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Flavio Fusi

Napoli, che succede?

I cinque demoni che hanno sconfitto il Napoli a Udine.

 

Il Napoli avrebbe dovuto rispondere alla vittoria della Juventus con l’Empoli, tornare a casa da Udine avendo mantenuto intatto il distacco di tre punti dai bianconeri e tenere vive le speranze di rimonta. E invece il distacco aumenta, la speranza cala e nelle prossime (quante?) partite dovrà anche fare a meno del suo giocatore più decisivo e insostituibile. Maurizio Sarri (costretto a rinunciare a Pepe Reina, uno dei  “titolarissimi”) si è scontrato con un’Udinese messa bene in campo da De Canio e, sopratutto, affamata di punti salvezza. Così, come è successo con il Bologna a dicembre, giocare all’ora di pranzo si è rivelato fatale per la formazione partenopea, che in un solo colpo ha perso la partita, la testa e probabilmente lo scudetto.

 

Passo subito ad elencare cinque spunti di riflessione per relativizzare una debacle durissima sul piano psicologico per i partenopei.

 

1. Merito anche di Luigi De Canio

Prima di essere chiamato a sostituire Colantuono sulla panchina dell’Udinese, De Canio, che ha casa e affetti a Vico Equense, comune del golfo di Napoli, si era disimpegnato come opinionista tv per alcune emittenti televisive napoletane: alla luce del risultato e dell’atteggiamento con cui i bianconeri hanno affrontato la partita è lecito pensare che quella esperienza, e l’esperienza accumulata come semplice osservatore in quel periodo, sia stata fondamentale nella preparazione della partita.

 

De Canio sembra aver identificato nei rapidi cambi di fronte, con ricerca dell’ampiezza, il punto debole della difesa a zona del Napoli. Dall’inizio alla fine della partita l’Udinese ha sviluppato le sue azioni lungo una corsia in modo da attirare il pressing del Napoli e far scorrere la difesa da quella parte, per poi cambiare gioco improvvisamente in diagonale (in particolare da sinistra verso destra).

 

De Canio non voleva dare alla difesa di Sarri il tempo di scivolare lateralmente, creando così l’isolamento in cui i suoi esterni potevano sfruttare la loro velocità. La difesa del Napoli dà il meglio di sé quando difende collettivamente: ma costretta a difendere uno contro uno, ha perso la propria stabilità.

 

2. Le ottime prestazioni individuali dell’Udinese, soprattutto quella di Silvan Widmer 

Nel 3-5-2 dell’Udinese, Zdravko Kuzmanovic, centrale del terzetto di centrocampo, era deputato a smistare il gioco da una parte all’altra del campo, e ha trovato in Widmer il compagno ideale per attuare al meglio questo tipo di strategia.

 

L’azione del primo rigore: Kuzmanovic cambia il gioco diagonalmente per la corsa di Widmer. Nello scivolamente difensivo del Napoli si apre un varco tra Koulibaly e Ghoulam in cui il laterale svizzero si infila prontamente. Nell’azione subentra Badu che viene atterrato da Koulibaly.

 

Tutti i giocatori dell’Udinese hanno interpretato bene le indicazioni del proprio tecnico, ma lo svizzero ha probabilmente fornito la sua miglior prestazione stagionale: protagonista in occasione di entrambi i rigori, assistman per il terzo gol di Théréau che ha chiuso la partita.

 

3. De Canio e il manuale di come si difende contro il Napoli

“Gigi” De Canio non è stato meno attento nella preparazione della fase difensiva della sua squadra: i bianconeri hanno scelto di affrontare i partenopei con uno spiccato riferimento all’uomo, soprattutto nelle zone centrali del campo dove si sono viste vere e proprie marcature.

 

Il 3-5-2 dell’Udinese diventava un 3-5-1-1 quando il Napoli cominciava l’azione: Zapata (poi sostituito da Matos), disturbava la costruzione dei due difensori mentre Théréau rimaneva qualche metro più dietro in marcatura su Jorginho. Le due mezzali, Badu e Bruno Fernandes, marcavano Hamsík e Allan, mentre Kuzmanovic restava libero da una marcatura specifica per offrire flessibilità e maggiore stabilità all’intero sistema: fornendo copertura ai compagni o marcando a sua volta i giocatori del Napoli che lasciavano la propria posizione per venire incontro al portatore di palla.

 

Théréau marca a uomo Jorginho, mentre Fernandes è su Allan. Hamsik si abbassa e si allarga cercando di ricevere palla, ma viene seguito prontamente da Badu. In contemporanea Insigne ne prende il posto a centrocampo, ma Kuzmanovic risponde marcandolo.

 

Jorginho cerca spazio per sottrarsi alla marcatura di Théréau ma il suo movimento non migliora la struttura del Napoli, anzi facilita il compito dell’Udinese che non solo marca Allan ed Hamsík con le mezzali e Kuzmanovic in copertura, ma può contare sulle schermature ad opera di Zapata e dello stesso Théréau.

 

Questa situazione di stallo centrale costringeva i terzini del Napoli a rimanere bassi per offrire sfogo alla manovra, togliendo a Sarri una delle sue principali armi offensive e peggiorando la struttura posizionale partenopei. A loro volta, i tre centrali difensivi dell’Udinese (Herteaux, Danilo e Felipe) si orientavano su Callejón, Higuaín e Insigne ogniqualvolta entravano nella loro zona di competenza, mentre Widmer e Armero si abbassavano sulla loro stessa linea, rafforzando una frontiera che il Napoli non è riuscito a destabilizzare con continuità.

 

L’Udinese difende a 5 con Herteaux su Callejón, Danilo su Higuaín e Felipe su Insigne, mentre il pressing in avanti causa distanze errate e mancato supporto nello schieramento del Napoli.

