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Emanuele Atturo

MVP: Dries Mertens

Signore e signori: il miglior giocatore della stagione di Serie A.

Ogni volta che si apre la discussione per il premio di MVP c’è confusione. Specie nel calcio, dove questo titolo esiste solo su un piano virtuale e il suo senso è difficilmente sovrapponibile a quello della NBA, il suo contesto originario. Bisognerebbe innanzitutto accordarsi per la definizione del concetto.

 

Nella NBA per MVP si intende il giocatore di maggiore valore, quello che dà più lustro alla lega. Semplifico: quello che mettereste sulla copertina di un videogioco sulla Serie A. I giocatori, quindi, che per immaginario e valore oggettivo possiamo considerare le stelle del campionato. Se prendiamo per buono questo criterio non solo moltissimi i nomi da menzionare.

 

Fra questi, poi, bisognerebbe eleggere il giocatore che ha avuto le prestazioni stagionali migliori, meglio ancora se queste prestazioni hanno inciso su dei risultati di squadra eccellenti. Se dovessimo insomma utilizzare questo metodo, Dries Mertens non dovrebbe far parte dei papabili vincitori del premio. Chi avrebbe inserito Mertens tra le stelle del campionato a inizio stagione? E poi, ha avuto una grande stagione personalmente, ma oltre al fatto che non ha contribuito a un titolo, non possiamo neanche dire che sia il giocatore più decisivo all’interno del sistema del Napoli.

 

Eppure, in queste votazioni Mertens ha ricevuto praticamente un plebiscito: è stato il più votato sia nel conteggio redazionale che in quello del pubblico, che gli ha dato il doppio dei voti di Hamsik. Personalmente non sono d’accordo: Mertens non è neanche il miglior giocatore della sua squadra (o qualcuno vuole spodestare “re Marek”?) perché dovrebbe esserlo del campionato?

 

Le ragioni, allora, vanno ricercate nel fatto che fino allo scorso anno Mertens era completamente un altro giocatore. Pochi mesi fa era un’ala dribblomane con un repertorio piuttosto limitato da cui attingere: per lo più dribbling a rientrare e tiri in porta. Aveva uno stile troppo diretto per giocare titolare nel Napoli, ma sospinto da abbastanza talento per renderlo uno dei migliori giocatori da inserire a partita in corso. Questa idea di Mertens è stata confermata anche nella prima giornata di campionato, quando il belga è stato messo in campo a 20 minuti dalla fine per recuperare due gol di svantaggio contro il Pescara.

 

Missione compiuta.

 

Dopo l’infortunio di Milik, l’intuizione di Sarri è stata quella di schierare centravanti l’unico giocatore offensivo con una vera ossessione per il gol, in una squadra che faticava a definire l’enorme produzione di gioco. Mertens non è solo dotato di una grande rapidità d’esecuzione verso la porta, ma è anche abbastanza individualista da provare giocate risolutive quando altri si limiterebbero a una scelta più razionale e conservativa. Un esempio: a difesa schierata fa un tunnel sul difensore e mette Hamsik davanti alla porta.

 

Un atteggiamento che ha regalato tutta un’altra armonia al gioco del Napoli. Mertens, tolto dalla zona di comfort vicino alla linea laterale, ha dovuto responsabilizzarsi, liberare la propria capacità creativa, fare movimenti complessi, aggiungere dimensioni al proprio gioco. Lo ha fatto con un’intensità fisica e mentale impressionante lungo i novanta minuti, diventando un moto perpetuo tra movimenti orizzontali e verticali. Ha imparato a giocare di prima per dare ritmo al palleggio, ad attaccare la profondità dietro i difensori con tempismo, a regalare assist geniali per i compagni. In più, ha mantenuto intatta la sua capacità magica di inventare potenziali occasioni dal nulla. Ecco invece una rimessa laterale che lo porta a 25 metri in inferiorità numerica per poco non diventa un gol.

 

Mertens, insomma, ha giocato una stagione incredibile e nessuno lo avrebbe immaginato a questi livelli: per questo secondo me avrebbe dovuto vincere il premio di giocatore più migliorato (che invece è andato a Milinkovic-Savic). Misurando il suo peso specifico nel gioco del Napoli, però, è difficile dire che sia stato più continuo e importante di Marek Hamsik.

 

Se dovessimo limitarci, nella scelta dell’MVP, ai giocatori puramente offensivi, perché non premiare Edin Dzeko a quel punto? Un centravanti che ha vinto il titolo di capocannoniere, e che ha avuto un’influenza così grande sulla sua squadra da averne modificato il gioco in modo strutturale. Se invece volessimo pesare l’importanza dei gol avrebbe più senso scegliere un candidato come Gonzalo Higuain. Nel giudizio sul “Pipita” forse è intervenuta la valutazione di mercato e la mancata vittoria in Champions (dura la vita di Higuain), ma va ricordato che ha accumulato una serie impressionante di gol decisivi in campionato: la rete del 2 a 1 contro la Fiorentina alla prima giornata ad esempio; quello del 2 a 1 contro il Napoli allo Juventus Stadium; la doppietta al Torino nel derby d’andata; il gol vittoria contro la Roma. Bisognerebbe, però, fare lo sforzo di guardare oltre i gol, specie in una stagione che ne ha inflazionato l’importanza, dove sono stati ben 6 i centravanti a superare le 20 reti.

