. Ma in una stagione in cui i Raptors dovranno giocoforza continuare a lavorare sul materiale a propria disposizione in attesa di maggiore chiarezza sulla direzione futura della franchigia, investire qualche chip sull’esplosione di OG non appare così sbagliato. Soprattutto perché considerati i parametri difensivi – dove Anunoby è già adesso sia uno dei migliori difensori in uno-contro-uno sul perimetro che nei pressi del ferro, con un insindacabile -7% concesso agli avversari con lui nei paraggi – un eventuale crescita offensiva ne farebbe uno dei two-way player più forti della lega.
James Wiseman
È ingiusto, quando si parla di giocatori così giovani e con così poca esperienza alle spalle, parlare di stagione della carriera, ma per Wiseman siamo già a questo punto. Le sue potenzialità sono evidenti: pochissimi altri giocatori, persino a questo livello, possiedono la stesso trittico di coordinazione, atletismo e rapidità in relazione alla stazza dell’ex prodotto di Memphis. Il problema è che anche i limiti sono altrettanto palesi, con una comprensione del gioco ancora acerba e un’involontaria indole a usare il proprio fisico invece del proprio senso tattico quando si tratta di patrocinare il proprio ferro.
Un manifesto delle potenzialità fisiche e tecniche di Wiseman. Il punto, semmai, è riuscire a unire i trattini del suo gioco una volta per tutte.
Come se non bastasse Wiseman inizierà la stagione da infortunato, con il problema al menisco che lo costringerà a raggiungere in corsa un gruppo che già nella passata stagione ha dimostrato di dare il meglio senza di lui (+4.7 di Net Rating che diventa +12 nei minuti in cui Steph Curry e Draymond Green hanno condiviso il campo senza di lui). Gli arrivi di Otto Porter e Andre Iguodala, oltre al rientro di Klay Thompson e la conferma di Juan Anderson-Toscano, non soltanto fanno di Golden State la mina vagante della Western Conference, ma amplificano un quadro tattico che sembra escludere la presenza di un giocatore come Wiseman, sul quale già negli scorsi mesi si sono sentiti rumors su possibili trade.
Tuttavia il talento resta il talento, e Steve Kerr sa bene che nel corso di una lunga stagione NBA ogni goccia di talento a disposizione è ben accetta. Anche perché a 31 anni già compiuti Green non può giocare ogni minuto da centro e la presenza di una “minaccia” verticale come Wiseman (75.4% nei pressi del ferro nell’anno da rookie) può tornare utile per variegare la proposta offensiva. Forse stagione della vita è un po’ eccessivo per un classe 2001, però molta della credibilità ad alto livello della sua carriera si gioca nel corso dei prossimi mesi.
Darius Bazley
Avendo un roster imbottito di giovani interessanti, quasi ogni giocatore degli Oklahoma City Thunder meriterebbe una menzione. Ma avendo già trattato precedentemente sia Alexei Pokusevski che Luguentz Dort, perché non cogliere l’occasione per puntare i riflettori sul Darius Bazley? Bazley è un giocatore che spesso non salta all’occhio, il cui gioco risiede più nella quantità che nella qualità, ma che nella passata stagione ha iniziato a porre le fondamenta di un wing creator di livello.
Nell’anno da rookie il 50% della produzione offensiva di Bazley arrivava da situazioni di spot up. Nel corso della passata stagione questo numero è sceso sotto il 30%, con Bazley che è cresciuto molto nelle letture, imparando quando attaccare il ferro e come.
Bazley è ancora molto acerbo e soltanto nelle ultime 30 partite della passata stagione ha iniziato a proporsi come creatore primario. Il suo tiro è ancora in divenire e per ogni assist corrisponde quasi matematicamente una palla persa, ma i suoi istinti per il gioco sono genuini, così come le sue letture e il suo gioco di piedi. Nella metà campo difensiva è già in grado di tenere botta sul perimetro contro avversari più rapidi di lui, mentre con un’apertura di braccia tra le più ampie della lega la sua presenza sul lato debole lo rende pericoloso come ruba palloni.
Sarà interessante vedere se in questa stagione i suoi progressi nella metà campo offensiva andranno di pari passo con quelle che sono le esigenze della squadra. Bazley ha chiuso i due mesi dell’anno precedente con 17.2 punti e 6.6 assist di media tirando con appena il 40% dal campo. Cosa succederebbe se riuscisse a compiere anche solo un primo passo in avanti in termini di efficienza?
Cam Reddish
Essendosi infortunato esattamente una settimana prima che la dirigenza decidesse di licenziare Lloyd Pierce e promuovere Nate McMillan come capo allenatore, Reddish si è perso il momento in cui gli Atlanta Hawks sono diventati la squadra che sono adesso. L’evoluzione della squadra capace di vincere 27 delle ultime 38 partite di regular season per poi andare a due vittorie dalle FinalsNBA si è manifestata nel momento in cui Reddish è scomparso dalle rotazioni. Al tempo stesso, una maturazione di Reddish permetterebbe ad Atlanta di compiere un ulteriore salto di qualità.
