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Fabrizio Gilardi

Maghi in missione

Gli Wizards di Wall e Beal sono tornati nell’élite della NBA, stavolta per rimanerci.

Attorno ai Wall & Beal

 

A cascata, questa simbiosi tra i due leader tecnici ed emotivi ha avuto effetto su tutto il resto del roster: Marcin Gortat è un solidissimo titolare NBA, senza qualità fuori dalla norma dei pari-ruolo, ma anche senza difetti rilevanti. Soprattutto è un lungo moderno, porta blocchi solidi, è intelligente e occupa benissimo gli spazi liberi nel pick and roll, il che unito alla visione di gioco di Wall garantisce almeno un paio di canestri “facili” a partita. Come lui anche Markieff Morris difficilmente può risollevare da solo le sorti tecniche di una squadra (anzi, nel caso di ‘Kieff sono più le occasioni in cui alle prime avvisaglie di cedimento è lui il primo a dare strattoni nella direzione sbagliata), ma in contesti funzionali si esalta, come testimonia il rendimento di entrambi nelle 30 partite della svolta. Coinvolti, attivi lontano dalla palla e sul lato debole, mobili in difesa e attenti a non uscire dallo spartito, grazie al grande equilibrio messo in mostra da un quintetto con poche alternative — nettamente il più utilizzato nella lega, il che forse per Brooks è più un bene che un male, data la storica tendenza a insistere con l’assetto standard anche quando le necessità dei playoff avrebbero suggerito il contrario (do you remember Kendrick Perkins?) —, ma in cui la suddivisione dei compiti, degli spazi, delle soluzioni offensive (gli Wizards sono in top 10 per frequenza di utilizzo solo dei tiri in uscita dai blocchi) e del carico di lavoro ha raggiunto livelli di rara eccellenza.

 

La storica specialità di Wall è però sempre stata offrire buoni tiri, in ritmo e con spazio, agli esterni che nel corso degli anni hanno condiviso con lui il parquet (Martell Webster, Trevor Ariza, Rasual Butler: tutti testimoni). Oltre ad aver già assistito 182 triple (5 solo ieri nella meravigliosa sifda contro i Cleveland Cavaliers), terzo in NBA dietro a James Harden e LeBron James (8 su 17 lunedì) in poco più di mezza stagione, nella scorsa stagione, nonostante le difficoltà della squadra e il citato infortunio, con 278 ha realizzato la seconda miglior prestazione di sempre, a pochissima distanza dal record (che a breve cadrà, causa Mostro di Houston) di Steve Nash.

 

 

Qualunque sia l’avversario John Wall penetra, fa chiudere la difesa e scarica. E il movimento di Porter per assicurare una linea di passaggio pulita vale tanto quanto l’assist.

 

In questo momento Otto Porter è il miglior tiratore da 3 dell’intera lega, è quinto per Percentuale Reale (in mezzo a lunghi che vivono a pochi centimetri dal ferro e, vabbè, a Kevin Durant) e per Percentuale Effettiva (nettamente primo tra i perimetrali). In pratica, sputa letteralmente fuoco e fiamme da ogni punto dell’arco (tolto l’angolo sinistro, che è territorio di caccia di Beal).

 

 

I suoi progressi al tiro nell’arco della carriera, a partire dal college, sono ai limiti dell’incredibile (per gli umani eh: tirare in ballo Kawhi Leonard non vale) e se a questo si unisce un’ottima attitudine difensiva soprattutto in aiuto grazie a braccia infinite, tempismo e letture perfette, si ha a che fare con un giocatore di complemento in grado di rendersi utile a qualsiasi livello, nonostante piedi non rapidissimi che possono metterlo in difficoltà nelle situazioni di isolamento contro avversari rapidi.

 

Chi più di tutti incarna il cambiamento in atto a Washington è però Bradley Beal. In ordine sparso: quando si siede in panchina gli Wizards collassano (impatto paragonabile a Curry e Westbrook, per rendere l’idea); ha iniziato a portare blocchi anche lontano dalla palla — che spesso hanno efficacia limitata, ma sono fondamentali per tenere attenta la difesa e testimoniano la dedizione alla causa; al quinto anno di carriera sta per certi versi ripercorrendo le orme di Ray Allen e Reggie Miller; la sua intesa con Wall ha fatto enormi passi avanti (poco meno di metà dei suoi punti a partita derivano da assist dell’ex Kentucky); nelle occasioni più rilevanti è garanzia di spettacolo… e sicuramente ci sarà altro. Career year, ma non è finita qui nemmeno per sbaglio (si spera).

 

 

La partita dell’anno

 

 

A proposito della (probabile, finora) miglior partita di questa regular season, un paio di considerazioni: i Cavs non saranno nel loro momento di massimo splendore, ma è servita una super prestazione offensiva di Kevin Love (in versione cecchino… e quell’assist), Kyrie Irving (che sta tirando col 50% nelle triple dal palleggio in isolamento) e LeBron (con un buon aiuto dalla sorte, anche se ricezione, arresto e elevazione sul canestro del pareggio a 3 decimi di secondo dalla fine sono clamorosi) per fermare la corsa degli Wizards, che hanno risposto tiro (pesante) su tiro (pesantissimo) alla tempesta perfetta dei campioni in carica nell’ultimo quarto. Già solo questo dovrebbe bastare a considerare Washington una reale pretendente a un posto in finale di Conference, nonostante in attesa di Ian Mahinmi il solo Kelly Oubre (altro capolavoro di gestione umana da parte di Brooks) e pochi sprazzi di Jason Smith sembrino affidabili in uscita dalla panchina (manca comunque una guardia, perché su Trey Burke va messa definitivamente una pietra sopra). Un raffreddore a uno qualsiasi dei titolari rischia di avere effetti devastanti.

 

Negli spogliatoi John Wall, oltre ad incassare i complimenti di LeBron, ha elogiato apertamente la squadra. Capire quando usare il bastone e quando la carota è una grandissima qualità per un leader e se prima di parlare si è agito, con una stagione da All-NBA e con impegno massimo in ogni momento di ogni partita, l’eventuale strigliata ha tutto un altro effetto.

 

A Washington si fa sul serio ormai da due mesi. E c’è un giocatore in missione, alla guida di un gruppo in missione. Il momento per dedicargli la giusta attenzione è questo.

 

 

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Fabrizio Gilardi ha perso la propria via nel 1994 davanti a una figurina di Penny Hardaway. Nel tentativo di ritrovarla ha incontrato la NBA League Pass. E ha perso definitivamente anche il sonno. Dal 2005 infesta forum e social network, dal 2011 conduce Ball Don’t Lie, podcast semiserio sul basket NBA.