 

4. Le pessime prestazioni individuali di alcuni giocatori del Napoli: specialmente Gabriel

Va detto che Sarri è stato anche tradito dai propri uomini, o meglio: da alcuni errori individuali davvero imperdonabili. Per fare un esempio, in occasione dei due rigori fischiati all’Udinese sia Koulibaly che Ghoulam avrebbero potuto assumere un atteggiamento decisamente più conservativo, più prudente. Ma anche Gabriel, autore di una parata decisiva sul secondo rigore di Fernandes dopo che aveva intuito anche la traiettoria del primo, non ha brillato nelle azioni del secondo e del terzo gol.

 

 

Sul gol della doppietta di Fernandes, ha perso malamente palla dopo aver ricevuto un retropassaggio di Ghoulam e, oltre all’errore tecnico compiuto svirgolando il pallone, Gabriel ha sbagliato nel modo in cui si è reso disponibile al compagno: con Zapata che accorreva, avrebbe dovuto farsi trovare più avanti, anziché schiacciato verso la propria porta, o perlomeno avrebbe dovuto venire incontro al pallone. Oppure, una volta ricevuto il passaggio, avrebbe dovuto orientare il controllo verso la propria destra, dove Albiol si era liberato.

 

E in una squadra che fa della costruzione dal basso uno dei propri punti di forza, dettagli del genere sono come piccole fratture nella carena che fanno affondare tutta la nave.

 

Ma anche sul gol di Théréau che ha chiuso il match, seppur ci sia l’ulteriore errore di Albiol in marcatura, Gabriel non ha mostrato la decisione necessaria: con il pallone già in fascia e con il cross quale unica opzione a disposizione di Widmer avrebbe dovuto far valere la propria autorità, spingendosi fuori dall’area piccola.

 

Rimanendo in porta si è precluso la possibilità di intervenire sul traversone dalla destra, e tolta quella non restava molto altro che sperare nell’errore dell’avversario o in un miracolo.

 

5. Il tarlo psicologico e la necessità di una disinfestazione

Durante il corso della stagione il Napoli si è reso protagonista di diverse rimonte e il gol di Higuaín sembrava il preludio all’ennesimo recupero. Il secondo gol di Fernandes e il 3-1 di Théréau hanno affossato gli azzurri che, però, sono sembrati particolarmente nervosi già dall’inizio della partita. Dopo nemmeno mezz’ora di gioco Sarri, per l’ennesima volta, si è fatto espellere dopo ripetute e immotivate proteste nei confronti dell’arbitro successive ai due rigori fischiati all’Udinese.

 

Ad un quarto d’ora dal termine, invece, è stato Higuaín a rispondere ad una provocazione di Felipe e a guadagnarsi il secondo giallo. Poi ha perso la testa, tanto da mettere le mani addosso all’arbitro Irrati (letteralmente, è quello che ha fatto, né più né meno, e ognuno giudicherà la gravità del gesto come vuole) prima di rientrare furioso negli spogliatoi. Una scenata che probabilmente gli costerà più cara di quello che pensava sul momento, e magari anche più di quello che gli sarebbe costato con un clima più sereno. L’ironia sta nel fatto che l’interesse dell’opinione pubblica italiana in merito al rapporto tra arbitri e giocatori si è concentrata sulla protesta del pubblico anti-juventino per le proteste di Bonucci, e adesso questo tipo di retorica potrà essere strumentale al pubblico anti-napolista.

 

Ma il Napoli deve meditare a fondo sul suo stato interiore. Il nervosismo mostrato alla Dacia Arena si spiega con la rimonta subita dalla Juventus, certo, ma più in profondità, probabilmente, con il fatto che la squadra di Sarri non sente di essere in tutto e per tutto artefice del proprio destino, schiacciata cioè dalla pressione di dover mantenere l’insostenibile ritmo dei bianconeri.

 

Vincere 20 partite delle ultime 21 di campionato, non è un obiettivo ragionevolmente raggiungibile per nessuno, ma questo, oltre alla comprensibile frustrazione, potrebbe anche aiutare a farsene una ragione. E invece, il tarlo psicologico ha consumato le energie psicologiche di Sarri e dei suoi, cominciando quando hanno ceduto il primato in classifica, continuando poi perdendo un punto dopo l’altro.

 

Adesso, con sei lunghezze di ritardo a sette giornate dalla fine, le speranze di rimonta sembrano minime, ma anche in questo caso più che per l’aritmetica è lo stato di forma della Juventus, che non sembra prossima a un calo di nessun tipo, a togliere aria a Sarri e co.

 

Al Napoli forse non resta che pensare a quanto di buono fatto finora: in meno di un anno Sarri ha costruito una squadra che esprime un gioco con pochi uguali a livello europeo e che può contare su individualità di primissimo piano. L’obiettivo deve essere quello di consolidarsi a questi livelli con l’umiltà e l’impegno messo in campo finora, indipendentemente dai propri passi falsi e dai risultati altrui. In questo senso le scuse e le sterili polemiche alimentate nel post-partita, fanno tutto tranne che il bene della squadra.

 

L’idea che il Napoli avesse solo questa occasione per vincere il campionato, favorito magari dalla falsa partenza della squadra di Allegri, non è necessariamente vera, rischia di essere una di quelle profezie autoavveranti che hanno bisogno della complicità di tutti. Un pensiero, insomma, che farebbero meglio a scacciare dalla propria testa sostituendolo con un futuro di duro lavoro, sì, ma che potenzialmente potrebbe regalare qualche soddisfazione anche nel medio periodo.

 

 

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Flavio Fusi è nato nel 1993 e vive ad Arezzo. Laureato in Management, lavora per una startup tech e collabora anche con il sito di analytics StatsBomb.