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Possibile candidato a Sesto Uomo dell’Anno? Un po’ presto per dirlo, ma con Lou Williams compagno di squadra mai dire mai…
Nelle prime due stagioni da protagonista Reddish ha continuato a mostrare quelle incongruenze tecniche intraviste nell’anno a Duke al college. La sue letture sono di basso livello: ancora oggi Reddish raramente riesce a trovare un compagno smarcato, spesso i suoi extra-pass sembrano figli di un’impossibilità nell’arrivare a una soluzione in solitario. Al tempo stesso la sua mappa di tiro presenta ben più di un problema: soltanto nella passata stagione Reddish ha tentato quasi lo stesso numero di tiri al ferro (74) che in tutto il resto dell’area, e la mano da fuori continua ad essere tutt’altro che raffinata.
Le possibilità che Reddish possa diventare un fulcro primario per questa squadra sembrano essersi esaurite del tutto, ma non è detto che questo sia di per sé un male – né per lui, né per gli Hawks. Reddish potrebbe trovare la propria dimensione da sesto/settimo uomo in uscita dalla panchina, in quintetti dove mettersi in proprio in attacco non è così una cattiva idea. L’imprinting difensivo dato da McMillan ha già mostrato i suoi frutti con il quintetto titolare, assorbendo i limiti di Young all’interno di uno schema più ampio: potrebbe funzionare una cosa simile anche per Reddish e un ipotetica second unit? Reddish si trova in una posizione tanto strana quanto intrigante, e nel giro di poche settimane potrebbe diventare un elemento fondamentale all’interno di una squadra dalle grandi ambizioni.
Lonnie Walker IV
Gli Spurs hanno una lunga lista di giovani che, chi per un motivo chi per un altro, dovranno dimostrare il proprio valore nei prossimi mesi. Nessuno, però, è atteso alla stagione della consacrazione più di Lonnie Walker, già eleggibile per un’estensione contrattuale e che nei primi tre anni da professionista ha fatto vedere più ombre che luci. Walker è un fante d’assalto, un esterno dotato di buona tecnica e un primo passo esplosivo che vorrebbe fare della fisicità in area il tratto distintivo del proprio gioco. Finora, però, i risultati sono stati deludenti, con Walker spesso incapace di trovare il modo di seminare il proprio avversario finendo col dover compiere scelte troppo sofisticate per il suo livello di comprensione del gioco.
Nel “suo” mondo perfetto, Lonnie Walker chiuderebbe tutte le azioni così.
Il risultato sono pochi tiri al ferro (155) rispetto al totale delle conclusioni in area con un 57.4% che gli impedisce di guadagnarsi spazio per operare sul perimetro. Se è vero che il numero delle sue triple si è quasi triplicato (da 1.4 a 4.7), lo è anche che la maggior parte avviene ancora in catch and shoot – e con percentuali piuttosto mediocri. Walker dovrà dimostrare di poter diventare la dinamo in uscita dalla panchina in grado di aggiungere quel pizzico di follia al sistema generale. Il fatto che Popovich abbia già dichiarato che gli Spurs correranno di più in transizione potrebbe aiutarlo, così come il fatto che San Antonio non potrà più proteggersi dietro la coperta dei propri veterani.
Bere o affogare, dice il detto. Fare proclami dalle parti dell’Alamo è sempre operazione complessa, ma stavolta non ci sono dubbi che i San Antonio Spurs abbiano premuto il pulsante del rebuilding. San Antonio avrebbe avuto le possibilità economiche per rinforzare il proprio roster nel corso dell’ultima sessione di mercato ma non lo ha fatto, consciamente, evitando di incartarsi in una chimera che già da qualche stagione aveva perso di lucentezza per concentrarsi sul proprio futuro a lungo termine.
Talen Horton-Tucker
Già nella seconda parte della scorsa stagione Horton-Tucker aveva dimostrato di poter diventare un pezzo importante nella macchina dei Lakers, aggiungendo dinamismo e multidimensionalità nel reparto esterni in uscita dalla panchina. Ora però il suo contributo rischia di diventare imprescindibile dato che tra lui e l’esterno più giovane a roster (Kent Bazemore) corrono undici anni d’età.
Il ventenne da Iowa State è tutt’altro che un giocatore finito, ma i suoi mezzi fisici sono tanto impressionanti quanto utili. La velocità con cui riesce a muoversi sarà un elemento prezioso per aggiungere imprevedibilità all’attacco gialloviola, e con due vecchie volpi come Russell Westbrook e LeBron James al timone aspettatevi almeno un paio di esplosioni a canestro tagliando dal lato debole.
Seppur un po’ sottodimensionato, Horton-Tucker possiede un motore molto potente, due mani enormi e un’apertura alare ancora più imponente. Scrollarselo di dosso è quasi impossibile e nell’inseguire gli avversari sul perimetro è già oltre l’80° percentile in tutta la lega. Nei 43 minuti in cui lui, LeBron e Anthony Davis hanno condiviso il campo finora i Lakers possiedono un Net Rating di +25.3 e hanno concesso la miseria di 87 punti su cento possessi. Certo, il campione è ancora molto piccolo, ma se esiste un giocatore capace di scalare diverse gerarchie all’interno di una contender quello può davvero essere Horton-Tucker.