 

Quindi mi permetto di consegnare il premio a Mertens in maniera palesemente polemica, con le decisione dell’academy e del pubblico; dicendo che in realtà se potessi farlo scapperei dal palco con la statuina d’oro e la consegnerei nelle mani di Marek Hamsik, cioè il giocatore che per me dovrebbe vincere il premio di MVP. E lo dico da profondo ammiratore del talento di Mertens, che mi ha fatto vincere il Fantacalcio e che celebravo in un pezzo appena qualche mese fa.

 

Hamsik è il calciatore della Serie A – dopo Jorginho, ma con un rischio diverso – ad aver completato più passaggi medi per partita. Ha servito più di 2 key pass ogni 90 minuti e complessivamente 10 assist, oltre a 12 gol. La costanza del suo rendimento nel corso degli anni ci ha forse assuefatto alla sua straordinarietà, e il fatto di giocare poco in Europa non ci ha aiutato a collocarlo nella geografia dei giocatori di primo livello. Abbiamo sottolineato troppo poco quanto la sua interpretazione del ruolo sia stata esaltata dal contesto tattico di Sarri negli ultimi due anni, ma a sua volta Hamsik è l’ingranaggio più indispensabile di una squadra che ha dimostrato di poter fare a meno di tutti, persino del giocatore che lo scorso anno aveva segnato 36 gol.

 

Se Mertens è il finalizzatore – uno straordinario finalizzatore – del miglior attacco della Serie A, Hamsik ne è la colonna portante, fondamentale in fase di costruzione, rifinitura e definizione. Non si tratta solo della qualità delle sue prestazioni ma anche dell’unicità della sua interpretazione del ruolo. Al pari forse di Nainggolan, Dybala o Bonucci, Hamsik è il giocatore che in questo momento, per la sua qualità ma anche per la sua unicità, un appassionato di calcio pagherebbe per vedere, che non ha equivalenti altrove.

 

Ma le maglie del discorso si potrebbero allargare ancora. Se facessimo un discorso di proporzione tra quanto ha inciso il singolo giocatore nella qualità complessiva delle prestazioni di squadra bisognerebbe menzionare anche il “Papu” Gomez, che più di tutti ha elevato, individualmente, il rendimento di una formazione di caratura non eccezionale come l’Atalanta. Ma resto dell’idea che le grandi prestazioni abbiano un valore diverso in un contesto di alto livello. Per questo un ottimo candidato al premio di MVP sarebbe potuto essere Radja Nainggolan: uno dei giocatori più divertenti da vedere in Europa, oltre che uno dei giocatori che più si avvicinano a un fumetto.

 

Nainggolan è chiaramente una delle cose che rende bello il campionato italiano: per le sue scivolate assurde, per il suo agonismo esasperato, per l’elasticità senza senso che ci fa capire che non è fatto come noi. Quest’anno non solo ha giocato a un livello irreale nella squadra seconda in classifica, ma è sembrato migliorare di partita in partita, a quasi 30 anni. Nainggolan – così come Hamsik – risponde a uno dei criteri che dovrebbero secondo me fare un MVP: è un giocatore che sarebbe titolare, e farebbe la differenza, in qualsiasi squadra al mondo.

 

Insomma, era una scelta difficile, specie quest’anno. In questa stagione non c’è stato né un cannoniere monstre da 36 gol come la scorsa stagione, né un trascinatore tecnico come due anni fa. Sono stati tanti i giocatori a brillare, anche in modo inaspettato (non ho ancora menzionato Belotti, ad esempio).

 

La scelta di Mertens, per quanto legittima, rivela forse un approccio consumistico alla nostra fruizione del calcio, dove la sfera della novità è molto più attraente di quella della continuità. Per questo avrei preferito Marek Hamsik, che ha giocato la miglior stagione di una carriera passata a impreziosire le nostre domeniche di campionato: il calciatore che più di tutti è riuscito a mettere le proprie straordinarie qualità individuali al servizio di un organismo collettivo meraviglioso.

 

Rimetto in ogni caso il premio nelle mani del talento belga. Ma secondo me dice qualcosa più sulle decisioni alla base delle nostre votazioni che sul suo successo in questa stagione, che resta comunque eccezionale. Questo è il premio più polemico ma in fondo è così anche perché è il più importante. Sarebbe stato impossibile rendere giustizia a un singolo giocatore senza sembrare ingiusti con tutti gli altri. Soprattutto con un giocatore unico come Hamsik, e spero che Dries non me ne vorrà.

 

 

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Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).